Le foto di Domon Ken in mostra a Roma

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Domon  Ken. Il Maestro del realismo giapponese è stata inaugurata lo scorso 27 maggio all’Ara Pacis di Roma: si tratta di una mostra monografica dedicata al fotografo giapponese Domon Ken. L’esposizione resterà aperta fino al 18 settembre e raccoglie scatti a colori e in bianco e nero realizzati tra il 1920 e il 1970.

Nato a Sakata, nel nord del Giappone, Domon Ken (morto nel 1990, 81enne) è considerato uno dei massimi esponenti del realismo sociale, corrente di ispirazione marxista al quale aderì anche perché più gradita al governo e meno ostacolata.

L’evento è stato pensato in relazione alla celebrazione del 150° anniversario del primo Trattato di Amicizia e Commercio, firmato il 25 agosto 1866, tra Italia e Giappone, che ha sancito l’inizio dei rapporti diplomatici tra i due Paesi. A questa esposizione seguiranno, nel corso dell’anno, altre mostre, spettacoli teatrali e di danza, concerti, rassegne di lettura, eventi dedicati ad architettura, fumetto e sport, e tutto per approfondire il mondo tecnologico e culturale del Giappone.

Domon  Ken. Il Maestro del realismo giapponese è promossa da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con il supporto del Bunkacho – Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone e della Japan Foundation, organizzata da MondoMostre Skira con Zètema Progetto Cultura.

La professoressa Rossella Menegazzo (docente di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano) e il Maestro Takeshi Fujimori (direttore artistico del Ken Domon Museum of Photography di Sakata, museo che ha collaborato alla realizzazione dell’esposizione) ne sono i curatori.

Nikon, marchio da sempre legato a Domon Ken e Fujifilm, che ha curato la stampa delle foto, sono sponsor della mostra.

Nell’allestimento romano trovano posto circa 150 fotografie di soggetti diversi, dai primi scatti di impostazione giornalistica, di propaganda e promozione del Paese, a quelli di ambito sociale, vissuti quasi come dovere umanitario: Domon Ken era iscritto al partito comunista e il suo impegno sociale e politico si riversa inevitabilmente anche nella sua attività artistica, dunque con la sua fotografia realista voleva portare a galla le cicatrici profonde della società giapponese in frantumi.

Domon Ken ha raccontato il Giappone dagli anni Venti agli anni Settanta attraverso la sua fotografia: dall’ante guerra al dopoguerra, i suoi scatti raccontano un Paese affascinante, ma anche in crisi. La comunicazione visiva si carica di un ventaglio di sentimenti ampio e ricco: c’è spazio per la rabbia, per la gioia, per la tristezza, per la miseria, per l’abbandono, per la bellezza, per la rinascita.

Takeshi Fujimori, co-curatore della mostra nonché allievo di Domon Ken, ha ricordato il suo Maestro come un uomo di poche parole, non a caso soprannominato “il diavolo della fotografia“, perché non apriva mai bocca e carpirgli i più intimi pensieri era quasi impossibile. Altro soprannome che gli fu dato fu “Domodigliani“,  in riferimento alla sua passione per il pittore italiano.

Domon Ken: le sezioni della mostra

La sezione “Bambini” raccoglie scatti realizzati in diverse aree del Giappone, in particolare i quartieri bassi di Tokyo, Ginza, Shinbashi, Nagoya, Osaka e quelli della sua infanzia. Se questa scelta rimanda ad un sentimento nostalgico legato alla fanciullezza, di altra natura sono le foto con cui denunciò le condizioni di vita nei villaggi nelle zone minerarie di Chikuhō nell’isola di Kyūshū. La povertà, la miseria, l’abbandono, la denutrizione: questi mali vengono portati all’attenzione del mondo attraverso gli occhi dei bambini. Da parte del fotografo c’è sicuramente lo sguardo socialmente impegnato di una fotografia realista di stampo socialista.

Hiroshima”, raccolta di foto del 1958, dunque pubblicata a distanza di oltre dieci anni dallo sgancio dell’atomica sulla città, raccoglie foto molto forti: orribili mutilazioni, luoghi distrutti, ospedali affollati, malati in fin di vita, famiglie costrette a fare i conti con la morte dei loro cari. Quello che Domon Ken va a documentare è la realtà nella sua essenza più cruda e più drammaticamente concreta.

Ritratti” (Fūbō) è una sezione che raccoglie fotografie di personaggi pubblici giapponesi del mondo della scienza, dello spettacolo, della letteratura, dell’arte.

Infine un’altra consistente parte della mostra è “Pellegrinaggio ai Templi Antichi”, raccolta di immagini di sculture e architetture buddhiste: la prof.ssa Menegazzo ricorda come Domon avesse la capacità di restare ad osservare una statua anche per ore, fino allo stremo, prima di iniziare a fotografare.

Isabel Russinova racconta la chiave della sua Virginia B

L’atmosfera raccolta del Teatro Belli, nel pieno centro di Roma, è la cornice perfetta per raccontare una storia di non semplice rappresentazione. Virginia (Isabel Russinova) e suo marito, il Professore (Antonio Salines), sono una coppia sposata da oltre vent’anni e con una figlia (Annabella Calabrese) già in età da marito. Sullo sfondo i magnifici anni ’50 e il loro boom economico e culturale a fare da contesto, le pagine dei due diari tenuti dai protagonisti come escamotage per introdurre il tema dell’intimità insieme alla citazione del rivoluzionario Rapporto Kinsey, l’indagine sui comportamenti sessuali di uomini e donne americani che sfidava i convenzionali tabù e svelava i segreti delle camere da letto. Il Professore voleva parlarne dei suoi segreti e lo faceva con Lorenzo (Fabrizio Bordignon), un giovane amico di famiglia, infatti: confessava a lui tutte le sue perversioni ed esprimeva senza remore il desiderio di praticarle, soprattutto, rendendolo complice a vari livelli. Ogni tanto questo accadeva anche con la sua elegante moglie Virginia, la cui educazione però le impediva non solo di affrontare l’argomento a parole, ma anche di vivere appieno la sua sessualità. Fino ad un giorno in particolare, quando qualcuno deciderà di uscire allo scoperto per iniziare a dare corpo a tutte le passioni represse per tanto tempo, scelta che condurrà ad un tragico finale.

Isabel Russionva

Isabel Russinova, artista di grande esperienza che sul palco veste i panni della protagonista Virginia, in qualità di sceneggiatrice dell’intera rappresentazione risponde a qualche curiosità sulle origini di questo interessantissimo spettacolo.

Dal Giappone all’Italia degli anni’50 per omaggiare il capolavoro di un autore complesso come Junichiro Tanizaki: quali sono state le caratteristiche di questa opera che l’hanno colpita fin da subito e l’hanno convinta a scriverne un adattamento teatrale dal sapore particolarmente nostrano?

– Tanizaki è un autore con mille sfaccettature e contraddizioni, intenso e delicato, drammatico e allo stesso tempo ironico, innamorato della sua tradizione ma profondamente affascinato dall’occidente, sicuramente interessante e coinvolgente proprio come la figura femminile che ama rappresentare: luminosa, intelligente, magnetica, ti porta dentro al suo mondo e ne resti affascinata. Il suo sentire, il sentire dei suoi personaggi, è universale, è il sentire dell’uomo; io l’ho trasferito nel mondo che conosco, quello occidentale, e inserito   negli anni 50, ancora non così lontani dal dopoguerra ma così proiettati verso l’imminente boom economico. Tanizaki racconta il muoversi leggero e meraviglioso di personaggi in kimono, tra tradizioni, usanze e pensieri distanti per cultura e storia da noi, anche se la capacità di percepire è la stessa, non ha tempo né luogo.

Due gli adattamenti cinematografici del passato, tra cui l’omonimo film “La Chiave”, diretto da Tinto Brass ed interpretato da Stefania Sandrelli, record di incassi al botteghino nel 1983. Trascurando per un momento le differenze di linguaggio e, se vogliamo, anche di intenzioni, ci può raccontare come secondo lei è cambiato il modo di raccontare l’eros al pubblico da allora?

– Brass ha raccontato, attraverso la sua visionarietà e la sua sensibilità, mosso anche dal pulsare della società di allora, il cinema, il teatro, l’arte e la cultura che, come specchio del tempo, lo subiscono e contemporaneamente lo vogliono forgiare.  La mia scrittura parte dalla mia sensibilità, da un’idea di eros che è pensiero, fantasia, poesia, delicatezza, dolcezza e assolutamente lontana dalla carne…

Tornando invece al discorso cinema/teatro, le chiedo di confermare un’impressione: è possibile che parlare di erotismo tra le quinte teatrali sia un modo di farlo che più si avvicina a quello delicato che l’autore giapponese utilizza per descrivere il vero e proprio viaggio introspettivo che i due protagonisti, seppur adulti, compiono nelle coscienze individuali alla ricerca della loro dimensione sessuale?

– Credo che il racconto sia frutto della sensibilità di chi lo crea e non del linguaggio che utilizza. Quando prima di scrivere e mettere in scena il testo ne avevo parlato, più di un interlocutore non riteneva possibile portare in teatro l’erotismo, forse perché ancora legati all’immaginario di Brass, solo con la parola, ora si sono ricreduti… Quando leggiamo un libro o ascoltiamo un racconto, ciascuno crea da quegli spunti le proprie immagini, i volti, i personaggi, la loro voce, gli ambienti, le azioni che sono diverse per ognuno di noi.

Feticismo, masochismo, dominazione e adulterio sono alcuni dei punti su cui il racconto indugia, argomenti che ben si sposano con l’intreccio da noir psicologico della trama. La virata tragica che la storia prende sul finale sembra un chiaro riferimento al binomio classico Eros/Tanathos, il mito greco dei due massimi principi che, opponendosi, reggono il cosmo: in quale relazione ha desiderato mettere questi due estremi durante la stesura della sceneggiatura?

– Si, per la stesura del testo ho scelto proprio la strada del “noir psicologico “. La psicoanalisi freudiana dibatte proprio di questo -eros e morte- nel suo saggio “Al di là del principio di piacere” e ne parla ampiamente. Mi interessava però raccontare anche la ribellione di Virginia, il suo percorso psicologico in bilico tra moralismi e insofferenze, tra buio e luce, la sua scelta che  si fa strada travestita da non-scelta.

Considerato il suo percorso di emancipazione a cui abbiamo potuto assistere durante lo spettacolo, possiamo considerare Virginia una femminista?

– In un certo senso direi proprio di sì.

InGiappone Quaderni di Percorsi Storici

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InGiappone, Quaderni di Percorsi Storici è una delle ultime raccolte di saggi pubblicate dalla rivista storico-geografica InStoria. La raccolta, a cura del direttore responsabile Matteo Liberti, giornalista di Focus Storia, sceglie il Paese del Sol Levante per l’uscita numero 20. Continua a leggere