Extracomunitari in campo

le categorie minori li invocano: “Italiani esigenti, non ci sono soldi

C’era una volta Jean Marc Bosman”. Classe 1964, calciatore di nazionalità belga, centrocampista di ruolo che costruì la sua carriera agonistica indossando prevalentemente le maglie di Standard Liegi e RFC Liegi.

Nel 1990 inizia la sua personale “odissea”.

Nonostante il contratto con l’RFC Liegi fosse scaduto, gli fu impedito il trasferimento alla squadra francese del Dunkerque; da qui nacque una controversia giudiziaria fra il calciatore e la Federazione Nazionale calcistica belga.

Si arriva, così ad una sentenza, datata 15 Novembre 1995, che fa storia. La Corte di Giustizia Europea stabilisce infatti che i calciatori che giocano nei paesi dell’UE sono come i normali lavoratori ovvero hanno diritto alla libera circolazione.

Bosman vinse la causa, cambiò lo scenario calcistico globale, ma questa battaglia sancì la fine della sua carriera. La sentenza, che prese presto il suo nome, spalancò così le porte dell’Europa a tutti i calciatori extracomunitari.

L’Inter di Massimo Moratti fu la prima ad aprire le porte di casa a numerosi giocatori stranieri. Le altre squadre italiane, seppur non ai livelli della Beneamata, si son tenuti stretti quei pochi, buoni giocatori nostrani a disposizione, misero da parte i loro vivai puntando a costruire formazioni “stellari”, sulla scia di quanto stava accadendo già negli altri campionati europei, “Real Madrid docet”.

Se a livello di club pian piano più di un successo è arrivato, non si può dire lo stesso per la nostra Nazionale.

Dopo il trionfo mondiale del 2006, il calcio italiano iniziò a scoprire quanto era un peccato non valorizzare le promettenti “stelle nostrane” delle squadre primavera.

Il tonfo ai campionati del mondo in Sudafrica fu la goccia che fece traboccare il vaso e spinse, gli “addetti ai lavori”, ad una seria riflessione.

Oggi, possiamo dirlo, una discreta marcia indietro è stata fatta”; si punta ad una sostanziosa riduzione del parco stranieri, extracomunitari soprattutto, in rosa e una maggiore attenzione ai giocatori di casa nostra.

Se in Serie A e B questo percorso può rivelarsi vantaggioso, con buona pace della Nazionale Italiana che può sperare di contare, in futuro, su un gruppo di giocatori più che buoni, non si può dire che le compagini delle categorie minori godano di altrettanta fortuna.

Nella massima Serie, complici gli sponsor che diversi calciatori, sia stranieri che extracomunitari con elevato curriculum sportivo ancora introducono, vi sono utili più che sostanziosi. Utili crescenti sempre più grazie anche ai diritti di trasmissione televisiva: quest’enorme quantità di denaro circolante permette alle società di respirare, vivere e dormire sonni tranquilli. Questo accade, nonostante quel minimo di fair-play finanziario imposto dall’UEFA, contro gli ingaggi stratosferici.

Napoli e Fiorentina, due squadre oggi in lotta per l’Europa, sono gli unici gloriosi nomi che, in passato, hanno dovuto fare i conti con storie di fallimenti e ripartenze da zero.

La Lazio, finita in cattive condizioni dopo la fine della vincente era Cragnotti, andò vicina al fallimento nel 2004. Solo una più che sostanziosa rateizzazione del debito permise all’attuale patron, Claudio Lotito, di mantenere a galla la società biancoceleste.

Altre società, invece, sull’orlo del crac o fallite del tutto, furono costrette a ricominciare con pesanti penalizzazioni oppure retrocedendo d’ufficio in Serie D o nel Campionato dEccellenza.

Il 2015 è stato il vero incubo per molte di esse: cominciamo con il vecchio e glorioso Parma. “Odissea” economico-societaria iniziata con la fine dell’epoca di Calisto Tanzi passando per l’esperienza poco felice di Tommaso Ghirardi.

Non furono più pagati gli stipendi ai calciatori e dopo una retrocessione sul campo in Serie B, la squadra fu costretta a ripartire dai Dilettanti. Oggi la squadra ducale gioca in Lega Pro sperando di tornare presto nel calcio che conta.

Nelle serie minori, conobbero gli inferi Barletta, Monza e Savoia: un tempo squadre battagliere e con un passato anche nei cadetti.

Anche Brescia, Lecce, Pisa e Varese non vivono condizioni migliori.

Altri spiacevoli precedenti, verificatesi negli ultimi venti anni, portano i nomi di Arezzo, Campobasso, Cosenza, Foggia, Fortis Spoleto, Lucchese, Messina, Padova, Perugia, Piacenza, Reggina, Siena, Spal, Taranto, Treviso, Venezia, Viareggio.

Perché si arriva al fallimento e conseguente sparizione dal calcio professionistico?

L’analisi che si può tracciare è questa: squadre formate al loro interno da giovani calciatori italiani promettenti, alcuni non proprio dei campioni, ma comunque bravi; rappresentano valori aggiunti per le loro società.

I problemi sorgono quando ci si siede al tavolo per parlare di stagione e contratto. Giocatori molto esigenti e dagli ingaggi stratosferici. Soldi che molti Presidenti, nonostante la loro passione e volontà, non possono proprio permettersi.

Salvo iniziative dell’ultima ora che non conosciamo, o non ci son pervenute, non siamo a conoscenza di alcuna iniziativa economico-finanziaria da parte della FIGC, Federazione Italiana Gioco Calcio, a sostegno di queste stesse società. Ciliegina amarissima su una torta già avariata in partenza, nessun introito (ammesso che ce ne siano ma sicuramente poca cosa) proveniente da diritti TV, radiofonici o sponsor.

Un calcio italiano dai due volti”: quello d’elite, fatto in parte di stranieri, in parte di giovani nostrani che, già quanto a diritti d’immagine, rappresentano un sostanzioso patrimonio da non buttare o sperperare.

I diritti TV poi, acquisiti ogni anno dalle Leghe di A e B, completano l’opera. Insomma, un sistema funzionante dove il soldo c’è e circola anche bene.

Dall’altra parte troviamo un pallone decisamente più umile, povero che, rispetto al calcio professionistico, avrebbe bisogno di un maggior numero di extracomunitari in campo, ma conosce solo ferree limitazioni.

Come mai quest’invocazione a furor di popolo? Nonostante l’invito ad accantonare o ridurre la presenza dello straniero nel calcio professionistico e i divieti imposti alle stesse categorie minori, i giocatori provenienti dall’estero sembrano essere l’unica, vera risorsa di sostentamento. Allo stato attuale dei fatti, facilmente prevedibile il braccio di ferro fra serie minori e vertici federali senza precedenti e senza esclusione di colpi.

Extracomunitari sì?

Extracomunitari no?

I campionati minori, sulla scia di Amleto, rispondono in coro: “questo il dilemma”.

Ritratto di un pallone diviso in due parti: da una parte come “Paperon de Paperoni”, dall’altra più povero e sgonfiato.

Marco Chinicò autore