Il Codice della privacy per l’attività giornalistica

Il Codice della privacy per l’attività giornalistica (3 agosto 1998)
Dlgs. 30 giugno 2003 n. 196. Codice in materia di protezione dei dati
personali. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 luglio 2003, n. 174, S.O).
TITOLO XII . Giornalismo ed espressione letteraria ed artistica.
Capo I – Profili generali
136. Finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero.
1. Le disposizioni del presente titolo si applicano al trattamento:
a) effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle
relative finalità;
b) effettuato dai soggetti iscritti nell’elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti di cui
agli articoli 26 e 33 della legge 3 febbraio 1963, n. 69;
c) temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di
articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell’espressione artistica.
137. Disposizioni applicabili.
1. Ai trattamenti indicati nell’articolo 136 non si applicano le disposizioni del presente codice
relative:
a) all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26;
b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari;
c) al trasferimento dei dati all’estero, contenute nel Titolo VII della Parte I.
2. Il trattamento dei dati di cui al comma 1 è effettuato anche senza il consenso dell’interessato
previsto dagli articoli 23 e 26.
3. In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all’articolo 136 restano
fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2 e, in particolare,
quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere
trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o
attraverso loro comportamenti in pubblico.
138. Segreto professionale.
1. In caso di richiesta dell’interessato di conoscere l’origine dei dati personali ai sensi
dell’articolo 7, comma 2, lettera a), restano ferme le norme sul segreto professionale degli
esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia.
Capo II – Codice di deontologia
139. Codice di deontologia relativo ad attività giornalistiche.
1. Il Garante promuove ai sensi dell’articolo 12 l’adozione da parte del Consiglio nazionale
dell’ordine dei giornalisti di un codice di deontologia relativo al trattamento dei dati di cui
all’articolo 136, che prevede misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate
alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di
salute e la vita sessuale. Il codice può anche prevedere forme semplificate per le informative di
cui all’articolo 13.
2. Nella fase di formazione del codice, ovvero successivamente, il Garante, in cooperazione con il Consiglio, prescrive eventuali misure e accorgimenti a garanzia degli interessati, che il
Consiglio è tenuto a recepire.
3. Il codice o le modificazioni od integrazioni al codice di deontologia che non sono adottati dal Consiglio entro sei mesi dalla proposta del Garante sono adottati in via sostitutiva dal
Garante e sono efficaci sino a quando diviene efficace una diversa disciplina secondo la
procedura di cooperazione.
4. Il codice e le disposizioni di modificazione ed integrazione divengono efficaci quindici giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’articolo 12.
5. In caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia, il Garante può
vietare il trattamento ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera c).
Allegato A. Codici di deontologia
A.1 Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio
dell’attività giornalistica. (Provvedimento del Garante del 28 luglio 1998, in G.U. 3 agosto
1998, n. 179)
Il Codice di deontologia della privacy nell’esercizio dell’attività giornalistica
Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali
nell’esercizio dell’attività giornalistica. (Provvedimento del Garante 29 luglio
1998 in G. U. del 3 agosto 1998 n. 179 – art.
139 e Allegato A del Dlgs n. 196/2003).
Il Garante per la protezione dei dati personali,
Visto l’art. 25 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, come modificato dall’art. 12 del decreto
legislativo 13 maggio 1998 n. 171, secondo il quale il trattamento dei dati personali nell’esercizio della professione giornalistica deve essere effettuato sulla base di un apposito codice di deontologia, recante misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportati alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale;
Visto il comma 4-bis dello stesso art. 25, secondo il quale tale codice è applicabile anche all’attività dei pubblicisti e dei praticanti giornalisti, nonché a chiunque tratti temporaneamente i dati personali al fine di utilizzarli per la pubblicazione occasionale di articoli, di saggi e di altre manifestazioni di pensiero;
Visto il comma 2 del medesimo art. 25, secondo il quale il codice di deontologia è adottato dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti in cooperazione con il Garante, il quale ne promuove l’adozione e ne cura la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
Vista la nota prot. n. 89/GAR del 26 maggio 1997, con la quale il Garante ha invitato il Consiglio nazionale dell’ordine ad adottare il codice entro il previsto termine di sei mesi dalla data di invio della nota stessa;
Vista la nota prot. n. 4640 del 24 novembre 1997, con il quale il Garante ha aderito alla richiesta di breve differimento del predetto termine di sei mesi, presentata il 19 novembre dal presidente del Consiglio nazionale dell’ordine;
Visto il provvedimento prot. n. 5252 del 18 dicembre 1997, con il quale il Garante ha segnalato al Consiglio nazionale dell’ordine alcuni criteri da tenere presenti nel bilanciamento delle libertà e dei diritti coinvolti dall’attività giornalistica;
Vista la nota prot. n. 314 del 23 gennaio 1998, con la quale il Garante ha formulato altre
osservazioni sul primo schema di codice elaborato dal Consiglio nazionale dell’ordine e trasmesso al Garante con nota prot. n. 7182 del 30 dicembre 1997;
Vista la nota prot. n. 204 del 15 gennaio 1998, con la quale il Garante, sulla base della prima
esperienza di applicazione della legge n. 675/1996 e dello schema di codice elaborato, ha
rappresentato al Ministro di grazia e giustizia l’opportunità di una revisione dell’art. 25 della legge, che è stato poi modificato con il citato decreto legislativo n. 171 del 13 maggio 1998;
Vista la nota prot. n. 5876 del 30 giugno 1998, con la quale il Garante ha invitato il Consiglio
nazionale dell’ordine ad apportare alcune residuali modifiche all’ulteriore schema approvato dallo stesso Consiglio nella seduta del 26 e 27 marzo 1998 e trasmesso al Garante con nota prot. n. 1074 dell’8 aprile;
Constatata l’idoneità delle misure e degli accorgimenti a garanzia degli interessati previsti dallo schema definitivo del codice di deontologia trasmesso al Garante dal Consiglio nazionale dell’ordine con nota prot. n. 2210 del 15 luglio 1998;
Considerato che, ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge n. 675/1996, il codice deve essere
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, a cura del Garante, e diviene efficace quindici giorni dopo la sua pubblicazione; dispone la trasmissione del Codice di deontologia, che figura in allegato, all’ufficio pubblicazione leggi e decreti del Ministero di grazia e giustizia per la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Roma, 29 luglio 1998
Il presidente Rodotà
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ALLEGATO
ORDINE DEI GIORNALISTI
CONSIGLIO NAZIONALE
Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali
nell’esercizio dell’attività giornalistica ai sensi dell’art. 25 della
legge 31 dicembre 1996 n. 675.
Articolo 1 – Principi generali
1. Le presenti norme sono volte a contemperare i diritti fondamentali della persona con il diritto dei
cittadini all’informazione e con la libertà di stampa.
2. In forza dell’art. 21 della Costituzione, la professione giornalistica si svolge senza autorizzazioni
o censure. In quanto condizione essenziale per l’esercizio del diritto-dovere di cronaca, la raccolta,
la registrazione, la conservazione e la diffusione di notizie su eventi e vicende relative a persone,
organismi collettivi, istituzioni, costumi, ricerche scientifiche e movimenti di pensiero, attuate
nell’ambito dell’attività giornalistica e per gli scopi propri di tale attività, si differenziano nettamente
per la loro natura dalla memorizzazione e dal trattamento di dati personali ad opera di banche dati o
altri soggetti. Su questi principi trovano fondamento le necessarie deroghe previste dai paragrafi 17
e 37 e dall’art. 9 della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione
europea del 24 ottobre l995 e dalla legge n. 675/1996.
Articolo 2 – Banche-dati di uso redazionale e tutela degli archivi personali dei giornalisti
1. Il giornalista che raccoglie notizie per una delle operazioni di cui all’art. 1, comma 2, lettera b) della legge n. 675/1996 rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta, salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa; evita artifici e pressioni indebite. Fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire gli altri elementi dell’informativa di cui all’art. 10, comma 1, della legge n. 675/1996.
2. Se i dati personali sono raccolti presso banche dati di uso redazionale, le imprese editoriali sono
tenute a rendere noti al pubblico, mediante annunci, almeno due volte l’anno, l’esistenza
dell’archivio e il luogo dove è possibile esercitare i diritti previsti dalla legge n. 675/1996. Le
imprese editoriali indicano altresì fra i dati della gerenza il responsabile del trattamento al quale le
persone interessate possono rivolgersi per esercitare i diritti previsti dalla legge n. 675/1996.
3. Gli archivi personali dei giornalisti, comunque funzionali all’esercizio della professione e per
l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, sono tutelati, per quanto concerne le fonti delle
notizie, ai sensi dell’art. 2 della legge n.69/1963 e dell’art. 13, comma 5 della legge n. 675/1996.
4. Il giornalista può conservare i dati raccolti per tutto il tempo necessario al perseguimento delle
finalità proprie della sua professione.
Articolo 3 – Tutela del domicilio
1. La tutela del domicilio e degli altri luoghi di privata dimora si estende ai luoghi di cura,
detenzione o riabilitazione, nel rispetto delle norme di legge e dell’uso corretto di tecniche invasive.
Articolo 4 – Rettifica
Il giornalista corregge senza ritardo errori e inesattezza, anche in conformità al dovere di rettifica
nei casi e nei modi stabiliti dalla legge.
Articolo 5 – Diritto all’informazione e dati personali
1. Nel raccogliere dati personali atti a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose,
filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, adesioni a partiti, sindacati, associazioni o
organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché dati atti a rivelare le
condizioni di salute e la sfera sessuale, il giornalista garantisce il diritto all’informazione su fatti di
interesse pubblico, nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione, evitando riferimenti a congiunti o
ad altri soggetti non interessati ai fatti.
2. In relazione a dati riguardanti circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o
attraverso loro comportamenti in pubblico, è fatto salvo il diritto di addurre successivamente motivi
legittimi meritevoli di tutela.
Articolo 6 – Essenzialità dell’informazione
1. La divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto
della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione
dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché
della qualificazione dei protagonisti.
2. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le
notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica.
3. Commenti e opinioni del giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà
di parola e di pensiero costituzionalmente garantita a tutti.
Articolo 7 – Tutela del minore
1. Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di
cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione.
2. La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle
sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati.
3. Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al
diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo
restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori,
dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse
oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla «Carta di Treviso».
Articolo 8 – Tutela della dignità delle persone
1. Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o
fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su
dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine.
2. Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il
giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il
consenso dell’interessato.
3. Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia
necessario per segnalare abusi.
Articolo 9 – Tutela del diritto alla non discriminazione
1. Nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della
persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni
personali, fisiche o mentali.
Articolo 10 – Tutela della dignità delle persone malate
1. Il giornalista, nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona, identificata o
identificabile, ne rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza e al decoro personale, specie nei casi
di malattie gravi o terminali, e si astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente
clinico.
2. La pubblicazione è ammessa nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e
sempre nel rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare
rilevanza sociale o pubblica.
Articolo 11 – Tutela della sfera sessuale della persona
1. Il giornalista si astiene dalla descrizione di abitudini sessuali riferite ad una determinata persona,
identificata o identificabile.
2. La pubblicazione è ammessa nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e
nel rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza
sociale o pubblica.
Articolo 12 – Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penali
1. Al trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall’art. 24
della legge n. 675/1996.
2. Il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’art. 686, commi 1, lettere
a) e d), 2 e 3, del Codice di procedura penale è ammesso nell’esercizio del diritto di cronaca,
secondo i principi di cui all’art. 5.
Articolo 13 – Ambito di applicazione, sanzioni disciplinari
1. Le presenti norme si applicano ai giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti e a chiunque
altro, anche occasionalmente, eserciti attività pubblicistica.
2. Le sanzioni disciplinari, di cui al titolo III della legge n. 69/1963, si applicano solo ai soggetti
iscritti all’albo dei giornalisti, negli elenchi o nel registro.
Il presidente Petrina
Il “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio
dell’attività giornalistica” (meglio noto come Codice deontologico sulla privacy),
pubblicato il 3 agosto 1998 nella “Gazzetta Ufficiale”. Oggi è l’Allegato A del
Dlgs n. 196/2003 o Testo unico sulla privacy (che ne parla all’articolo 139).
di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia; docente a contratto di Diritto
dell’informazione presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e presso l’Università
Iulm di Milano.
“Il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività
giornalistica” (meglio noto come Codice deontologico sulla privacy), pubblicato il 3 agosto 1998
nella “Gazzetta Ufficiale”, è diventato “efficace” quindici giorni dopo. Oggi è l’Allegato A del
Dlgs n. 196/2003 o Testo unico sulla privacy (che ne parla all’articolo 139). Questo Codice, frutto
di nove mesi di trattative tiratissime e che hanno sfiorato la rottura quando l’Ufficio del Garante ha
respinto il primo testo, costituisce un evento molto importante nella storia del giornalismo italiano
per molteplici aspetti. Previsto originariamente dall’articolo 25 della legge n. 675/1996 sulla
privacy, il Codice “assume il rango di una speciale norma secondaria frutto della convergenza
della volontà del Consiglio nazionale e delle misure di indirizzo indicate dal Garante” (“Nella fase
di formazione del Codice, ovvero successivamente, il Garante in cooperazione con il Consiglio –
dice l’articolo 25 (oggi articolo 139 del Dlgs n. 196/2003) – prescrive eventuali misure e
accorgimenti a garanzia degli interessati, che il Consiglio è tenuto a recepire”). “Il Codice – ha già
scritto il professor Stefano Rodotà, presidente dell’Ufficio del Garante – è una norma
dell’ordinamento giuridico generale, e ad essa devono adeguarsi tutti coloro che esercitino funzioni
informative mediante mezzi di comunicazione di massa; pertanto, il suo rispetto verrà garantito dai
diversi organi pubblici ed ovviamente anche dall’Ordine per quanto riguarda le sanzioni
disciplinari applicabili ai soli iscritti”. In nessuna parte del mondo un “Codice di condotta” per
giornalisti ha il vincolo della legge; generalmente la stesura è lasciata all’autogoverno della parte
interessata. Ancora una volta ha vinto la tradizione romanistica, così legata alla codificazione.
Oggi, però, come Allegato A, il Codice è qualcosa di più di una norma secondaria: ha
sostanzialmente il rango di una norma primaria!
L’articolo 13 del Codice precisa che le norme si applicano ai giornalisti professionisti, pubblicisti e
praticanti “e a chiunque altro, anche occasionalmente, eserciti attività pubblicistica”. Tutti coloro
che si avvalgono del diritto di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione e articolo
10 della legge n. 848/1955 sulla “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali”), quindi anche i non-giornalisti, sono tenuti a rispettare le “regole” del
Codice. Non a caso, quindi, il Codice deontologico è “relativo al trattamento dei dati personali
nell’esercizio dell’attività giornalistica” (e non della “professione giornalistica” come ha chiesto
in un primo tempo il Consiglio nazionale dell’Ordine). Le sanzioni disciplinari (avvertimento,
censura, sospensione e radiazione dall’Albo), previste dalla legge sulla professione giornalistica n.
69/1963, “si applicano solo ai soggetti iscritti all’albo dei giornalisti, negli elenchi o nel Registro
(dei praticanti)”. Le violazioni in sostanza sono sanzionate, per quanto riguarda i giornalisti,
soltanto in via disciplinare.
L’articolo 12 del Codice tratta la “Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penali” (Al
trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall’articolo 24
della legge n. 675/1996. Il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui
all’articolo 686, commi 1, lettere a) e d), 2 e 3, del Codice di procedura penale è ammesso
nell’esercizio del diritto di cronaca, secondo i principi di cui all’articolo 5). I giornalisti
conseguentemente possono raccontare quello che risulta scritto nel Casellario giudiziale a carico di
ogni persona: sentenze di condanna, ordini di carcerazione, misure di sicurezza, provvedimenti
definitivi che riguardano l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale,
dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere. Il diritto di cronaca
vince in maniera ampia.
Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti (effettuati nell’esercizio della
professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano
le disposizioni del Testo unico del 2003 relative: a) all’autorizzazione del Garante prevista
dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al trasferimento dei
dati all’estero, contenute nel Titolo VII della Parte I. In sostanza l’articolo 137, non prevedendo il
disco verde del Garante o di soggetti privati, rispetta l’articolo 21 (II comma) della Costituzione che
vuole la stampa non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti dovranno, comunque, trattare i dati
(=notizie) con correttezza e nella loro essenzialità, secondo i vincoli posti dal Codice di deontologia
della privacy del 1998, dagli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963 (sull’ordinamento della
professione giornalistica) e dalla Carta dei doveri del 1993.
Il trattamento dei dati – dice ancora l’articolo 137 – è effettuato anche senza il consenso
dell’interessato previsto dagli articoli 23 (Consenso) e 26 (Garanzie per i dati sensibili). In caso di
diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all’articolo 136 (trattamenti effettuati
nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità)
“restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2 e, in particolare,
quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere
trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o
attraverso loro comportamenti in pubblico”.
Il Testo unico sulla privacy, comunque, non annulla la legge n. 633/1941 sul diritto d’autore.
L’articolo 97 di questa legge afferma: “Non occorre il consenso della persona ritratta quando la
riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da
necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione
è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. Sul risvolto
di tale norma si suole articolare l’ampiezza del diritto di cronaca: si può pubblicare tutto ciò che è
collegato a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Nel concetto di
pubblicazione lecita è compresa anche la fotografia di persone che godano di notorietà o che
ricoprano uffici pubblici. Il giudice può autorizzare la pubblicazione della foto di un minore
sequestrato o scomparso: in questi casi prevale “la necessità di giustizia o di polizia”.
Escluse per i giornalisti le sanzioni penali. Il Codice di deontologia abbraccia il
trattamento dei dati effettuato nell’esercizio dell’attività giornalistica e prevede misure ed
accorgimenti a garanzia degli interessati rapportati alla natura dei dati in particolare per quanto
riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. Le disposizioni sono vincolanti
anche per i trattamenti temporanei finalizzati esclusivamente alla pubblicazione o diffusione
“occasionale” di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero. Le violazioni delle norme sulla
privacy fissate nel Codice potranno comportare, come detto, un’eventuale sanzione disciplinare e
anche un risarcimento del danno, ma non potranno avere, come tali, riflessi penali, se non nel caso
in cui sfocino in una lesione penalmente rilevante (sotto il profilo della diffamazione a mezzo
stampa) della dignità e dell’identità personale dei cittadini protagonisti di fatti di cronaca.
L’articolo 167 (“Trattamento illecito di dati”) del Testo unico chiaramente riguarda i nongiornalisti,
mentre (in base all’articolo 137) i giornalisti possono trattare i dati personali secondo le
regole fissate dal Codice deontologico e delle violazioni rispondono soltanto al loro Consiglio
dell’Ordine. Se chi (non giornalista) tratta illecitamente i dati personali procura nocumento a terzi
rischia da 6 a 18 mesi di carcere e se, invece, diffonde i dati personali illecitamente trattati, rischia
da 6 a 24 mesi di reclusione. Chi, invece, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad
altri danno, procede al trattamento illecito di dati personali viene punito, se dal fatto deriva
nocumento, con la reclusione da uno a tre anni.
La richiesta di risarcimento del danno per violazione della privacy deve essere presentata
dall’interessato direttamente all’autorità giudiziaria e non può essere avanzata tramite il Garante. Lo
ha precisato l’Autorità dichiarando inammissibile la pretesa di un ricorrente che chiedeva la
trasmissione di copia degli atti all’autorità giudiziaria all’esito dell’accertamento contestando una
violazione della privacy in Internet. L’interessato che aveva commissionato ad una società alcuni
servizi per promuovere la propria immagine presso operatori del mondo dello spettacolo si è rivolto
al Garante, contestando la violazione degli accordi contrattuali, chiedendo il blocco del trattamento
e la cancellazione dei dati personali che lo riguardavano dal sito Internet e dagli archivi della
società. Il ricorrente lamentava un’indebita diffusione dei suoi dati consultabili liberamente da
chiunque sul sito della società, in violazione degli accordi che prevedevano l’inserimento di alcuni
dati personali in una banca dati della società, consultabile su Internet, tramite una password, solo da
operatori del settore. I dati, inoltre, avevano continuato ad essere presenti sul sito e l’interessato
aveva continuato a ricevere materiale promozionale nonostante avesse espresso il proprio dissenso
al responsabile della società. Solo dopo l’intervento del Garante la società inviava una nota
esplicativa e nel comunicare il nominativo del responsabile del trattamento affermava di aver
cancellato il dati del ricorrente dai propri archivi e dalla scheda consultabile sul sito. La società
riteneva legittimo il proprio operato sostenendo di aver raccolto il consenso informato del ricorrente
al momento della sottoscrizione del contratto e di aver pubblicato su Internet solo il nome di
battesimo, l’anno di nascita e la provincia di residenza, oltre alcuni dati somatici forniti dallo stesso.
Dati più specifici (cognome, data di nascita) sarebbero stati pubblicati in concomitanza di un
successivo servizio fotografico. Il contestato invio di materiale pubblicitario rientrerebbe, invece,
tra i servizi commissionati. Il ricorrente insoddisfatto ribadiva le proprie richieste.
L’Autorità preso atto delle dichiarazioni della società di aver cancellato i dati dell’interessato, che
comporta anche la immediata interruzione delle comunicazioni commerciali, ha dichiarato sul piano
procedurale il non luogo a provvedere sul ricorso. Per quanto riguarda, invece, la parte relativa alla
richiesta di “trasmissione degli atti” all’autorità giudiziaria ordinaria per il risarcimento del danno
l’autorità ha dichiarato l’inammissibilità, trattandosi di un diritto che l’interessato deve far valere in
prima persona di fronte al giudice civile. La legge sulla privacy, infatti, non ha introdotto
innovazioni nella procedura civile. Analogo discorso va fatto per i ricorrenti che chiedono il
risarcimento direttamente al Garante.
Il ruolo dei Consigli dell’Ordine dei Giornalisti e i riflessi del Codice. La legge sulla
privacy prima e il Testo unico oggi, con il Codice del 1998, accentuano così il ruolo di “giudice
amministrativo disciplinare” dei Consigli regionali e del Consiglio nazionale dell’Ordine. Questi
enti sono stati trasformati dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 505/1995) in veri e propri
“tribunali” amministrativi disciplinari (con tutti i risvolti legati al rispetto delle procedure fissate
dalla legge professionale n. 69/1963, dalla legge n. 241/1990 sulla trasparenza amministrativa e dal
Codice di procedura civile). I Consigli sono già “giudici disciplinari” in base all’articolo 115
(comma 2) del Cpp nei casi in cui i giornalisti violano il divieto posto dall’articolo 114 (comma 6)
del Cpp, pubblicando le generalità e le immagini dei minorenni “testimoni, persone offese o
danneggiati del reato”.
La legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti con le sue regole etiche e la normativa sulla privacy
con il connesso Codice di deontologia – con le garanzie accordate al segreto professionale – formano
un sistema inscindibile, che, nel garantire la libertà di critica e di informazione, concretizza,
tutelandone l’attuazione, il principio sancito dall’articolo 21 della Costituzione. Si ritiene che
qualora, come nel caso di specie, una legge ordinaria disponga misure concrete di tutela ed
attuazione delle libertà di rilievo costituzionale (come la libertà di informazione), sia, per ciò stesso,
da ritenersi ”costituzionalmente vincolata” (sentenza 16/1978 della Corte costituzionale) e, quindi,
non esposta al rischio di referendum. L’articolo 1 del Codice – un vero e proprio “manifesto”
programmatico – contiene un esplicito richiamo all’articolo 21. Non è casuale che l’articolo 1 del
Codice richiami l’articolo 21 della Costituzione. Quel richiamo significa che la professione
giornalistica è direttamente collegata all’esercizio di un diritto centrale della carta costituzionale e
che di riflesso c’è un interesse della collettività (già sottolineato dalle sentenze n. 11/1968 e n.
71/1991 della Corte costituzionale) al “corretto” svolgimento dell’importante attività della
comunicazione multimediale attraverso la vigilanza di un “ente pubblico” (l’Ordine, concepito
come giudice disciplinare) chiamato a valutare il comportamento dei singoli giornalisti in rapporto
a un Codice di condotta voluto dal Parlamento nazionale e dal Parlamento europeo. Oggi pertanto,
in contrasto con la sentenza n. 38/1997 della Corte costituzionale che ha riconosciuto legittimo il
referendum, l’esistenza di un Codice deontologico (vincolante per legge nei confronti dei
giornalisti) appare “sufficiente a far ritenere che l’ordinamento della professione di giornalista sia
essenziale per la tutela di un diritto costituzionale”, perché il Codice stesso, infatti, favorisce
“direttamente” l’esercizio “corretto” del “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con
la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (articolo 21 della Costituzione). Il Codice non
è un “frammento” della normativa sull’attività giornalistica, ma è il “cuore” del sistema giuridico
che protegge l’immagine e l’identità della persona.
Così, con la pubblicazione del Codice, l’Ordine dei Giornalisti guadagna punti rilevanti sul terreno
della legittimità della sua esistenza. La Corte costituzionale ha già sottolineato “la rilevanza
pubblica o di pubblico interesse della funzione svolta da chi professionalmente sia chiamato a
esercitare un’attività d’informazione giornalistica” (sentenze n. 11 e n. 98 del 1968; n. 2 del 1977).
Appare consequenziale l’affermazione (contenuta nell’articolo 6 del Codice) che “commenti e
opinioni del giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà di parola e di
pensiero costituzionalmente garantita a tutti”.
Il confronto tra il Consiglio nazionale e l’Ufficio del Garante aveva un percorso obbligato segnato
dal rispetto delle norme che già ponevano precisi limiti a tutela della riservatezza. Ad esempio, le
disposizioni contro le interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis Cp) o a tutela delle vittime
degli atti di violenza sessuale (art 734 bis Cp), dei minori coinvolti nei procedimenti penali (articoli
114, comma 6, del Cpp e 13 del Dpr 448/1988) e dei malati di Aids (art. 5 della legge 135/1990);
oppure il divieto di interferenze arbitrarie e illegali nella vita dei fanciulli (articolo 16 della legge n.
176/1991 che ingloba la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia). Il Codice tenta un
difficile compromesso tra diritto di cronaca e diritto della persona alla tutela della sua identità e
della sua riservatezza nello spirito dell’articolo 2 del Testo unico (già articolo 1 della legge n.
675/1996).
I “principi generali” del Codice di deontologia sulla privacy (articolo 1) – Le norme (del
Codice) sono volte a contemperare i diritti fondamentali della persona con il diritto dei cittadini
all’informazione e con la libertà di stampa. In forza dell’articolo 21 della Costituzione, la
professione giornalistica si svolge senza autorizzazioni o censure. In quanto condizione essenziale
per l’esercizio del diritto-dovere di cronaca, la raccolta, la registrazione, la conservazione e la
diffusione di notizie su eventi e vicende relative a persone, organismi collettivi, istituzioni, costumi,
ricerche scientifiche e movimenti di pensiero, attuate nell’ambito dell’attività giornalistica e per gli
scopi propri di tale attività, si differenziano nettamente per la loro natura dalla memorizzazione e
dal trattamento di dati personali ad opera di banche dati o altri soggetti. Su questi principi trovano
fondamento le necessarie deroghe previste dai paragrafi 17 e 37 e dall’art. 9 della direttiva
95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea del 24 ottobre l995 e dalla
legge n. 675/1996 (oggi Dlgs n. 196/2003). L’articolo 1 del Codice è un manifesto (senza ombre)
sulla professione giornalistica, che “si svolge senza autorizzazioni o censure”.
Il giornalista non nasconde la propria identità (articolo 2) – Il giornalista che raccoglie
notizie per una delle operazioni di cui all’art. 1, comma 2, lettera b) della legge n. 675/1996
(=trattamento e raccolta delle notizie) rende note la propria identità, la propria professione e le
finalità della raccolta, salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti
impossibile l’esercizio della funzione informativa; evita artifici e pressioni indebite. Fatta palese
tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire gli altri elementi dell’informativa di cui all’art. 10,
comma 1, della legge n. 675/1996. Se i dati personali sono raccolti presso banche dati di uso
redazionale, le imprese editoriali sono tenute a rendere noti al pubblico, mediante annunci, almeno
due volte l’anno, l’esistenza dell’archivio e il luogo dove è possibile esercitare i diritti previsti dalla
legge n. 675/1996. Le imprese editoriali indicano altresì fra i dati della gerenza il responsabile del
trattamento al quale le persone interessate possono rivolgersi per esercitare i diritti previsti dalla
legge n. 675/1996. Gli archivi personali dei giornalisti, comunque funzionali all’esercizio della
professione e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, sono tutelati, per quanto
concerne le fonti delle notizie, ai sensi dell’articolo 2 della legge n.69/1963 e dell’articolo 13,
comma 5 della legge n. 675/1996. Il giornalista può conservare i dati raccolti per tutto il tempo
necessario al perseguimento delle finalità proprie della sua professione. Il giornalista deve
improntare i suoi comportamenti ai principi della lealtà e della buona fede. Deve essere e deve
apparire corretto. I cittadini hanno il diritto di conoscere e di “correggere” tutto ciò li riguarda e che
viene conservato sulla propria persona negli archivi redazionali. L’archivio personale del giornalista
è inviolabile. Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha sanzionato (con
deliberazione 17 luglio 2000) il comportamento del direttore responsabile di un settimanale
milanese che ha trasformato alcuni collaboratori della testata in fedeli, che hanno confessato,
nascondendo la loro identità, comportamenti in contrasto con la morale religiosa per carpire ai
sacerdoti le loro opinioni nel contesto di una inchiesta tendente a stabilire come i singoli sacerdoti
mettessero in pratica certi “orientamenti” espressi dei vertici della Chiesa cattolica nei confronti di
alcuni peccati di natura soprattutto sessuale.
Tutela del domicilio (articolo 3) – La tutela del domicilio e degli altri luoghi di privata dimora si
estende ai luoghi di cura, detenzione o riabilitazione, nel rispetto delle norme di legge e dell’uso
corretto di tecniche invasive. Anche la pubblicazione del numero può dare luogo a una causa èper
risarcimento del danno: “Stante la espressa previsione dell’art. 29 u.c., l. n. 675 del 1996 va
risarcito il danno non patrimoniale conseguente alla illecita diffusione su un quotidiano
dell’indirizzo di casa dell’interessato (nel caso di specie sono stati liquidati 10 milioni)”.(Trib.
Milano, 13/04/2000; parti in causa Iannini C. Soc. R.c.s. ed. e altri; FONTE Dir. Informazione e
Informatica, 2000, 371 – Dir. Informazione e Informatica, 2000, 469, nota di Sica; riferimenti
normativi L 31/12/1996 n.675, Art.29).
Nessuno può essere, ad esempio, fotografato (ricorrendo anche ai teleobiettivi) mentre è in casa
propria, in ospedale o in carcere. L’editore di una rivista milanese è stato condannato a pagare 75
milioni a una giornalista televisiva colta “senza veli” dall’obiettivo mentre prendeva il sole sul
terrazzo di casa. L’Ufficio del Garante ha già condannato “l’uso di tecnologie invasive della
riservatezza o che facilitano comportamenti sleali (ad esempio: uso di teleobiettivi o di microfoni
unidirezionali, captazione di conversazioni private)”.
Non si addice a un fotoreporter, iscritto nell’elenco pubblicisti dell’Albo, braccare una persona sotto
casa, dare la caccia a una persona, molestando e disturbando. La caccia si dà, entro determinati
limiti temporali e di specie, soltanto agli animali. La persona al centro di una storia di cronaca non è
un “prodotto” da vendere al migliore offerente, ma è una persona da rispettare nella sua dignità e
nella sua identità. Nel diritto di cronaca non rientra il “sistema” operativo aggressivo adottato da
taluni fotogiornalisti per procurarsi uno scatto. L’appartenenza all’Ordine dovrebbe determinare
negli iscritti, sia che raccontino i fatti con le parole sia che raccontino gli stessi fatti con le
immagini, il rispetto massimo delle norme deontologiche poste a tutela della dignità delle persone,
valore costituzionale che anima la legge professionale e la normativa sulla privacy. Sono questi gli
argomenti alla base della delibera con la quale il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della
Lombardia ha sanzionato con la sospensione di due mesi dall’attività professionale un giornalista
pubblicista-fotoreporter. Il Consiglio, invece, ha ritenuto legittima la pubblicazione dei nomi e
delle immagini dei due protagonisti della vicenda di cui uno era ex direttore della Tv del Vaticano e,
quindi, personaggio conosciuto. Il Consiglio ha condiviso questa massima giurisprudenziale: “La
notorietà del personaggio ritratto si estende anche ai congiunti, a condizione che costoro ne
condividano in buona parte le vicende umane, inevitabilmente influenzate dalla sua condizione di
uomo pubblico, e si presentino di sovente in pubblico accanto a lui” (Trib. Napoli, 30/09/1898;
Fonte Nuova Giur. Civ., 1990,I,404; Dir. Autore, 1990,382; Dir. Informazione e Informatica, 1990,
520. In taluni casi il diritto di cronaca (tutelato dall’articolo 97 l. n. 633/1941 sul diritto d’autore)
prevale sul diritto alla riservatezza.
Rettifica (articolo 4) – “Il giornalista corregge senza ritardo errori e inesattezze, anche in
conformità al dovere di rettifica nei casi e nei modi stabiliti dalla legge”. Con riferimento
all’articolo 8 della legge n. 47/1948 sulla stampa, il direttore responsabile é tenuto a far inserire
gratuitamente nel giornale o periodico da lui diretto le dichiarazioni e le rettifiche dei soggetti cui
siano stati attribuiti atti, pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o,
comunque, contrari alla verità. La rettifica deve essere pubblicata non oltre due giorni da quello in
cui é avvenuta la richiesta e va collocata nella medesima pagina che ha riportato la notizia cui si
riferisce. Essa, inoltre, deve avere le medesime caratteristiche tipografiche dell’articolo contestato.
Qualora tale termine non sia rispettato il soggetto interessato può, con provvedimento d’urgenza,
chiedere al giudice civile che sia ordinata la pubblicazione. La rettifiche o le dichiarazioni devono
far riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza,
purché contenute nelle trenta righe tipografiche. La rettifica era già, per il giornalista, un dovere
(articolo 2, comma 2, della legge n. 69/19639 e un obbligo giuridico (articolo 8 della legge n.
47/1948). “Il diritto alla rettifica delle notizie pubblicate costituisce fondamentale diritto
della persona a tutelare la propria immagine e dignità. Pertanto la rettifica va pubblicata
conformemente a quanto richiesto, senza che né il direttore del giornale né il giudice abbiano
facoltà di modificarne il testo, o anche di sindacarne il contenuto sotto il profilo della veridicità”
(Trib. S. Maria Capua V., 22 gennaio 1999; Parti in causa Corriere Caserta c. Credito it.; Riviste
Foro Napol., 1999, 37). L’articolo 2 della legge n. 69/1963 impone di “rettificare le notizie che
risultino inesatte e di riparare gli eventuali errori”. L’articolo 4 del Codice arricchisce il quadro di
doveri del giornalista, che è chiamato a rettificare errori ed inesattezze “senza ritardo”.
Diritto all’informazione e dati personali (articolo 5) – Nel raccogliere dati personali atti a
rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni
politiche, adesioni a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere religioso,
filosofico, politico o sindacale, nonché dati atti a rivelare le condizioni di salute e la sfera sessuale,
il giornalista garantisce il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto
dell’essenzialità dell’informazione, evitando riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non
interessati ai fatti. In relazione a dati riguardanti circostanze o fatti resi noti direttamente dagli
interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico, è fatto salvo il diritto di addurre
successivamente motivi legittimi meritevoli di tutela. Il giornalista, quindi, è tenuto a informare sui
“fatti di interesse pubblico”, limitando le cronache agli stretti protagonisti dei fatti medesimi.
Essenzialità dell’informazione (articolo 6) – La divulgazione di notizie di rilevante interesse
pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche
dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei
modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata
delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati
non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Commenti e opinioni del
giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà di parola e di pensiero
costituzionalmente garantita a tutti.
La sfera privata non è protetta, quindi, quando la divulgazione di notizie di rilevante interesse
pubblico o sociale sia indispensabile in presenza di un avvenimento originale o particolare,
nonché della qualificazione dei protagonisti. Rcs Editori è stato, invece, condannato a
risarcire i danni (Tribunale di Milano 13 aprile 2000, Foro italiano 2000, I, 3004) perché un suo
quotidiano aveva pubblicato, nel contesto di una indagine giudiziaria, l’indirizzo privato di
una persona, dato, questo, ritenuto non “essenziale” in quanto privo di finalità informativa.
Anche “la diffusione di immagini di una cerimonia privata, ma caratterizzata da rilevanza e
interesse pubblico per le specifiche circostanze in cui si sia svolta, non si qualifica come lesione
del diritto alla immagine e del diritto alla “privacy” quando, oltre ad ipotizzarsi un consenso
tacito alla diffusione, sia ravvisabile un interesse pubblico alla conoscenza delle immagini e la
diffusione delle stesse sia caratterizzata dalla condizione della essenzialità dell’informazione”
(Trib. Roma 24-01-2002; Califano c. Soc. Rusconi ed.; FONTI Dir. Informazione e Informatica,
2002, 505 nota di VOTANO).
La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche dovrà essere rispettata,
invece, se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Il
pettegolezzo, insomma, è proibito. Questa “regola”, è prevedibile, darà luogo a decine di
interpretazioni contrastanti. Appare, però, opportuno spiegarsi con un esempio. Continuano ad
apparire sulle testate giornalistiche, ed in taluni casi su quelle televisive, nel corpo di articoli che
descrivono eventi e fatti di cronaca, notizie che nulla hanno a che vedere con la descrizione
dell’evento stesso e nulla aggiungono alla comprensione dell’ambiente in cui l’evento è maturato.
Spesso tali notizie toccano aspetti della vita del soggetto protagonista dell’evento ai quali la legge
sulla privacy assicura una particolare tutela. L’episodio più emblematico riguarda una notizia sul
ritrovamento del corpo di un imprenditore di Torino. La notizia era stata arricchita da informazioni
relative, oltre che all’iscrizione dell’imprenditore a un circolo sportivo, anche all’iscrizione dello
stesso a un partito politico, dato quest’ultimo definito “sensibile” dalla legge 675. Tali ultimi
particolari erano del tutto irrilevanti ai fini della notizia. Il concetto dell’essenzialità della notizia
implica, quindi, la non pubblicazione di informazioni “estranee” o “marginali” rispetto all’evento al
centro dell’articolo di cronaca.
Sul tema dell’essenzialità dell’informazione l’Ufficio del Garante è intervenuto in maniera esplicita:
“Il trattamento dei dati “sensibili” (salute, sessualità, origine etnica, convinzioni religiose,
appartenenze politiche ecc.) richiede, tanto più nel caso che essi siano relativi a persone non
direttamente coinvolte negli avvenimenti riferiti, l’adozione di alcune cautele. In particolare,
riguardo alla pertinenza e non eccedenza dei dati e all’essenzialità dell’informazione rispetto a fatti
di interesse pubblico. Queste cautele sono oggi definite in dettaglio nel codice di deontologia per
l’attività giornalistica il quale specifica che il trattamento dei dati deve avvenire “evitando
riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti” (art. 5) e che la pubblicazione di
informazioni su persone malate, nell’ambito di precisi limiti, è consentita solo “se questa riveste
una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica” (art. 10). I principi specificati nel codice
erano, però, già previsti dalla legge sulla privacy” (pronuncia del Garante 30 settembre 1999).
Di un certo interesse questa massima legata a una sentenza emessa dal Tribunale civile di Mantova:
“La diffusione di dati personali nell’esercizio di attività giornalistica costituisce trattamento ai
sensi della l. 675/96 ed è subordinata al consenso da parte dell’interessato. Il consenso non è però
necessario quando il trattamento è effettuato nell’esercizio della suddetta professione e per
l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, nel rispetto del codice di deontologia di cui all’art.
25, norma che ribadisce la non necessità del consenso purché il trattamento dei dati sia contenuto
nei limiti del diritto di cronaca ed in particolare dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti
di interesse pubblico. Nel caso di specie, si è ritenuto che la divulgazione a mezzo stampa delle
generalità del soggetto rapinato, della sua età e della città di residenza, avuto riguardo al tipo di
attività esercitata (agente di commercio di preziosi), pure effettuata nell’ambito dell’esercizio del
diritto di cronaca, abbia ecceduto i limiti di quest’ultimo nel senso che la diffusione dei dati in
questione (obiettivamente idonea a mettere in pericolo l’incolumità dell’attore) non era giustificata
da alcuna finalità informativa essenziale” (Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice unico Dott.
Mauro Bernardi – Sentenza del 13 maggio 2004 ).
Tutela del minore (articolo 7) – Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i
nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro
identificazione. La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della
notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. Il diritto del minore alla
riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di
cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di
legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico
della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore,
secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”.
In linea con il Cpp e con le norme sul processo minorile, il Codice vieta la pubblicazione dei nomi
(e delle immagini) dei minori coinvolti in fatti di cronaca e di particolari in grado di condurre alla
loro identificazione: “Nella contravvenzione prevista dall’art. 684 c.p. – che punisce chiunque
pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto, e a guisa di informazione, atti o documenti
di un processo penale, di cui sia vietata la pubblicazione – l’elemento oggettivo, costituito
dalla divulgazione di accadimenti oggetto di indagine penale fino a quando la legge ne tuteli
la segretezza, riceve concreta ed attuale specificazione, oltre che dalla norma dell’art. 114
Cpp, anche dall’art. 13 del Dpr 22 settembre 1988, n. 448, nell’individuazione dell’atto
coperto dal segreto e nella indicazione di modalità trasgressive del divieto di pubblicazione
del contenuto dell’atto medesimo. In particolare, la disposizione da ultimo ricordata
ricomprende nell’area del divieto tutta la vasta serie di atti, implicanti “coinvolgimento” del
minore nel procedimento nella qualità di parte o di testimone, ed il cui contenuto non può
essere tratto indirettamente mediante identificazione che se ne possa fare, ancorchè in
ambito territoriale ristretto, attraverso la sola immagine. Non rileva, in contrario, né che
l’immagine stessa derivi da una ripresa fotografica eseguita sulla strada, perché non è la
tutela dell’immagine come tale che occorre considerare, ma la idoneità della stessa a
collegare al soggetto raffigurato l’avvenuto suo “coinvolgimento” in indagini preliminari, né
che il nome del minore fosse già noto come indagato, in quanto la notorietà del fatto non
esclude il reato poiché la pubblicazione conferisce alla notizia maggiore diffusione e
propagazione” (Cass. pen., sez. VI, 10 marzo 1994; Riviste: Cass. Pen., 1995, 2566 , Riv. Pen.,
1995, 341; Mass. Pen. Cass., 1994, fasc. 10, 128, Giust. Pen., 1995, II, 398).
La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue
componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. Il diritto del minore alla riservatezza
(articolo 16 della Convenzione internazionale del fanciullo recepita nel nostro ordinamento con la
legge n. 176/1991) deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di
cronaca. Su questa linea è anche la giurisprudenza (caso Cruz): “Richiesto di un provvedimento
urgente ex art. 700 Cpc a tutela della privacy e dell’immagine di un minore, il giudice, in sede di
accertamento del fumus boni iuris e del periculum in mora, deve considerare pozione la protezione
della personalità minorile, rispetto all’esercizio del diritto all’informazione, allorché quest’ultimo
abbia a svolgersi con la pubblicazione diffusa e la divulgazione incontrollata dell’immagine del
minore, balzato, non per sua volontà, alla notorietà della cronaca nazionale a seguito di vicende
giudiziarie di carattere familiare (adottivo) a lui facenti capo (il minore, appena treenne e
proveniente dal c.d.Terzo mondo asiatico, era stato tallonato, anche a scuola, con assiduità da
fotografi e reporters collegati a mass-media di larghissima diffusione)” (Pret. Torino-Chieri, 19
dicembre 1989, Dir. Famiglia, 1990, 572).
Qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il
giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della
responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore,
secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”. Secondo la Carta, la pubblicazione
nell’interesse del minore presuppone, comunque, l’assenso dei genitori, ed è limitata “ai casi di
rapimento o di bambini scomparsi”.
Non è conforme alle norme sulla privacy la ingiustificata pubblicazione da parte di un quotidiano di
notizie riguardanti una minore della quale erano state riportati, in un articolo riguardante la sua
presunta fuga da casa, oltre al nome, al cognome, all’indicazione della scuola frequentata, anche
notizie riguardanti il suo stato di adozione e la sua origine etnica.
Peraltro la pubblicazione di un tale dato poteva rivelarsi fortemente lesiva della personalità della
minore, nel caso in cui, in ipotesi, la condizione di adottata non le fosse ancora nota o non fosse
conosciuta nell’ambito dei luoghi e delle persone da lei frequentate.
L’Autorità Garante, intervenendo sul delicato bilanciamento tra libertà di informazione e tutela del
minore, ha ribadito la necessità che i giornalisti operino una attenta valutazione sull’oggettivo
interesse dei minori quando pubblicano notizie che li riguardano. E questo anche allo scopo di
evitare spettacolarizzazioni e strumentalizzazioni che possano compromettere il loro processo di
maturazione e il loro libero ed armonico sviluppo del minore. Esaminando il caso sottopostole,
l’Autorità ha sottolineato che il Codice di deontologia dei giornalisti, nello stabilire speciali cautele
a tutela della riservatezza del minore, configura la possibilità che il giornalista divulghi dati
personali affidando però a quest’ultimo la responsabilità di valutare che tale pubblicazione non sia
lesiva della personalità del minore e risponda ad un suo interesse oggettivo. Alla luce di tale
disposizione esiste, dunque, un margine di autonomia in capo al giornalista nell’apprezzare le
modalità attraverso cui perseguire tale interesse, applicando i principi alle circostanze del caso. Le
informazioni riportate nell’articolo, ha osservato inoltre l’Autorità, non rappresentavano un
elemento immediatamente utile al fine di facilitare il ritrovamento della minore e la loro diffusione
non risultava essenziale all’interesse pubblico della vicenda In questo modo, ha concluso il
Garante, sono state violati la legge sulla privacy e il Codice deontologico, nonché il complesso delle
norme in materia di adozione nella parte in cui tutelano il diritto del minore a vedere riconosciuta la
propria identità e la nuova dimensione affettiva (legge 184/1993 e legge 149/2001), le quali
affidano altresì ai genitori adottivi la scelta sui modi e i termini per informare il minore della sua
condizione.
Si sono verificati alcuni casi di violenza sessuale su minori, in relazione ai quali, in molti servizi
giornalistici di stampa e televisione, le giovani sono state identificate personalmente o mediante
inequivocabili riferimenti che ne rendevano agevole l’identificazione.
Un tale comportamento, come il Garante ha avuto più volte occasione di sottolineare, non si pone in
contrasto soltanto con i limiti stabiliti dal Codice di deontologia, ma può rappresentare innanzitutto
una violazione di norme penali precedenti, poste a tutela dei minori e delle vittime della violenza
sessuale. Si tratta, specificamente, dell’art.13 del Codice di procedura penale per i minorenni
(D.P.R. 448 del 1988) e dell’art.734 bis del codice penale introdotto dalla legge 15 febbraio 1996 n.
66 sulla violenza sessuale, norme rafforzate dalla recente legge 3 agosto 1998 n. 269 sulla pedofilia.
L’articolo 50 del Dlgs 196/2003 (Testo unico sui dati personali), richiamato l’articolo 13 del Dpr n.
448/1988, contiene “il divieto di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o
immagini idonee a consentire l’identificazione di un minore si osserva anche in caso di
coinvolgimento a qualunque titolo del minore in procedimenti giudiziari in materie diverse da
quella penale”. Questo principio figura anche nell’articolo 114 del Cpp. Il diritto di cronaca, quindi,
non abbraccia la pubblicazione di notizie e immagini idonee a consentire l’identificazione di un
minore.
Tutela della dignità della persona (articolo 8) – Salva l’essenzialità dell’informazione, il
giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti
di cronaca lesivi della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno
che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine. Salvo rilevanti motivi di
interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né
produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso
dell’interessato. Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi,
salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi.
Il Codice, quindi, vieta di fornire notizie o di pubblicare immagini o fotografie di soggetti coinvolti
in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona; di soffermarsi su dettagli di violenza. Le
eccezioni sono giustificate con la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine. Ha scritto al
riguardo il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (deliberazione 17 luglio 2000 che
sanziona il direttore e un redattore di un settimanale milanese, i quali avevano pubblicato le
generalità di un aviere violentato in caserma): “La legge professionale e la legge n. 675/1996 sulla
tutela dei dati personali, – figlie entrambe dell’articolo 2 della Costituzione -, hanno al centro
della loro azione la salvaguardia della dignità della persona. L’articolo 21 non sempre prevale
sull’articolo 2 della Costituzione. Nel bilanciamento dei valori tutelati, succede che la difesa della
dignità di una persona – coinvolta in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona stessa –
possa prevalere. In questo caso il cronista fa un passo indietro, racconta gli avvenimenti nella
loro essenzialità e tace il nome della persona o delle persone ferite nella loro identità e nella loro
dignità, perché la pubblicazione dei nomi e cognomi aggiungerebbe dolore al dolore sofferto,
umiliazione all’umiliazione patita”.
L’articolo 15 della legge sulla stampa n. 47/1948 vieta di descrivere e illustrare gli avvenimenti
(anche soltanto immaginari) con particolari “impressionanti o raccapriccianti”. La Corte
Costituzionale, con sentenza n. 293/ 2000, ha dichiarato non fondata la questione sollevata dalla
Cassazione, in quanto ha ritenuto che le pubblicazioni vietate dall’articolo 15 della legge sulla
stampa siano quelle lesive della dignità umana e perciò avvertibili dall’intera collettività. “La
persona umana – ha precisato la Corte Costituzionale – è tutelata dall’articolo 2 della Costituzione, in base
al quale deve essere interpretato l’articolo. 15 della legge sulla stampa; la descrizione dell’elemento
materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici, trova nella tutela
della dignità umana il suo limite, sì che appare escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie,
risultando quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza. Quello della dignità della persona
umana – ha affermato la Corte – è, infatti, valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve
dunque incidere sull’interpretazione di quella parte della disposizione in esame che evoca il comune
sentimento della morale”.
Il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il
consenso dell’interessato. Le eccezioni sono collegate a rilevanti motivi di interesse pubblico o a
comprovati fini di giustizia e di polizia (si pensi alla ricerca di evasi o di autori di crimini a sfondo
sessuale, che possono ancora colpire). Le persone non possono essere presentate con ferri o
manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi. La legge n. 492/92 vieta, (esclusi
i casi di pericolosità del soggetto o di pericolo di fuga o di circostanze che rendano difficile la
traduzione), l’uso delle manette ai polsi. L’Ufficio del Garante ha anche condannato “alcuni organi
di polizia che continuano a diffondere le foto segnaletiche degli arrestati. La raccolta di tali
particolari informazioni personali – afferma il Garante – è finalizzata unicamente ad esigenze di
sicurezza pubblica e di giustizia. La loro comunicazione ai mezzi di informazione fuori di tali
finalità, non è più permessa dopo l’entrata in vigore della legge 675/96, che esplicitamente
qualifica come “dato personale” qualsiasi informazione che consenta di identificare un soggetto,
quindi anche le fotografie”. Il diritto all’immagine “pur non essendo specificamente indicato dalla
Costituzione deve ricondursi a quei diritti fondamentali dell’uomo, in quanto esso protegge un
aspetto di quella intimità (privacy) che è ormai reputata un valore primario della persona” (Pret.
Napoli, 19.5.1989).
La legge 16 dicembre 1999 n. 479 sul giudice unico ha
cambiato la rubrica dell’articolo 114 Cpp allargando il
“divieto di pubblicazioni” dagli atti alle immagini e in
particolare, con il comma 6-bis, “vieta la pubblicazione
dell’immagine di persona privata della libertà personale
ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette
ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che
la persona vi consenta”. Questa norma chiude il cerchio e
completa la legge n. 492/1992 che vieta, salvo nei casi di
pericolosità del soggetto o di pericolo di fuga o di circostanze
che rendano difficile la traduzione, l’uso delle manette ai
polsi. Il comma 6-bis nella versione originaria impediva
addirittura la pubblicazione della fotografia di persone
arrestate con o senza manette. Il comma 6-bis è
sostanzialmente inutile perché l’articolo 8 del “Codice sulla
privacy”, come già riferito, proibisce a giornali (e giornalisti) la
pubblicazione di foto di persone in manette. Evidentemente il
Parlamento non si fida del “Codice” (e del giudice
disciplinare-Ordine dei Giornalisti) e preferisce calcare la
mano sul piano penalistico, ricorrendo, con l’aiuto
dell’articolo 115 Cpp, ai rigori dell’articolo 684 Cp (arresto fino
a 30 giorni oppure ammenda da 100 a 500mila lire). La
violazione del divieto di pubblicazione di una foto di persona
in manette diventa, quindi, vieppiù risarcibile sul piano
civilistico una volta sanzionato il giornalista sul piano penale.
L’Ufficio del Garante ha censurato anche la trasmissione di foto segnaletiche ai mezzi di
informazione, senza il consenso degli interessati. La trasmissione è ammissibile solo per
comprovabili necessità di indagine di polizia o di giustizia. Ciò era già scritto nell’articolo 97 della
vecchia legge n. 633/1941 sul diritto di autore (norma spesso non rispettata), ma adesso è subentrata
la legge n. 675 del 1996 (oggi Dlgs n. 196/2003). Secondo questa legge, le riproduzioni
fotografiche delle persone devono avvenire “nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali,
nonché della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità
personale”. Sembra evidente che “non costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca la
riproduzione, contro la volontà dell’interessato, di fotografie fatte forzosamente da organi di polizia
per fini di documentazione e di indagine e diffuse senza che sussistano specifiche esigenze di
interesse pubblico”. Nell’ambito del dibattito sui limiti etici e giuridici del diritto di cronaca,
l’Ufficio del Garante invita i giornalisti a “farsi carico della necessità di non arrecare danni, spesso
irreparabili, a persone semplicemente indagate od imputate, riproducendo, senza il loro consenso,
fotografie destinate a fini del tutto particolari”.
La legge sulla privacy, comunque, non annulla la legge n. 633/1941 sul diritto d’autore. L’articolo
97 di questa legge afferma: “Non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione
dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia
o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti,
avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. Sul risvolto di tale norma si
suole articolare l’ampiezza del diritto di cronaca: si può pubblicare tutto ciò che è collegato a fatti,
avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Nel concetto di pubblicazione
lecita è compresa anche la fotografia di persone che godano di notorietà o che ricoprano uffici
pubblici.. Il giudice può autorizzare la pubblicazione della foto di un minore sequestrato o
scomparso: in questi casi prevale “la necessità di giustizia o di polizia”.
Tutela del diritto alla non discriminazione (articolo 9) – Nell’esercitare il diritto-dovere di
cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per
razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali. L’uguaglianza
giuridica sancita dall’articolo 3 della Costituzione opera anche sul terreno dell’esercizio del diritto
di cronaca.
Tutela della dignità delle persone malate (articolo 10) – Il giornalista, nel far riferimento
allo stato di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il
diritto alla riservatezza e al decoro personale, specie nei casi di malattie gravi o terminali, e si
astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico. La pubblicazione è ammessa
nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e sempre nel rispetto della dignità
della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica. Le foto di
Pio XII morente o della principessa Diana agonizzante sono impubblicabili perché feriscono la
“dignità della persona” e perché anche “non essenziali” ai fini della descrizione degli avvenimenti.
Quelle foto sono anche impubblicabili in quanto presentano “particolari impressionanti e
raccapriccianti” (divieto posto dall’articolo 15 della legge sulla stampa n. 47/1948 ritenuto legittimo
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 293/2000 in quanto tutela la “dignità” della persona).
L’Autorità Garante è intervenuta su un grave caso di violazione della riservatezza dei dati sanitari da
parte di un quotidiano locale, che in un articolo ha dato notizia, con grande rilievo, dello stato di
salute e della specifica malattia di cui soffrirebbe una personalità di quella regione. In particolare,
nel titolo e nel corpo dell’articolo, sono state date esplicite e specifiche informazioni sul genere e
sulle caratteristiche della grave malattia da cui l’interessato sarebbe affetto. Il Garante ha ricordato
che il codice deontologico dei giornalisti prevede che la sfera privata delle stesse persone note o che
esercitano funzioni pubbliche deve venire rispettata se le notizie o i dati non sono essenziali (art. 6).
L’articolo avrebbe ben potuto, infatti, fare riferimento allo stato di salute dell’interessato senza
entrare in precisi dettagli sulla patologia. Per quanto riguarda la tutela della dignità delle persone
malate, lo stesso codice deontologico stabilisce anche che il giornalista, nel far riferimento allo stato
di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, è tenuto al rispetto della sua
dignità, del suo diritto di riservatezza e del suo decoro personale, specie nel caso di malattie gravi, e
deve astenersi dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico (art. 10). L’Autorità ha,
pertanto, disposto il blocco di questi dati, vietando al quotidiano di diffonderli ulteriormente, anche
in modo indiretto.
Tutela della sfera sessuale personale (articolo 11) – Il giornalista si astiene dalla
descrizione di abitudini sessuali riferite ad una determinata persona, identificata o identificabile.
La pubblicazione è ammessa nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e nel
rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza sociale
o pubblica. In sostanza è “nudo” chi occupa posti di responsabilità politica, oppure
nell’amministrazione statale, oppure nella società civile.
Sono riservate le parti delle conversazioni intercettate riguardanti la sfera della vita intima: questo
principio è stato ribadito dal Garante a seguito di un reclamo presentato dalla figlia di un
personaggio pubblico. La donna chiedeva il «blocco» delle trascrizioni delle intercettazioni di
alcune conversazioni di contenuto personale diffuse e pubblicate in occasione dell’inchiesta
giudiziaria che ha coinvolto il padre. Il Garante nella sua decisione «ritenendo fondato il ricorso,
ha rilevato che il giornalista ha il dovere di acquisire lecitamente i documenti relativi alle
trascrizioni di intercettazioni effettuate nel corso di una inchiesta giudiziaria e di utilizzarli nel
rispetto delle finalità perseguite. Inoltre, la diffusione di intercettazioni telefoniche deve tener conto
dei limiti del diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza anche quando il fatto rivesta un
interesse pubblico, la notizia o il dato personale pubblicato senza il consenso dell’interessato deve
rispettare il principio della essenzialità dell’informazione». Pertanto, conclude la decisione del
Garante, A. N. «ha diritto a che rimangano riservate quelle parti delle conversazioni intercettate
che attengono a comportamenti strettamente personali non connessi alla vicenda giudiziaria o che
possono riguardare la sfera della sua vita intima».
Un segnale forte arriva dagli Stati Uni6ti in tema di difesa della sfera sessuale personale: “Lede la privacy
di un soggetto la divulgazione della notizia del suo mutamento di sesso in assenza di prova che tale
notizia risultasse da documenti pubblici, e in considerazione delle cautele adottate per celare il
fatto e della insussistenza di un valore informativo della notizia” (Corte d’Appello degli Stati Uniti
d’America 18-01-1983; Diaz c. Oakland Tribune; FONTI Dir. Informazione e Informatica, 1986, 902 nota di
PATTI).
Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penali (articolo 12) – Al trattamento dei dati
relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall’articolo 24 della legge n.
675/1996. Il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 686,
commi 1, lettere a) e d), 2 e 3, del Codice di procedura penale è ammesso nell’esercizio del diritto
di cronaca, secondo i principi di cui all’articolo 5. I giornalisti possono raccontare quello che
risulta scritto nel Casellario giudiziale a carico di ogni persona: sentenze di condanna, ordini di
carcerazione, misure di sicurezza, provvedimenti definitivi che riguardano l’applicazione delle
misure di prevenzione della sorveglianza speciale, dichiarazione di abitualità o professionalità nel
reato o di tendenza a delinquere. Il diritto di cronaca vince in maniera ampia.
Tutela affievolita per i personaggi pubblici, ma anche “la persona non nota ha diritto
al risarcimento del danno per violazione del diritto alla riservatezza, ma deve
provare il pregiudizio subito” – Per quanto riguarda il campo sessuale o quello delle malattie, il
Codice tutela in maniera rigida le persone comuni, ma non i personaggi pubblici, ubbidendo a
questa massima giurisprudenziale: “Chi ha scelto la notorietà come dimensione esistenziale del
proprio agire, si presume abbia rinunciato a quella parte del proprio diritto alla riservatezza
direttamente correlata alla sua dimensione pubblica” (Tribunale di Roma, 13 febbraio 1992, in
Dir. Famiglia, 1994, I, 170, n. Dogliotti, Weiss). È indubbio che, per quanto concerne la tutela
dell’identità, la riduzione totale è inammissibile anche per i personaggi pubblici. Chi ha deciso di
mettersi in politica ha, comunque, una sfera di salvaguardia molto più limitata rispetto all’uomo
della strada. Le nuove regole sembrano ispirate dal concetto americano di “etica pubblica”,
riservando “un’attenuata riservatezza per i personaggi politici e i pubblici funzionari sui quali il
cittadino ha sempre diritto di essere informato”. In dottrina si ritiene, infatti, che l’esercizio del
“diritto di cronaca può essere tanto più penetrante quanto più elevata sia la posizione pubblica
della persona nelle istituzioni, nel mondo politico, in quello economico o scientifico, nella
collettività, per il riflesso che le sue condotte anche private possono assumere sulla sua dimensione
pubblica” (M. Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, Cedam, Padova 1995, 108).
Se, da una parte, “l’uomo pubblico” non può sottrarsi ad una verifica (anche lesiva della
reputazione) cronachistica e/o critica del suo operato, dall’altra, l’esigenza di un maggiore
conoscenza della persona nota “non può identificarsi nella morbosa curiosità che parte del
pubblico ha per le vicende piccanti o scandalose, svoltesi nella intimità della casa della persona
assurta a notorietà” (Cass. 27.5.1975, n. 2129, in Foro it., 1976, I, 2895). Su questa linea è una
sentenza dei supremi giudici: “In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di cronaca può
essere esercitato, quando ne possa derivare lesione all’altrui reputazione, prestigio o
decoro, soltanto qualora vengano dal cronista rispettate le seguenti condizioni: a) che la
notizia pubblicata sia vera; b) che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti
riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale; c) che l’informazione venga mantenuta
nei giusti limiti della più serena obbiettività. Il diritto di cronaca non esime di per sè dal
rispetto dell’altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni nella sfera privata dei
cittadini solo quando possano contribuire alla formazione della pubblica opinione su fatti
oggettivamente rilevanti per la collettività. (Ha precisato la Corte che, se anche le vicende
private di persone impegnate nella vita politica o sociale possono risultare di interesse pubblico
quando possano da esse desumersi elementi di valutazione sulla personalità o sulla moralità
di chi debba godere della fiducia dei cittadini, non è certo la semplice curiosità del pubblico a
poter giustificare la diffusione di notizie sulla vita privata altrui, perché è necessario che tali
notizie rivestano oggettivamente interesse per la collettività)” (Cass. pen., sez. V, 10 dicembre
1997, n. 1473; Riviste: Cass. Pen., 1999, 3135, n. Angelini; Rif. ai codici: CP art. 51, CP art. 595).
Deve far riflettere anche una sentenza molto datata dei supremi giudici: “E’ illecita la
pubblicazione per fine di lucro di un servizio fotografico su aspetti intimi di persona nota, anche se
la pubblicazione non rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro della persona stessa,
in quanto tale pubblicazione non è giustificata da un effettivo interesse sociale all’informazione,
corrispondente ad una sempre maggiore conoscenza della persona nota e che non può identificarsi
nella morosa curiosità che parte del pubblico ha per le vicende piccanti o scandalose svoltesi nella
intimità della casa della persona assurta a notorietà. Nei confronti di persone note il diritto di
cronaca deve ritenersi circoscritto dai limiti che l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale ha
elaborato: 1) verità del fatto esposto; 2) rispondenza ad un interesse sociale all’informazione; 3)
rispetto della riservatezza ed onorabilità (Cass. 27 maggio, 1975, n. 2129).
Per quanto concerne la pubblicazione di notizie attinenti la condotta di un magistrato, é stato
osservato che “anche la conoscenza di comportamenti tenuti in privato (…) può rivestire il carattere
della utilità sociale qualora i comportamenti stessi siano idonei a valere come indice di valutazione
rispetto all’esercizio della funzione esplicata dal soggetto medesimo” (Cass., 23.4.1986, Emiliani,
in Giust. pen., 1987, II, 699).
Il diritto di cronaca vince sui personaggi pubblici. Questo principio, ribadito nel 2002 dal Consiglio
dell’Ordine della Lombardia, è collegato a una vicenda che ha come protagonista un’ex consigliere
comunale della Lega Nord, che ha denunciato cinque cronisti e il direttore responsabile del Corriere
della Sera. Secondo il Consiglio, chi ha deciso di mettersi in politica ha, comunque, una sfera di
salvaguardia molto più limitata rispetto all’uomo della strada. La Cassazione ha dettato le regole,
ribadite costantemente negli anni, alle quali devono attenersi i cronisti: “In tema di diffamazione a
mezzo stampa, il diritto di cronaca può essere esercitato, quando ne possa derivare lesione
all’altrui reputazione, prestigio o decoro, soltanto qualora vengano dal cronista rispettate le
seguenti condizioni: a) che la notizia pubblicata sia vera; b) che esista un interesse pubblico alla
conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale; c) che l’informazione
venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività. Il diritto di cronaca non esime di per
sé dal rispetto dell’altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni nella sfera privata
dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazione della pubblica opinione su fatti
oggettivamente rilevanti per la collettività)” (Cass. pen., sez. V, 10 dicembre 1997, n. 1473;
Riviste: Cass. Pen., 1999, 3135, n. Angelini; Rif. ai codici: CP art. 51, CP art. 595). L’interesse
generale all’informazione sugli avvenimenti politici comprime la tutela della reputazione e può
legittimare la critica di un fatto ancora da verificarsi, ma probabile, nell’interesse della collettività.
Questo principio è stato affermato dalla Cassazione (Sezione quinta penale n. 31037 del 9 agosto
2001). In sostanza l’autore di una diffamazione con il mezzo della stampa non è punibile se ha
agito nell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, purché non abbia superato i limiti: a)
dell’interesse pubblico all’informazione; b) della continenza, intesa come correttezza formale della
notizia o della critica; c) della verità della notizia. In generale, per quanto concerne il diritto di
critica, è ormai consolidato il principio secondo il quale “in tema di diffamazione a mezzo stampa
l’esercizio del diritto di critica presuppone una notizia che ad esso preesiste (momento che attiene
ancora al diritto di cronaca), con la conseguenza che sussiste l’obbligo dell’articolista di
esercitare la propria critica esclusivamente su fatti del cui nucleo fondamentale ha verificato la
corrispondenza al vero” (Cass. Sez. Quinta Penale n. 6548 del 1998)”. Il diritto di cronaca e di
critica nell’esercizio dell’attività politica, si legge nella sentenza citata, è una manifestazione della
libertà di pensiero (art. 21 Cost.), ma è anche un’estrinsecazione della libertà di “concorrere con
metodo democratico alla formazione della politica nazionale”. Il metodo democratico, esplicitato
come regola di gestione della politica nell’articolo 49 della Costituzione, non comporta solamente
l’attribuzione ad ogni cittadino dei diritti di elettorato attivo e passivo (art. 46 e 51 Cost.), di
costituzione e partecipazione ad associazioni politiche (art. 49 Cost.), di interpello delle Camere
(art. 50 Cost.), ma “comporta anche il rispetto di altre regole necessarie al regime democratico”.
“Tra queste – si legge nella sentenza – vi è quella di garantire alla collettività, attraverso i mezzi di
informazione di massa, la conoscenza dei fatti di rilevanza politica. Essa opera anche come criterio
ermeneutico dell’articolo 51 Cp, in forza del quale l’interprete deve tener conto della particolare
rilevanza dell’interesse pubblico e della conseguente minore tutela dell’onore personale (che,
inteso in senso oggettivo, comprende anche la reputazione). Il limite della verità è meno rigoroso
per la necessità di una più ampia base di informazione di cui ha bisogno la collettività per potere
valutare criticamente l’azione delle forze politiche, la gestione dell’apparato politico
amministrativo ed ogni altro fatto o evento rilevante di natura politica. Si deve perciò concludere
che in materia politica l’interesse all’informazione (per la maggiore rilevanza del suo oggetto)
comprime la tutela della reputazione e legittima anche la critica di un fatto ancora da verificarsi,
ma probabile in base alla ragionevole valutazione di altri fatti invece certi, a condizione, peraltro:
a) che il fatto in questione sia attinente alla vita politica nazionale o locale e rivesta una sufficiente
grado di interesse per la collettività (requisito della pertinenza); b) che la rappresentazione di quel
fatto come probabile sia ragionevole e derivi dalla concatenazione logica di fatti già accertati e
correttamente riferiti (requisito della continenza)”.
Va richiamata, però, una importante sentenza della Cassazione (Cassazione Sezione Lavoro n.
4366 del 25 marzo 2003) secondo la quale anche “la persona non nota ha diritto al risarcimento
del danno per violazione del diritto alla riservatezza, ma deve provare il pregiudizio subito”. Il
diritto alla riservatezza consiste nella tutela di situazioni e di vicende personali e familiari dalla
curiosità e dalla conoscenza pubblica. Si tratta di situazioni che solo quegli che le ha vissute può
decidere di pubblicizzare e che ha diritto di difendere da ogni ingerenza, sia pure condotta con
mezzi leciti e non implicante danno all’onore o alla reputazione o al decoro, che non trovi
giustificazione nell’interesse pubblico alla divulgazione. La fonte primaria di tale diritto, ancorché
esso sia previsto in altre e più specifiche norme, è l’articolo 2 della Costituzione, e la sua violazione
dà luogo a fatto illecito i cui effetti pregiudizievoli sono risarcibili. La tutela del diritto alla
riservatezza può essere richiesta, davanti al giudice sia dalla persona nota che dalla persona non
nota. Tuttavia per la persona nota è più facile che operi la previsione dell’articolo 97 della legge sul
diritto d’autore ovvero che la pubblicazione della fotografia possa avvenire anche senza il consenso
dell’interessato ovvero legittimamente, giacché si accompagna ad una esigenza pubblica di
informazione, costituzionalmente tutelata. In caso di violazione del diritto alla riservatezza il
pregiudizio, morale o patrimoniale, che ne consegue deve essere provato secondo le regole
ordinarie. La parte che chiede il risarcimento del danno prodotto da tale illecito deve provare il
pregiudizio alla sua sfera patrimoniale e personale, quale ne sia l’entità e quale che sia la difficoltà
di provare tale entità.