Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

 

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

E’ per noi un piacere ricordare la gioia, l’emozione e la freschezza nel sorriso di Caterina al momento di ritirare il premio conseguito nel nostro precedente Concorso l’Arte della parola per la sua opera “L’urlo del coraggio infranto” che ha, forse, determinato il suo più che meritato successo.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Abbiamo già pubblicato il suo componimento in data 18/11/2019

https://www.lamacinamagazine.it/caterina-marano-il-volo-della-libellula/

L’intervista è condotta dallo scrittore e giornalista Andrea Lepone.

“Intervistiamo oggi la Dott.ssa Caterina Marano, psicologa specialista in infanzia, adolescenza e famiglia, psicoterapeuta e insegnante, nonché abile scrittrice e vincitrice di prestigiosi riconoscimenti letterari. Per Aletti Editore è in uscita la silloge poetica “I Dipinti dell’anima”.

Per stabilire da subito un clima di dialogo propongo di passare al “tu”.

Certamente, Andrea. Sono lusingata di essere intervistata da te, che sei per me da nobile esempio essendo un giovane autore di grande talento e avendo ricevuto da te il primo riconoscimento.

Buongiorno Caterina, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito nel Concorso Letterario “Il Macinino”. La tua opera, intitolata “Il volo della libellula”, si è classificata al secondo posto ex aequo nella sezione dedicata alla poesia. Cosa ti ha ispirato nel comporre questa lirica?

Mi ha ispirato il mio corpo, che racconta spesso la mia storia con sensazioni molto forti. In particolare questa poesia l’ho scritta in un periodo di significativa trasformazione e in un contesto naturalistico. La scelta del titolo infatti sta a simboleggiare la ricerca consapevole di libertà e il bisogno di equilibrio attraverso una profonda connessione tra anima, mente e corpo, nonostante i morsi della vita e i boati del passato.

Nella suddetta poesia, l’utilizzo delle rime è assai significativo. Prediligi uno stile più ritmico, a scapito di un verso più sciolto?

Dipende dalla poesia e dalle emozioni che trasmetto. Di solito prediligo l’utilizzo delle rime quando le emozioni sono molto forti e profonde, quasi esplosive. La rima mi aiuta a stare con queste emozioni e a sentirne l’intensità per poi trasformarle in un’esperienza emotiva evolutiva, una conclusione diversa con cui spesso chiudo le mie opere. Allo stesso tempo preferisco agganciare il lettore con un’incisiva musicalità e accompagnarlo con ritmo deciso affinché la mia opera attraversi la sua anima dall’inizio alla fine.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Esattamente come una libellula in volo, anche gli esseri umani hanno bisogno di un proprio “equilibrio” per affrontare la vita… secondo te, la poesia può essere d’aiuto in questo senso?

Credo profondamente nel potere terapeutico della poesia; è una preziosa risorsa per affrontare la vita. Con la poesia così come con altre forme di espressione artistica è possibile riscrivere la propria storia ed elaborare esperienze emotive per trasformarle in opportunità di crescita evolutiva. Nel mio caso è stata molto utile per accettare ed elaborare esperienze traumatiche della mia storia personale e familiare.

Ritieni che la scrittura creativa sia utile per comprendere meglio la personalità di un individuo, i suoi pensieri, le sue aspirazioni?

 Credo di sì, tuttavia è necessario che ci siano come condizione la disponibilità ad ascoltare e ascoltarsi, la motivazione a sintonizzarsi con se stessi e mettersi in discussione, il desiderio di riscoprirsi, il coraggio di accertarsi e lascarsi attraversare dalle proprie emozioni. Utilizzo spesso la scrittura creativa anche in ambito professionale sia con adulti sia con bambini. Tra i miei progetti futuri vi è un Laboratorio di scrittura creativa rivolto ai preadolescenti, per cui la poesia potrebbe essere utile sia a prevenire eventuali disagi sia a trasformarli in esperienze emotive accettabili e correttive.

 Arte poetica e condivisione… cosa ne pensi di questo binomio?

Credo nel potere di questo binomio affinché la poesia diventi espressione simbolica della psiche ed esperienza creativa per l’anima.La condivisione diretta della poesia o indiretta dell’esperienza emotiva suscitata è necessaria affinché l’arte poetica diventi un’esperienza evolutiva. La condivisione delle mie poesie con i miei genitori, che ringrazio infinitamente per avermi accompagnato in questa preziosa scoperta, è stata utile per elaborare insieme e in chiave metaforica dei vissuti emotivi troppi forti e intimi da poter condividere in maniera più diretta e intenzionale. Nella mia silloge poetica I Dipinti dell’anima ho privilegiato questa unione tra arte poetica e condivisione, coinvolgendo vari artisti con stili, ideologie, età e origine socio-culturali di diverso genere. Mi ha affascinato scoprire come dalla condivisione delle mie poesie siano nate altre forme artistiche, alcune anche completamente diverse dalle poesie a cui si sono ispirate. Nel mio libro l’anima di ogni poesia si incontra con lo spirito di ogni artista. Ogni lettore potrà scoprirsi in un dipinto dell’anima, in questo incontro condiviso tra arte e poesia.

Qual è il tuo componimento preferito, in termini assoluti?

Qualche tempo fa avrei citato un componimento dedicato a mio fratello Carmine, a cui è dedicata la mia silloge poetica. Per l’effetto trasformativo che ha la poesia su di me, ora posso dire che non ho un componimento preferito in termini assoluti perché ogni opera ritrae un respiro di libertà della mia anima e un sospiro di salvezza. Restando in tema di condivisione, vorrei citare il componimento “Radici nel cemento” a cui sono particolarmente legata perché è stato dedicato da mio padre a mia madre, ed è tra i loro preferiti.  Hanno sentito nei versi la forza del loro legame, che continua a vivere nonostante la perdita di un figlio. Questa poesia condivisa con loro rappresenta il potere della loro unione, per me grande fonte di forza e coraggio, e di cui sono molto orgogliosa.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

 Grazie Caterina per il tempo che ci hai concesso, con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.

Certo, non mancherò. Apprezzo molto il valore dei vostri eventi culturali e sono affettivamente legata ai vostri concorsi letterari. Con voi sono entrata nel mondo della poesia e ho iniziato a condividere le mie opere. Ricordo ancora con viva emozione quando ho esordito nel maggio scorso con l’“Urlo del coraggio infranto” al vostro Concorso L’Arte della parola, con cui ho ricevuto una menzione di merito.”

 

 

Franco Salvatore Grasso scrittore: la nostra intervista

Franco Salvatore Grasso scrittore: la nostra intervista

 

Franco Salvatore Grasso scrittore: la nostra intervista

Franco Salvatore Grasso uomo di profonda cultura accompagnata da una non comune giovialità ci accoglie per “essere sottoposto” alla nostra intervista.

E’ appena il caso di ricordare che Franco ha partecipato a vari Concorsi Letterari dove si è aggiudicato il podio, segnalazioni di merito e premi speciali con i suoi racconti già pubblicati:

Il nuovo Faust,

La porta,

Il nuovo Arjuna,

Seraphitus – Seraphita

Intervistiamo quindi oggi il Dott. Franco Salvatore Grasso che con la sua ultima opera “La figlia della provvidenza” ha conquistato il posto al Concorso Letterario Il Macinino, Sezione Racconti.

Abbiamo già pubblicato il suo componimento in data 22/11/2019 https://www.lamacinamagazine.it/franco-salvatore-grasso-la-figlia-della-provvidenza/

Buongiorno Franco, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito al Concorso Letterario “Il Macinino” con la tua opera intitolata “La figlia della provvidenza”. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?

Innanzitutto ringrazio voi per questa intervista. Onestamente mi sento imbarazzato nel presentarmi ad una attenta moltitudine di lettori che seguono il vostro giornale e – per rispondere alla domanda –  non ritengo affatto di confinarmi in un particolare ruolo di ‘scrittore’ così come s’intende generalmente. In un certo senso potrei qualificarmi, inserirmi, in un contesto di ricercatore di quei sentimenti umani racchiusi nel profondo dell’anima; cerco di sviscerare dall’inconscio ogni desiderio celato per farlo rivivere nei miei romanzi. D’altra parte queste ‘fantasie’ ritengo facciano parte integrante di ogni personalità.

Chi è Franco nella sua passione per l’arte della scrittura?

Come ho detto precedentemente quello che si potrebbe definire il mio ruolo è quello circoscritto a descrivere racconti racchiusi da un alone fantastico ma che in realtà questa immaginazione diventa un mezzo, un veicolo diretto a svelare ogni brama nascosta nel nostro animo. Quando si parla di desiderio però non si tratta soltanto di quello limitato dagli impulsi dettati di continuo dai nostri sensi, qui si parla soprattutto della particolare smania perenne e indistinta relegata nell’ignoto.

Raccontaci qualcosa per incuriosire i nostri lettori.

Nel primo romanzo scritto, ‘Il Nuovo Faust’ ho azzardato con l’inventiva che Goethe avesse scritto il ‘Faust’ dopo essere stato in Sicilia nel suo “Viaggio in Italia”. Alla Fiera del libro di Francoforte, alla quale partecipai, ebbi la sorpresa di apprendere durante una conferenza stampa dedicata a “Goethe e l’Italia” che recenti studi dell’Università di Berlino avevano appurato quello che avevo immaginato qualche anno addietro. Non avevo fatto altro che prevedere con la fantasia una realtà.

Franco Salvatore Grasso scrittore: la nostra intervista

Qual’ è stato il tuo percorso artistico letterario e quale la tua formazione professionale che ti hanno permesso di avere gli strumenti per scrivere opere letterarie di successo?

Il mio percorso di studio si è svolto nell’Istituto per la Cinematografia e la Televisione dove innumerevoli sono stati i soggetti cinematografici realizzati per approfondire il ‘Linguaggio Cinematografico’.  Ho poi iniziato il mio percorso professionale e, successivamente, ho conseguito la laurea nella facoltà di Filosofia sullo studio delle religioni in particolare quelle indiane e dell’estremo oriente. Queste esperienze, e quelle maturate in ambito scolastico dove vivevo il costante dialogo con i giovani, hanno contribuito a formare il mio ‘background’ personale.

Secondo te perché un romanzo, un libro abbia successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o meno originale e accattivante per chi legge)?

In un romanzo la storia è particolarmente importante per raggiungere un certo successo, in altre parole essa dovrebbe accattivare il consenso di chi legge. Non si può scrivere senza tener conto del pensiero del lettore; il lettore, infatti, non è un soggetto passivo. Se la trama del racconto e il linguaggio scritto non sono di suo gradimento egli accantona il libro procrastinando in un futuro – forse lontano – la prosecuzione della lettura. Se invece la narrazione e l’esposizione sono avvincenti la comprensione e la lettura dell’opera sarà senza dubbio bene accolta. Io ritengo che tutti gli scrittori, anche coloro che hanno pubblicato molte opere, siano sempre “emergenti” ogni volta che presentano un nuovo libro poiché – ogni volta – si sottopongono ad una nuova valutazione da parte del lettore.

Franco, quale sentimento ti ha mosso nella scrittura della tua opera?

Potrei dire senza dubbio che il desiderio incontrollato di avere a tutti i costi un figlio, unito poi dall’affetto smisurato nei confronti del proprio cane, ha suscitato in me un interrogativo che mi ha fatto riflettere in modo particolare. Questi sentimenti, apparentemente distanti tra loro, traggono origine da mie osservazioni di eventi di cronaca realmente accaduti.

Ci puoi illustrare in breve il significato del tuo racconto?

Se devo essere sincero non c’è un significato preciso espresso in questo racconto così come s’intende comunemente. Nell’assurdità più totale ho voluto rappresentare il desiderio morboso del personaggio di avere un figlio e ciò manifesta quindi la sua immaturità, la sua solitudine mitigata da un eccessivo rapporto affettivo con la sua cagnolina di razza dalmata.

Franco Salvatore Grasso scrittore: la nostra intervista

Quali sono state le difficoltà nel rendere gradevole, agile, di facile ma interessante lettura il tuo libro?

In primo luogo debbo dire che anche se il racconto percorre per così dire un ‘binario’ fantastico quello che lo contorna rispecchia la realtà. Sembrerebbe forse un paradosso quello che per far vivere una storia immaginaria bisogna adeguarla, inserirla in un contesto reale. Ad ogni modo ho cercato di creare una storia di facile lettura, fra l’altro apprezzata già da diversi lettori, cercando un linguaggio sciolto e nello stesso tempo ad effetto sorpresa.

Il testo risulta curato nei dettagli; cosa ci puoi dire della accentuata focalizzazione che hai inteso dare al protagonista?

Dovevo dare al protagonista, una ben definita personalità, accentuando la sua fragilità emotiva nell’affrontare tutte le traversie per lo più generate dalla sua superficialità. Al contrario ho invece contrapposto la vita equilibrata e pragmatica del suo amico veterinario, utile a contenere in parte gli squilibri del personaggio principale.

L’opera si presta ad una molteplicità di livelli di lettura, è perfettamente fruibile da tutti.   E’ questo il segreto per rendere un’opera anonima in un’opera che può ambire al successo?

Effettivamente un racconto dovrebbe essere comprensibile ad una vasta cerchia di lettori, sempre nei limiti del possibile, ovvero senza scendere ad alcun compromesso con la propria coscienza. Un recente mio romanzo, nonostante abbia riscontrato un buon successo, ha destato qualche perplessità da parte di alcuni lettori circa la comprensione del ruolo dei personaggi e del significato intrinseco del romanzo stesso.

Scrivere è un modo per parlare di te o intendi suggerire qualcosa agli altri?

In ogni stesura di un’opera non penso minimamente a parlare di me, l’intenzione è quella, invece, di comunicare ai lettori quel ‘quid’ utile a stimolarli e raccoglierne le più disparate impressioni.

Che consigli daresti ad un autore esordiente?

Un consiglio onesto è quello di ‘scavare’ nel proprio animo per far uscire quel sentimento utile e trasportarlo con le parole scritte. Non si dovrebbero seguire modelli di scrittori in voga, semmai leggerli per imparare la scioltezza e l’uso del linguaggio espressivo, l’importante è essere se stessi; è facile scimmiottare gli stili linguistici degli altri, il difficile diventa adottare una propria espressione che rispecchia totalmente la propria personalità.

Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?

Scrivere è decisamente importante, specialmente oggi dove la distrazione generata dai media talvolta travolge la nostra personalità. Il raccontare le proprie emozioni con la scrittura arricchisce la mente dandole quel nutrimento necessario alla crescita spirituale.

Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?

Debbo confessare che inconsciamente sono influenzato dalle varie filosofie orientali tra le quali quelle induiste e buddhiste. Gli autori che mi hanno ispirato sono stati inoltre Johann Wolfgang von Goethe, Honorè de Balzac e Edgar Allan Poe.

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno 1 libro ed il suo autore

Un libro da consigliare è senz’altro ‘Siddhartha’ di Hermann Hess, dove il protagonista, oltre ad avere lo stesso nome del Buddha, è altresì un suo discepolo. Il racconto è incentrato sul personaggio centrale il quale rifiuta di seguire pedissequamente l’insegnamento del suo maestro per ripercorrere egli stesso le vicissitudini sofferte dal Buddha stesso. La storia si basa, appunto, sul non accettare gli insegnamenti dell’Illuminato dati per scontati ma di soffrire e gioire nella vita per giungere egli stesso a quella meta agognata.

Giacomo Leopardi scrisse che “Un buon libro è un compagno che ci fa passare dei momenti felici.” Cosa ne pensi di questa frase?

È proprio vero, sono proprio d’accordo, oggi più che mai. In questo mondo caotico dove imperano le comunicazioni per lo più fittizie e dove, in realtà, regna la solitudine un buon libro diventa il rifugio che ci rende più sereni. Una bella opera, sia una raccolta di poesie o un romanzo ha il potere di farci compagnia diventando un punto fermo nella nostra esistenza. Mi ricordo che in un tempo forse lontano c’era l’usanza di regalare un libro ai bambini con lo scopo che esso, in qualità di opera educativa, li avrebbe accompagnati durante il corso della loro crescita. Adesso credo che questa consuetudine non ci sia più però sarebbe bello che una buona e onesta opera possa trasformarsi in qualche cosa di veramente educativo e perché no, anche come compagnia nei soventi momenti di sconforto.

Come vuoi concludere questa chiacchierata? Cosa vuoi dire ai nostri lettori?

Oltre ad esservi grato per avermi ascoltato, mi auguro con interesse, spero di stupirvi ancora con altri racconti avvincenti e degni di essere letti tutti “d’un fiato”.

Grazie Franco per il tempo che ci hai concesso con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.

Certamente si, vi seguo con particolare attenzione ed apprezzo il livello culturale dei vostri Concorsi ed eventi culturali.

Grazie a voi

Franco  

 

 

 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 Pietro Catalano è nato a Palermo e vive a Roma, in questa meravigliosa città che è capace di accogliere ma che è purtroppo piagata da eventi che non hanno rispetto del suo fascino, della sua storia, della sua anima culturale e dei cittadini.

Pietro è membro di varie Associazioni Culturali ed è componente di giuria in alcuni premi letterari. Figura tra i vincitori di numerosi concorsi nazionali e internazionali; tra i riconoscimenti più significativi citiamo il “Premio Speciale Stampa”, Premio «Artisti per la Pace» e Premio alla Carriera alla «V Edizione del Premio Internazionale Magnolia».

Delle sue opere si sono occupati diversi studiosi e critici di fama.

Pietro Catalano ha un significativo profilo culturale che viene messo in luce dall’intervista condotta dallo scrittore e giornalista Andrea Lepone, Presidente di Giuria

Intervistiamo oggi Pietro Catalano che, oltre ad una soddisfacente carriera alle dipendenze dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, può vantare un curriculum letterario degno della massima considerazione. Vincitore di numerosi concorsi letterari, le sue liriche figurano in antologie didattiche, collane e riviste di settore, tradotte anche in lingua inglese.

Per stabilire da subito un clima di dialogo propongo di passare al “tu”.

Certamente, con l’occasione ti faccio i complimenti per la tua attività di giornalista e scrittore, per le opere pubblicate e per i meritati riconoscimenti ottenuti.

Buongiorno Pietro, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito nell’ambito del Concorso Letterario “Il Macinino”. L’opera da te composta, intitolata “La mia città” e classificatasi al 2° posto ex aequo nella sezione dedicata alla poesia, sembra essere una chiara riflessione, un sorta di mesto tributo alla città di Roma. Cosa ti ha spinto a comporre questa lirica?

La poesia “La mia città” l’ho scritta alcuni anni fa e rappresenta, così come tu hai mirabilmente sintetizzato, “una sorta di tributo alla città di Roma”, dove mi sono stabilito negli anni 80. Sono originario di Palermo e sono approdato a Roma per motivi di lavoro, dopo aver prestato servizio – sempre nella pubblica amministrazione – a Venezia e Cuneo. E’ stata una scelta meditata e tenacemente perseguita perché Roma ha sempre rappresentato per me la città ideale in cui vivere, ricca di storia, memoria, cultura, bel clima, accogliente, insomma per dirla con il titolo di un famoso film di Rossellini ”Roma città aperta”. I primi versi “raccontano” una dimensione più personale della mia vita, “braccia aperte al cielo”, come esigenza di “infrangere” ogni confine ed aprirsi al mondo. E’ per questo motivo che ho scelto Roma, perché la sua storia testimonia una vocazione all’incontro e al dialogo, capace di operare una sintesi tra le diversità, non solo capitale d’Italia, ma anche della cristianità. Mi addolora pertanto verificarne lo stato di “decadenza” rispetto al passato, e da qui l’affermazione “dimentica il suo futuro”. La poesia – intrisa di mestizia, come hai sapientemente colto – è tutto sommato un atto d’amore per questa città, unito alla speranza che torni a “riappacificarsi” con la sua storia più nobile e che l’ha resa “eterna”.

All’interno dell’opera, tu non celebri le bellezze della Città Eterna, bensì ne tratteggi sapientemente ricordi, aneddoti e situazioni… quali episodi, legati indissolubilmente a Roma, hanno segnato maggiormente il tuo animo?

Come ho precedentemente detto, sono turbato dallo stato di decadenza della città. Roma è sicuramente una delle più belle città del mondo, ma c’è una sottile differenza tra il vissuto di chi la visita per inebriarsi delle sue bellezze e chi vi risiede e tutti i giorni deve inevitabilmente confrontarsi con le sue inefficienze gestionali. Raggiungere il posto di lavoro spesse volte è un’odissea, alle prime piogge si verificano puntualmente allagamenti, metro e autobus sempre più soggetti a guasti al di là dell’ordinario, buche non riparate che procurano gravi danni e talvolta incidenti mortali. Potrei continuare, ma non mi sembra il caso di infierire più di tanto. Va inoltre detto che una città non è rappresentata solo dal “salotto buono”, ma comprende anche le periferie e Roma – così come altre città della nostra amata penisola – in tal senso ha un grave debito nei confronti delle zone degradate e delle classi sociali meno abbienti. Tutto ciò incide sulla qualità della vita di molti cittadini e direi sulla condizione dello “spirito”. Di contro non mancano iniziative e spazi culturali inclusivi, in sintesi Roma non difetta di un’umanità che resiste, che guarda al futuro con coraggio e speranza, certa che è “sempre roseo il sole che tramonta accarezzando il Cupolone”.

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 Ci sono grandi poeti romani ai quali ti ispiri, o che ti hanno influenzato nel corso della tua carriera letteraria? Magari Trilussa o il Belli?

Ho sempre apprezzato i poeti romani, tra i quali Trilussa, Belli e Pascarella. Leggendo i loro testi, si comprende appieno la “romanità” che – per dirla con le parole di Paolo Paccagnani –  è animata di fatto da varie componenti, tra le quali l’ironia, una certa dose di (disincantato) cinismo, un po’ di fatalismo, ma soprattutto da una grande, e direi penetrante, umanità. Premesso ciò, i poeti che maggiormente hanno influenzato il mio percorso poetico sono stati Quasimodo, Montale, Leopardi, Neruda, Baudelaire, Dickinson, Whitman. E poi – a ben guardare – va detto che ogni “poeta” è figlio del suo tempo.

Quale messaggio intendi condividere con i lettori, attraverso le tue poesie?

Credo che ogni poeta scriva per un bisogno insopprimibile. Per me è importante cogliere l’attimo in cui la parola poetica si manifesta e conseguentemente assecondare il bisogno di andarle incontro, direi di abbracciarla.

Riguardo al messaggio che intendo condividere con i lettori, posso dire che sento prevalentemente il bisogno di volgere lo sguardo al sociale e alla realtà che ci circonda. Una mirabile e puntuale sintesi riguardo alla mia poetica è stata fatta da Nazario Pardini il quale, per caratterizzarne “l’empito ispirativo”, ha menzionato le parole di John Donne: “La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. E’ in questo senso – direi – che possono essere interpretate le mie poesie, vale a dire la capacità di trasformare l’io soggettivo nel noi collettivo.

Pietro Catalano: la nostra intervista

Per te, quanto conta, oggi, l’arte della scrittura poetica in quanto strumento di memoria sociale?

Oggi più che mai è importante avere memoria della nostra storia, dei suoi contenuti e, di conseguenza, degli insegnamenti morali che da essa possiamo trarre. I social rappresentano una nuova forma di comunicazione e di “controllo sociale”, per cui oggi più di ieri si avverte la necessità di vigilare sulla veridicità delle fonti di informazione. L’essere umano è rappresentato dalla sua memoria, dal suo vissuto individuale e collettivo. La poesia, per la sua peculiarità – a mio avviso – dovrebbe avere pertanto anche funzione di memoria sociale. Come dice Luis Sepulveda “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”.

Qual è il tuo componimento preferito, in termini assoluti?

Non c’è un componimento che preferisco in assoluto perché ciascuno rappresenta sentimenti, ricordi, riflessioni. Alcune poesie sono incentrate su temi di carattere sociale, altre trattano della condizione umana, altre ancora indugiano su una dimensione più intimista. Pertanto, direi, che ciascuna poesia è parte del mio pensiero e del mio essere, parte di un tutto inscindibile.

Grazie Pietro per il tempo che ci hai concesso, con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.

 

 

 

Monica Gori poeta: la nostra intervista

Monica Gori poeta: la nostra intervista

 

Monica Gori poeta: la nostra intervista

Monica Gori, classificatasi al posto nella Sezione Poesie del Concorso Letterario Internazionale Il Macinino edizione 2019 con la sua opera “Tempesta di ghiaccio” che abbiamo già pubblicato il 20/11/2019 https://www.lamacinamagazine.it/monica-gori-tempesta-di-ghiaccio/

Riteniamo particolarmente significativo il pensiero che ha espresso di se stessa Monica Gori briosa ed eclettica scrittrice:

“Ci fu un giorno in cui le parole vennero a cercarmi.
Non so come o quando ma la mia mano cominciò a scrivere.
Non fidatevi di me
una donna con una penna in mano
è come un guerriero con la spada di Re Artù.”

Monica Gori poeta: la nostra intervista

Intervistiamo quindi oggi la Dott.ssa Monica Gori, affermata scrittrice con diverse pubblicazioni al suo attivo. Nel corso della sua carriera letteraria le sono state conferite, tra gli altri riconoscimenti, molte Menzioni D’Onore.

SI, ho all’attivo 5 menzioni d’onore, 7 menzioni di merito, 2 secondi posti e un diploma al merito e, dulcis in fondo, ho siglato due contratti con due case editrici per la pubblicazione di due sillogi di 40 poesie ciascuna.

Devo dire che questi riconoscimenti sono giunti del tutto inaspettati visto che scrivo da quando avevo cinque anni e che, solo a 40 anni, ho assunto la decisione di sfidarmi partecipando ai vari concorsi letterari.

Buongiorno Monica e, per stabilire da subito un clima di dialogo, propongo di passare al “tu”.

 Pienamente d’accordo, premetto che non sono dottoressa anzi sono insegnante diplomata in pazzia in quanto, dalla nascita, bipolare borderline con azioni autolesioniste di prodigio; la prima l’ho avuta a due anni.

Bene Monica, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito nell’ambito del Concorso Letterario “Il Macinino”. L’opera da te composta, intitolata “Tempesta di ghiaccio” e classificatasi al terzo posto nella sezione dedicata alla poesia, è ricca di versi potenti, quanto mai significativi, coinvolgenti. Quali sono le sue origini?

Sono vissuta nella Casa Pascoli presso le Suore Benedettine che ne gestivano il museo.  Ho avuto un infanzia difficile, all’epoca non c’era la psicoterapia per una bimba iperattiva e sono stata quindi bollata come geneticamente pazza. Ma io che sono tutto e il contrario di tutto ci ho messo 50 anni a far capire che avevo solo bisogno d’amore e di abbracci ed ho lottato come una leonessa ferita per emergere in questa pseudo normalità. Ora mi considero una donna privilegiata avendo una casa, un lavoro e un hobby che mi aumenta l’autostima. Certo la solitudine mi domina ma ormai ci ho fatto amicizia e non ne potrei più fare a meno.

Come ti sei avvicinata al mondo della poesia? Cosa ti ha spinto ad iniziare a scrivere in versi?

Come terapia. Da bambina scrivevo tutto ciò che mi feriva cosi poi, quando mi ponevo verso gli altri, la mia immagine era di una bimba gioiosa e positiva. La mia intenzione era quella che dovevo piacere ad ogni costo.

Le liriche da te composte possono essere considerate come piccole istantanee delle tue emozioni e dei tuoi pensieri?

Senz’altro, io racconto la mia anima, il mondo che vedo e le emozioni che subisco.

Secondo te quanto è importante, oggi, “fare” poesia?

Sarebbe importante ma, a tutt’oggi, purtroppo, è tutto un copia incolla. E’ un riproporre vecchi stereotipi che per quanto grandi appartengono ad altri mondi. Ma il mondo è cambiato ed è andato avanti. La quercia del poeta deve rinascere in questo clima che non è più lo stesso. Soffre del surriscaldamento terrestre e non solo. I grandi li dobbiamo studiare non copiare e dovremmo avere l’umiltà di non confondere la popolarità con l’essere un vero artista. La vera arte è altra e, a volte, è post mortem.

Se dovessi dare un consiglio ad un giovane autore… cosa gli diresti?

Sii ciò che sei, non avere paura di essere fuori dal coro. Non è il potere del denaro che ti rende un grande artista ma la voglia di imparare sempre qualcosa di nuovo. Saranno poi gli altri a credere in te e vedere ciò che sei in realtà. Non c’è peggior essere di chi ha la presunzione di classificarsi da solo.

Qual’è, in assoluto, il tuo componimento preferito?

La ragazza del lungo SavioMonica Gori poeta: la nostra intervista

Grazie Monica per il tempo che ci hai concesso, con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.

IO ringrazio voi per questa opportunità e spero di essere stata, nel mio piccolo, esaustiva.

 Cordiali saluti

 Monica

Maggiori informazioni su Monica Gori possono essere reperito sul profilo Facebook https://www.facebook.com/monica.gori.39

 

Marco Polli: La fata birichina

Marco Polli: La fata birichina

 

Marco Polli: La fata birichina

Pubblichiamo, così come previsto dal Regolamento del nostro Concorso LetterarioIl Macinino” le opere dei primi tre classificati nelle Sezioni Poesie e Racconti.

L’autore Marco Polli, con la sua opera La fata birichina, si è classificato al 3° posto nella Sezione Racconti.

L’opera, gradevole, è un incantesimo scherzoso in un reame da fiaba in attesa del lieto fine.

Marco Polli: La fata birichina

 L’opera:

La fata Birichina

“Tanto tempo fa, nel reame di Arcadia sul Colle, in un grande palazzo sulla Montagna Incantata, viveva la fata Birichina, che era la Dama protettrice del villaggio di Ramoscello Fiorito.

La cura del suo palazzo era affidata agli gnomi e ai piccoli elfi delle campagne circostanti che si presentavano all’alba e scomparivano al calar del sole, mentre la sua unica compagnia era costituita da due vecchie oche, Abracadabra e Alakazam, che vivevano nel giardino del palazzo.

Il rappresentante di Ramoscello Fiorito era, invece, il Sindaco che i cittadini sceglievano tra gli abitanti più meritevoli durante la Festa dell’Arcobaleno, che si svolgeva a inizio primavera. Da molti anni era confermato nella carica Mastro Quercia, che era la memoria storica del villaggio, amministrava coscienziosamente le risorse di Ramoscello Fiorito e impartiva la giustizia con equità, oltre a curare le richieste che i suoi concittadini rivolgevano, periodicamente, alla Dama della Montagna.

A turbare la quiete di Ramoscello Fiorito, a sentire le dicerie dei paesi confinanti, sul reame di Arcadia sul Colle aleggiava un incantesimo scherzoso per cui, ogni volta che la Fata Birichina chiamava le oche, appena l’eco della Montagna Incantata risuonava con il suo Abracadabra Alakazam, subito, nel villaggio, capitava qualcosa di buffo a chi, in quel momento, era occupato in qualche attività. Poteva così accadere, per esempio, che il giardiniere che aveva appena finito di potare le siepi le ritrovasse subito cresciute o che il cuoco dovesse cucinare nuovamente le pietanze che aveva appena messo in tavola.

La cosa attirava a Ramoscello Fiorito molti curiosi, desiderosi di divertirsi per tornare alle proprie case con qualcosa da raccontare, ma non vi era nessuno che fosse disposto a trasferirsi a vivere nel villaggio. Mastro Quercia era ovviamente disperato per il lungo protrarsi di questa situazione che affliggeva Ramoscello Fiorito ormai da tempo immemore e ogni qualvolta si presentava al palazzo della fata Birichina per chiedere udienza perorando la causa dei suoi concittadini ormai scoraggiati, la stessa si divertiva a chiamare le oche per fare in modo che al villaggio ottenessero il risultato opposto di quello sperato.

Un giorno che Mastro Quercia, nel corso di uno degli incontri di palazzo, si accorse che le oche, appena si sentivano chiamare, correvano subito dalla loro padrona sperando così che la smettesse, perché capivano che il suo intento era di creare un magico disagio e le fece notare che pure i due pennuti prendevano le difese del villaggio, Birichina, stizzita, rimandò Abracadabra e Alakazam in giardino e, dopo essersi arrabbiata col Sindaco pensando che fosse stato lui a metterle contro i suoi adorati animali. Diede sei mesi di tempo al villaggio di Ramoscello Fiorito perché trovasse qualcuno capace di farla ridere senza dover chiamare le oche. Durante i sei mesi concessi la fata si sarebbe impegnata a chiamare le oche una per volta senza attivare l’incantesimo. Mastro Quercia tornò al villaggio sollevato per la tregua raggiunta e raccontò ai concittadini il risultato dell’incontro. Subito, da Ramoscello Fiorito, cominciarono ad inviare ambasciate nei reami vicini cercando qualcuno in grado di far ridere Birichina sperando di sciogliere, così, l’incantesimo scherzoso.

Il tempo però passava e nessuno si presentava finché una sera Mastro Quercia, ormai rassegnato, sentì bussare alla porta del Municipio, aprì e si trovò di fronte un nano, conosciuto nei Regni confinanti col nome di Re Trottola perché era solito spostarsi molto velocemente girando su se stesso proprio come una trottola. Re Trottola disse che era venuto a Ramoscello Fiorito per liberare il villaggio dall’incantesimo scherzoso e chiese di poter passare lì la notte dopo aver parlato, da solo, con il Sindaco. Il mattino seguente prese congedo e ripartì per raggiungere la Montagna Incantata.

Appena giunto al palazzo della fata Birichina e presentatosi dichiarando il motivo per cui era venuto, la fata, decisa a non dare alcuna possibilità al nano, visto che mancavano ormai pochi giorni allo scadere del tempo concesso al villaggio e poi sarebbe tornata a divertirsi con le sue oche, pensò di cominciare a divertirsi da subito facendo qualche scherzo al nuovo venuto e lo invitò ad entrare, dicendogli che avrebbe soggiornato a palazzo come si conveniva ad un Re Trottola per il tempo che mancava allo scadere dei sei mesi. Re Trottola, dal canto suo, avrebbe aiutato Birichina nei lavori di palazzo che non erano di competenza della servitù.

Vista la velocità e la bravura di Trottola nel portare a termine i compiti affidatigli, Birichina, che cominciava a provare simpatia per quel nano sempre paziente nell’esaudire i suoi capricci, gli chiese di costruire un laghetto nel giardino per le sue oche a cui voleva fare un regalo. In un lampo nel giardino comparve un grazioso specchio d’acqua in cui Abracadabra e Alakazam si tuffarono a nuotare felici. Incuriosita da un improvviso starnazzare prolungato che non sentiva da tanto tempo, Birichina si precipitò nel giardino per vedere cosa stesse accadendo alle sue oche e appena vide gli animali che giocavano senza pensieri, contenta per il lavoro svolto, chiamò il nano che saltò fuori dal laghetto delle oche facendo “ qua qua” come se fosse stato anche lui un’oca, bagnando da capo a piedi la fata che si mise a ridere divertita per lo scherzo ben riuscito.

Quella notte, quando andò a dormire, Birichina sognò di un tempo passato quando il palazzo sulla Montagna era un castello e lei era la principessina dispettosa che vi abitava con il Re e la Regina suoi genitori. Sognò anche di un ragazzino che correva velocemente girando su se stesso come una trottola e accompagnava lo zio, che era il Sindaco di Ramoscello Fiorito, quando era convocato dai sovrani al castello, mentre i due fanciulli facevano sempre degli scherzi tanto agli abitanti del villaggio per mezzo della servitù quanto alla servitù stessa, finché un giorno lo Spirito della Montagna Incantata, stanco di vedere trattati così gli gnomi e i piccoli elfi, dopo aver messo Mastro Quercia a conoscenza dei suoi piani futuri, attivò l’incantesimo scherzoso che sarebbe terminato solo quando Birichina e Trottola avessero imparato a divertirsi tra di loro senza fare troppi dispetti agli altri. Al risveglio Birichina si trovò nella camera di un bellissimo castello. Il re e la regina erano in piedi a bordo letto per darle il buongiorno. Subito corse ad aprire la finestra per guardare nel giardino dove erano vissute le oche. Vicino al laghetto un ragazzo che ricordava di conoscere fin da bambina la salutava con la mano. Tutti avevano ripreso le loro sembianze di un tempo: lei, i suoi genitori, Trottola. L’incantesimo era stato sciolto.

Nel Reame di Arcadia sul Colle era tornata la felicità e, a eterno ricordo dell’evento, a Ramoscello Fiorito fu organizzata una grande festa che durò molti giorni. Nell’occasione vennero celebrate le nozze fra Trottola e Birichina e si decise che le oche sarebbero sempre state le benvenute nel reame di Arcadia sul Colle. Ne vennero pure scolpiti due esemplari nello stemma del villaggio e quando venne il loro momento di governare Birichina e Trottola si dimostrarono una saggia Regina per Arcadia sul Colle ed un Sindaco giusto e coscienzioso per Ramoscello Fiorito, per i molti anni che vissero, insieme, felici e contenti.”

La Commissione di valutazione costituita da scrittori, poeti e giornalisti rinnovano i complimenti a Marco Polli per l’eccellente componimento; congratulazioni.

A breve pubblicheremo l’intervista a lui dedicata.

Informazioni più dettagliate dell’autore sono reperibili nella sua pagina Facebook

https://www.facebook.com/marco.polli.5

Grazie