USS Indianapolis

uss indianapolis

USS Indianapolis 

I bombardamenti nucleari che portarono alla fine della guerra tra il Giappone e gli Stati Uniti d’America hanno un prologo che, fino a pochi mesi fa, non era conosciuto al mondo non-diplomatico e al grande pubblico internazionale.

Un prologo eroico e disumano al contempo, patriottico e dissacratore, crudele e cinico.

Come in tutte le guerre.

Come in tutti i conflitti che fanno della morte di uomini e donne una inevitabile conseguenza; inevitabili danni collaterali.

Ebbene, in questa incredibile storia proiettata nelle sale italiane dal 19 luglio 2017, è l’incrociatore USS Indianapolis della marina americana con tutto il suo giovane equipaggio che ne è il vero protagonista e vittima sacrificale di un ben più ampio e supremo interesse della nazione americana..

Quello che gli americano definirono “il carro armato galleggiante” venne sacrificato scientemente dal massimo rappresentate del popolo statunitense per salvare il territorio americano dalla ferocia nipponica che, il 7 dicembre del 1941, aveva già dato prova colpendo impietosamente la più importante e munita base navale della marina U.S.A nel Pacifico: Pearl Harbor.

Il segreto carico trasportato dalla USS Indianapolis, costituito da parti che sarebbero servite all’assemblaggio della bomba atomica che distrusse Hiroshima, fu affidato dal comandante in capo dell’esercito americano al capitano Charles Butler McVay (Nicolas Cage).

Era segreto di stato e sarebbe servito a porre perentoria fine ai previsti attacchi nipponici sul suolo americano.

Il seguito della narrazione è un susseguirsi di vigliaccherie politiche e di personaggi pusillanimi decorati di guerra, di cinici potenti e di vittime sacrificali in nome, più che della patria, della salvaguardia del potere degli sciacalli di turno; soppiantarono disinvoltamente l’onore e la fedeltà mostrando tutta la loro codardia.

Basta questo perché gli appassionati della vita, della lealtà e del mare abbiano un ottimo motivo per ammirare USS Indianapolis, bella, crudele ed intensa narrazione hollywoodiana.

 

Regia di Mario Van Peebles.

Con Nicolas Cage, Tom Sizemore, Thomas Jane, Matt Lanter, Weronika Rosati.

https://www.youtube.com/watch?v=ZDPE-NronKk

https://www.youtube.com/watch?v=y3MXW8DMTSo

ANDREA GIOSTRA

https://business.facebook.com/AndreaGiostraFilm/

https://www.facebook.com/andrea.giostra.37 

https://www.facebook.com/andrea.giostra.31

 

 

Novelle brevi di Sicilia

Novelle brevi di Sicilia

Novelle brevi di Sicilia

Tra le molteplici attività che sono proprie di una Casa Editrice riteniamo siano di estrema importanza e, aggiungiamo, di responsabilità, la valutazione delle opere pervenute dagli autori per l’eventuale pubblicazione nonché l’esprimersi con una libera ed obiettiva recensione di opere pubblicate da altri Editori.

Non sempre i nostri commenti hanno incontrato le “non espresse” speranze degli autori ma, tutti coloro che abbiamo avuto il piacere di incontrare e con i quali confrontarci, hanno pienamente recepito il nostro messaggio di rigorosa correttezza, sincerità ed equilibrio di valutazione.

Siamo consapevolmente certi che nessun recensore abbia “il diritto” di “giudicare” l’opera in esame; solo il lettore ha questa facoltà.

E’ importante la premessa fatta perchè ci accingiamo a commentare l’opera “Novelle brevi di Sicilia” scritto dal prolifico autore Andrea Giostra e, aggiungiamo noi, purtroppo, autopubblicatosi per sua rispettabile scelta.

Ci piace sottolineare che Andrea Giostra spazia dal racconto al breve ma incisivo brano che tratteggia, come un dipinto, frammenti di vita siciliana a lui tanto cara; egli si addentra con la capacità di acuto osservatore anche in interviste letterarie e in recensioni cinematografiche.

Scrittore poliedrico e di classe.

Novelle brevi di Sicilia

Gli auguri di mia nonna ottantenne

E’ una scrittura riccamente dettagliata, piana, agevole nella lettura con un linguaggio raffinato ma comunque facilmente fruibile e che si lega, armoniosamente ed inaspettatamente, ad un linguaggio quotidiano parlato da tutti noi.

L’autore è sempre presente in tutti i racconti anzi ne è il protagonista invisibile e – questa capacità – testimonia l’attitudine all’utilizzo duttile della lingua italiana.

Sorprendente la figura della nonna ottantenne prodiga di buoni consigli che il suo ruolo e la sua età indurrebbero a trasmettere al nipote mentre – invece – lo incita, accoratamente, a godersi quanto più possibile la gioventù.

E’ pregevole l’utilizzo di un linguaggio estremamente attuale ed in lingua siciliana della nonna: “e di tutto il resto futtitinni”; notevole l’alternanza linguistica!

“Novelle brevi di Sicilia”

Agosto a Palermo

Uno spaccato di vita che ci immerge in una realistica conversazione che avviene alla vista di un funerale; sono le domande che sorgono spontanee a tutti noi “ma comu muriu?”, “comu fu?” alternando sapientemente– nel racconto – il perfetto italiano ed il dialetto; ben pochi autori raggiungono un così delicato equilibrio.

L’opera “Novelle brevi di Sicilia” contiene 14 racconti: gradevoli, ammiccanti, alcuni passionali ma tutti capaci di creare l’atmosfera siciliana ma non solo, facilmente apprezzabili e godibili dai “continentali”.

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

“Il senso, la morale, se c’è un senso o una morale da dare li darà il lettore che le leggerà” ; questo è il vero senso delle opere di Andrea Giostra che, guarda caso, corrisponde pienamente al nostro comportamento come Casa Editrice: l’unico giudice è il lettore.

Andrea Giostra, un autore di rilievo, emozionale, con uno spessore culturale inusuale e di superiore qualità, da non perdere l’opportunità di godere delle sue opere.

Novelle brevi di Sicilia” noi le abbiamo lette.

 

Luciano Cannito e Rossella Brescia

Luciano Cannito e Rossella Brescia

Luciano Cannito e Rossella Brescia

…quando il successo non è effimero ma è il giusto e meritato riconoscimento di anni di studio, dedizione, sacrifici, prove su prove fin quando il corpo dice “basta” ma si continua sotto la spinta dell’amore per la danza.

Di certo non sono mancate le delusioni che costellano per via naturale o, nella peggiore delle ipotesi, in maniera procurata, lo sviluppo e l’affermazione professionale ed artistico di tutti noi ed anche – quindi – della nostra danzatrice Rossella Brescia.

Ed è proprio Rossella Brescia che vedremo condurre, affiancata da due importanti showman amati dal pubblico del calibro di Marco Liorni e Sergio Friscia la 60° edizione del Festival di Castrocaro Voci nuove Volti nuovi in onda sabato 26 agosto sulla rete ammiraglia RAI 1 alle ore 21,00

castrocaro locandina

E’ un compleanno importante per il Festival di Castrocaro in quanto non sarà solo una “sfilata” di cantanti ma lo scopo principale è quello di scoprire i nuovi talenti artistici della canzone italiana ed offrire loro una pregiata visibilità.

Mi piace evidenziare che esiste una importante e profonda unità di intenti tra Luciano Cannito e Rossella Brescia poichè – ambedue – nell’ambito delle rispettive attività – si sono posti l’obiettivo di portare alle luce la nostra “migliore gioventù” vanto di cui l’Italia non si è ancora prodigata nella giusta misura.

Così come Rossella Brescia accende i riflettori sui nuovi volti della canzone italiana anche Luciano Cannito, attraverso l’evento Oscar della Danza previsto a Cinecittà World il 29 ottobre 2017, accenderà i riflettori sui nuovi volti dell’Arte coreutica italiana.

Oscar della Danza

La similitudine non mi sembra azzardata.

Dal canto suo Luciano Cannito, regista e coreografo della Notte della Taranta ci farà vivere intense emozioni regalandoci arditi e moderni passi di danza che rievocano l’ancestrale cultura delle nostre popolazioni nel Concertone che si terrà – anch’esso – sabato 26 agosto a Melpignano (LE) dalle ore 22,30 su RAI 5

 

Maestro concertatore sarà Raphael Gualazzi ed il corpo di ballo indosserà costumi by@Silente di Francesca Iaconisi; sul palco si alterneranno anche danzatrici che sono nei nostri cuori ed è confermata la presenza di Nicoletta Manni, prima ballerina del Teatro alla Scala di Milano ed ètoile di origine salentina.

Nicoletta Manni

Nicoletta Manni sarà la protagonista del brano “Preghiera delle madri” e danzerà su altri due brani di musica tradizionale accompagnata dal Corpo di Ballo de La Notte della Taranta.

Luciano Cannito e la Fondazione La Notte della Taranta si aprono, per questo ventennale della manifestazione, ad un nuovo corso che vede la presenza e l’armonica fusione tra la danza classica e quella contemporanea con incursioni in altri linguaggi musicali dal rock al jazz, dalla musica sinfonica alla world music; torna così un tema assai caro a Luciano Cannito e Rossella Brescia circa l’universalità dell’Arte e, riportando le parole di Luciano Cannito, “la mia è una danza di passione, di persone che si amano, si cercano, si travolgono, si raccontano“.

Luciano Cannito

Complimenti alla RAI che ha concluso la sua mossa vincente nel trasmettere due spettacoli di alto valore artistico e culturale.

A noi non rimane altro che attendere per ammirare Luciano Cannito e Rossella Brescia nel Festival di Castrocaro e nella Notte della Taranta.

LA STORIA SIAMO NOI

caterina guttadauro la brasca

LA STORIA SIAMO NOI: Era la solita ora, pomeriggio inoltrato e nelle vie assolate di un povero paese della Sicilia si ripeteva lo stesso rituale: tre bambini avevano più o meno finito di fare i compiti ed erano sull’uscio di casa, pronti a fare qualsiasi cosa fosse loro chiesto pur di avere poi il permesso per andare a giocare a pallone, nella piazzetta antistante la chiesa.

Le mamme brontolavano ma erano maschietti e lo sport li aiutava a scaricare la loro vivacità e a farsi degli amici. Cosi Erasmo, Giuseppe e Gaetano si riunivano, strada facendo, e giù a rotta di collo, lungo la via acciottolata, con il rischio di percorrerla a capitombolo, se uno dei tre avesse perso il passo. La verità che raccontavano era tale solo in parte: si recavano sì nella piazzetta ma per andare al “Circolo dei Reduci”.

Era una casa a piano terra, malandata, dove seduti su delle sedie poco stabili c’erano i vecchi del paese, quelli che erano la sua storia, che erano andati in guerra ed avevano avuto la fortuna di tornare. Tre di loro portavano gli stessi nome di quei ragazzi dei quali erano i nonni. Un’insegna di cartone, attaccata alla porta con lo spago e che regolarmente cadeva quando c’era vento, spiegava a chi aveva la fortuna di sapere leggere, che coloro che si riunivano in quella casa erano uniti da un passato di eroismo e di battaglie che, tenuti in vita dalle parole, erano diventati ricordi.

Tutti e tre avevano servito la loro Patria, ognuno in modo diverso dall’altro ma con lo stesso patriottismo e lo stesso coraggio. Quasi tutti avevano un bastone a cui si appoggiavano per alzarsi, le ferite di guerra parlavano ancora e l’intensità del dolore non permetteva loro di dimenticare. In quella misera stanza, ogni giorno, si consumava la liturgia del racconto ed erano diventati così bravi che se uno si fermava perché quasi soffocato dal fumo del sigaro, ripetutamente aspirato e spento, l’altro continuava anche per lui.

caterina guttadauro

Le donne non capivano questa necessità di parlare sempre del passato, soprattutto ai ragazzi che potevano rimanere turbati.

Ma i vecchi erano testardi e sapevano che credere in qualcosa significava lottare perché non sia dimenticata. Così i ragazzi si accovacciavano ai loro piedi e, in religioso silenzio, ascoltavano quello che tre giovani soldati avevano fatto nella seconda guerra mondiale per farli nascere in una terra più libera. Erasmo era stato ben cinque anni in guerra, spesi in parte a combattere e in parte prigioniero degli Inglesi che gli avevano rubato l’infanzia dei suoi figli. Giuseppe era il più malridotto dei tre: arruolato fresco di laurea, fu mandato in prima linea, al comando di un drappello di uomini coraggiosi. Era il primo ad andare all’assalto e l’ultimo a rientrare. Già, perché allora si combatteva così, corpo a corpo ed a fermarti erano solo le bombe o la morte. Tutte le volte che rientravano da un’operazione, Giuseppe contava i suoi uomini e, se qualcuno mancava all’appello, si tornava indietro a cercarlo, vivo o morto. Durante una ritirata, ormai sopraffatti dalla superiorità numerica del nemico, fu individuato e, mentre correva, per sfuggire alle bombe che piovevano dall’alto ed al fuoco di una mitragliatrice che si faceva strada tra gli alberi, saltò dentro un pozzo dove riuscì, fortunatamente, a trovare un appiglio: era un arbusto dalle profonde radici che lo sosteneva mentre le sue gambe, ferite, penzolavano inerti dentro l’acqua di un inverno ghiacciato. Quella notte – Giuseppe pensò – che fosse l’ultima e proprio mentre lasciava andare le mani, ormai ferite per la lunga presa, prima di perdere i sensi sentì una voce che gridava:« Venite, qui c’è il Capitano.» Lo salvarono ma le sue gambe rimasero per sempre indolenzite.

LA STORIA SIAMO NOI

Gaetano era il più giovane dei tre e il suo amor patrio era pari alla sua voglia di vivere e divertirsi. Era sbadato e fu grato a Dio quando fu assegnato alla foresteria, lontano dal fronte dove sarebbe andato incontro a morte sicura. Il minimo rumore di combattimento lo disorientava al punto da fargli mollare qualunque comando stesse eseguendo per rifugiarsi in qualche posto più sicuro.

Quando arrivò ala conclusione che nessuna guerra poteva essere la sua, decise di accorciare i tempi e si cacciò uno spicchio d’aglio dentro un orecchio. La paura aveva vinto sul coraggio ma spese notti intere a scrivere messaggi da recapitare ai familiari per quei feriti che non sarebbero più tornati.

Si procurò un’otite purulenta ed il Comando fu costretto a rimpatriarlo perché il timpano si danneggiò a tal punto da rimetterci l’udito. Le tasche della sua divisa, sopravvissuta anch’essa alla guerra, erano piene di bigliettini e, laddove fu possibile, arrivarono a destinazione. Tutti e tre erano partiti perché quando la Patria chiama il dovere impone di andare, ma in guerra ti misuri con te stesso oltre che con il nemico e, quando torni, ti accorgi che le macerie non sono solo fuori ma anche dentro di te. Questo volevano far capire ai loro nipoti: la guerra è decisa da uomini, combattuta da uomini e pianta da madri che perdono i loro figli, da mogli che perdono il loro marito e da figli che non conosceranno mai i loro padri. E così sarà finché l’uomo farà prevalere la violenza sulla parola, l’odio sull’amore, il proprio interesse su quello comune.

I ragazzi li ascoltavano a bocca aperta mentre, con gli occhi, inseguivano le immagini della mente. Il libro del tempo, poi, mosso dal vento della vita, sfogliò le sue pagine e quel vecchio Circolo divenne un luogo in cui tre giovani, assieme a coloro che credevano negli stessi ideali, combattevano una battaglia civile, senza bombe ma con l’uso della parola, rivendicando la libertà di espressione ed il rispetto dei diritti di tutti. Non c’erano più reduci e s’impegnavano perché nessuno potesse più definirsi tale.

A tarda notte, l’ultimo che chiudeva la porta, soprattutto quando c’era vento, alzava gli occhi a guardare l’insegna, tenuta salda dalla loro ispirazione, dal giusto equilibrio tra coraggio e ragione, dall’aver trovato un legame tra stimolo e risposta.

Qualcuno aveva loro detto che le idee sono quanto di più sacro l’uomo abbia e nessuno ha il diritto, in nome di nessun principio, di negargliele.

La Storia aveva dimostrato che quando questo principio era stato dimenticato, all’uomo era stata negata qualsiasi forma di libertà e, quindi, la vita.

La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di crescere senza uccidere.

Era notte, i lampioni illuminavano la strada con spicchi di luce che sommati a quella di una grande luna, proiettavano, accanto ad ognuno la sua ombra, in compagnia della quale si ritornava a casa.

Come per un attimo Gaetano si sentì accanto qualcuno, si girò e si illuse di vedere tre vecchi, che con il loro sdentato sorriso, dicevano :« Bravi ragazzi, non siamo vissuti per niente se avete capito che La Storia siamo NOI.

Ringraziamo sentitamente l’autrice del racconto “La Storia siamo noi” Caterina Guttadauro La Brasca.

https://www.caterinaguttadaurolabrasca.com/

Viet Thanh Nguyen

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Viet Thanh Nguyen, Premio Pulitzer 2016 per la Narrativa con il romanzo “The Sympathizer” (2015), professore universitario di “English and American Studies and Ethnicity” nella prestigiosa University of Southern California di Los Angeles (U.S.A.)

 Il 18 aprile 2016, alla Columbia University di Broadway, Pulitzer Hall 709, New York, U.S.A., è nata una Nuova e Luminosissima Stella nel firmamento della letteratura planetaria: Viet Thanh Nguyen!

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Viet Thanh Nguyen non è ancora uno scrittore noto al mondo, almeno fino ad oggi, giorno di Pasquetta del 2017.

Non lo è, e non lo è stato fino ad un anno fa, neanche nel suo Paese d’adozione, gli Stati Uniti d’America.

Viet Thanh Nguyen è nato a Buôn Ma Thuôt, in Vietnam, nel 1971.

Nel 1975 la sua famiglia fugge negli Stati Uniti d’America per chiedere asilo politico dopo la caduta del regime sostenuto dagli Americani nel tentativo di colonizzare il Paese motivando l’“invasione armata” col più nobile degli obiettivi della politica occidentale; “importare la democrazia” in Vietnam attraverso una guerra sanguinaria, sanguinosa e dolorosa di cui il popolo americano ancora oggi porta ferite profonde e incancellabili.

Tutti i profughi vietnamiti che avevano sostenuto il Governo Statunitense, e che riuscirono a fuggire dalla Rivoluzione vietnamita, vennero accolti da subito in diversi campi di accoglienza in territorio americano.

La famiglia di Viet Thanh Nguyen passa il primo periodo della sua permanenza in Pennsylvania, presso il campo profughi di Fort Indiantown Gap.

Solo alla fine degli anni ’70 Viet e la sua famiglia possono iniziare una vita da cittadini liberi e da cittadini americani veri ottenendo dal Governo Americano il permesso di trasferirsi dove avrebbero voluto vivere dal momento in cui misero piede negli U.S.A.: la California, a San Jose, che per clima e humus era ritenuto dai Nguyen, almeno nell’immaginario, il più vicino e “prossimo” a quello del Paese che avevamo amato e abbandonato per sempre, per sfuggire a morte certa.

È dalla California che il piccolo Viet Thanh Nguyen inizia gli studi, con passione, intelligenza e determinazione, laureandosi nel maggio del 1992 col massimo dei voti in “Letteratura Inglese e Studi Etici” divenendo poi, nel 1997, professore universitario in “English and American Studies and Ethnicity” nella prestigiosa University of Southern California di Los Angeles.

Inizia a scrivere novelle, racconti brevi e libri di saggistica oltre a svolgere, con grande diligenza, competenza e preparazione la sua professione di professore universitario.

Nel 2015 pubblica il suo primo romanzo, “The Sympathizer”, edito da Grove Press, New York.

Il 18 aprile 2016 Viet Thanh Nguyen vince il più prestigioso dei premi letterari al mondo, il Premio Pulitzer, nella categoria “Fiction” (Narrativa), con la seguente motivazione «a layered immigrant tale told in the wry, confessional voice of a “man of two minds” and “two countries”, Vietnam and the United States» («una storia di immigrati raccontata a strati e con sottile ironia; la confessione di una voce di un “uomo con due menti” e “due Paesi”, il Vietnam e gli U.S.A.»).

È questa la premessa alla prestigiosa intervista che il Prof. Viet Thanh Nguyen mi ha concesso oggi attraverso l’utilizzo dei potenti mezzi informatici e di comunicazione di cui disponiamo tutti; mezzi che hanno reso possibile mettermi in contatto con quello che ritengo essere uno dei migliori e più profondi scrittori del XXI secolo.

Ecco la mia intervista.

Prof. Viet Thanh Nguyen, se dovesse dire qualcosa ai nostri lettori, come Artista e come Scrittore, cosa direbbe loro?

Che sono molto felice che i lettori in Italia stiano leggendo il mio romanzo!

Quando ha pensato di scrivere questo Romanzo, quali obiettivi aveva il suo progetto?

In primo luogo, quello di contestare il modo in cui la guerra in Vietnam è stata e viene ricordata a livello globale, soprattutto a causa dei “racconti” statunitensi (sia in letteratura che nel cinema). Questa è forse stata la prima guerra nella storia in cui i perdenti (gli americani) hanno scritto la storia, invece che i vincitori. I vietnamiti di tutto il mondo, nelle storie raccontate dagli americani, sono stati cancellati, messi a tacere, oppure mutilati; mentre le memorie dei vietnamiti in Vietnam, e la diaspora che ne è scaturita, sono molto diversi e, di fatto, non sono affatto conosciute.

Così ho pensato al mio romanzo come a una vendetta contro le storie americane, un tentativo di scrivere una storia diversa della guerra, da una prospettiva vietnamita.

In secondo luogo, l’idea di scrivere un romanzo che fosse riconosciuto universalmente nella sua narrazione della guerra, della fedeltà, del tradimento, della rivoluzione e che fosse anche una apologia radicata, un forte discorso a difesa della vera storia dei vietnamiti.

Io penso che il suo Romanzo sia il più interessante e stravolgente libro scritto negli ultimi venti anni, per tutto quello che contiene, per la qualità della narrazione e per la profondità dell’introspezione psicologica che con eccellente maestria Lei fa di tutti i protagonisti della Sua storia; al contempo ribaltata con estrema classe e sottilissima ironia la prospettiva interpretativa della guerra in Vietnam. Cosa ci dice in proposito?

Grazie del complimento, Andrea! Penso che quello che il mio romanzo dice è che non vi è alcuna storia o narrazione che sia stata raccontata così tante volte, in modo altamente ripetitivo come quello che è stato detto e scritto dagli americani della guerra in Vietnam; una storia non può essere rovesciata e ricostruita in un modo completamente diversa da quella che allora fu la realtà.

Come ha vissuto da vietnamita naturalizzato statunitense negli Stati Uniti d’America? Quali sono stati i vantaggi e gli svantaggi di essere un rifugiato naturalizzato in un Paese che comunque dà sempre e prioritariamente al merito e alle capacità personali grande spazio per avere successo professionale e sociale?

Come rifugiato negli Stati Uniti, ho sempre percepito di essere visto come una spia. Ero un americano di una famiglia di genitori vietnamiti, pronto a spiare le loro strane abitudini, il loro cibo, e la loro lingua. Fuori da casa mia, mi sentivo come una spia vietnamita di tutta la bellezza e di tutte le stranezze degli americani. Ho imparato a non dare per scontato tutto ciò che ogni cultura dice o scrive di sé stessa, ho imparato ad essere sempre scettico. Questa è stata una posizione scomoda da vivere in America; ma al contempo un luogo produttivo per un romanziere che deve sempre porsi in modo sia empatico che critico. Nella misura in cui io sono stato simpaticamente scettico, mi è sempre stato profondamente chiaro il potere e la seduzione del Sogno Americano al quale tu fai riferimento, ma sempre consapevole delle sue insidie. Il sogno americano è, infatti, reso possibile solo dall’Incubo Americano di genocidio, di schiavitù, di colonizzazione, di guerra, di razzismo e di sfruttamento, nonché dalla negazione di tutte queste cose. Sono venuto negli Stati Uniti a causa dell’Incubo Americano, spedito qui dal mio paese di nascita e sono cresciuto negli Stati Uniti come beneficiario del Sogno Americano. Questa è la contraddizione che mi ha reso quello scrittore che sono oggi e dalla quale non riesco a indietreggiare; uno scrittore che deve confrontarsi continuamente, come faccio in “The Sympathizer” (“Il Simpatizzante”).

Se due bambini di dieci anni dovessero chiederle con spontaneità, ingenuità e curiosità: «Prof. Viet Thanh Nguyen, ci spiega per favore cos’è l’Arte?», come risponderebbe a questa domanda per far capire loro quello che vogliono sapere?

L’Arte è quello che senti e quello in cui credi, quello che puoi vedere con gli occhi della tua mente. Come realizzare quello che vedi in modo che anche altri possano vedere; che è al contempo un mandato per tutta la vita, radicato nelle intuizioni emotive e nel dolore di quello che sei, come un bambino.

Verrà in Italia per presentare il suo Romanzo “The Sympathizer”? Se sì, quando e quale sarà il tour perché i nostri lettori possano venire a sentirLa parlare e ad incontrarLa per avere il suo autografo sul suo Romanzo?

Mi piacerebbe vedere di nuovo l’Italia, considerato che il mio primo e unico incontro con l’Italia è stato nell’estate del 1998 quando con il mio zaino ho visitato Roma, Venezia e Firenze. È stata un’esperienza meravigliosa, bellissima e romantica.

Adesso sono stato invitato a partecipare ad alcuni Festival per l’estate prossima, quella del 2017, e deciderò presto se potrò partecipare.

Grazie infinite Prof. Viet Thanh Nguyen di avermi concesso questa intervista che le confesso mi lusinga e mi onora tantissimo … e, come dite voi americani, break a leg…

Grazie a te, Andrea, per avermi chiesto l’intervista per i tuoi lettori italiani.

Per chi volesse approfondire virtualmente la conoscenza del Premio Pulitzer 2016, Viet Thanh Nguyen, ecco alcuni link da consultare:

http://www.vietnguyen.info/  

http://www.pulitzer.org/prize-winners-by-year/2016  

http://www.pulitzer.org/winners/viet-thanh-nguyen  

https://www.facebook.com/pulitzerprizes  

https://www.facebook.com/vietnguyenauthor/  

https://twitter.com/viet_t_nguyen  

https://en.wikipedia.org/wiki/Viet_Thanh_Nguyen  

http://www.groveatlantic.com/#page=isbn9780802124944%20  

http://www.neripozza.it/collane_dett.php?id_coll=3&id_lib=1024 

Per chi volesse conoscere meglio virtualmente l’autore dell’intervista, Andrea Giostra, ecco i suoi link:

https://business.facebook.com/AndreaGiostraFilm/?business_id=1569737553326223

https://www.facebook.com/andrea.giostra.37

https://www.facebook.com/andrea.giostra.31

Viet Thanh Nguyen, 2016 Pulitzer Prize for Fiction with “The Sympathizer novel” (2015), university professor of “English and American Studies and Ethnicity” in the prestigious University of Southern California in Los Angeles (U.S.A.).

 

Ed ora riportiamo anche l’intervista in inglese.

Interview by Andrea Giostra

On 18 April 2016, at the Broadway Columbia University, Pulitzer Hall 709, New York, U.S.A., was born a new and Brightest Star in the firmament of the planetary literature: Viet Thanh Nguyen!

Viet Thanh Nguyen is not yet a writer known to the world, at least until now, on Easter Monday of 2017. He is not, and he wasn’t until a year ago, even in his adopted country, the United States of America.

Viet Thanh Nguyen was born in Buôn Ma Thuôt, Vietnam, in 1971. In the 1975 his family fled to the United States for seeking political asylum, after the fall of the regime supported by the Americans in an attempt to colonize the country motivating the “armed invasion” with the noblest of objectives of Western policy: “import the democracy” in Vietnam through a bloody war, bloody and painful of which the American people still bears deep scars and indelible.

All Vietnamese refugees who had supported the US Government, and who managed to escape from the Vietnamese Revolution, they were greeted immediately in several camps on US soil: Viet Thanh Nguyen’s family spent the first period of his stay in Pennsylvania, at the refugee camp of Fort Indiantown Gap.

Only at the end of the ‘70 Viet and his family can start a life as free citizens, and as true Americans, getting from the US government for permission to relocate where they wanted to live from the moment they set foot in the US: in California, in San Jose, for climate and for humus that was considered by Nguyen, at least in the imagination, the closest to that of their country that they had loved and had abandoned forever, to escape certain death.

It’s from California that the small Viet Thanh Nguyen began his studies with passion, intelligence and determination, graduating in the May 1992 with honors in “English Literature and Ethics” studies; then becoming, in 1997, university professor in “English and American Studies and Ethnicity” in the prestigious University of Southern California in Los Angeles.

Viet starts writing novels, short stories and non-fiction books, as well as performing with great diligence, competence and preparation his profession of university professor.

In the 2015, he published his first novel, “The Sympathizer“, published by Grove Press, New York.

In the April 18, 2016 Viet Thanh Nguyen won the most prestigious literary awards in the world, the Pulitzer Prize, in the category “Fiction”, with the following motivation: «a layered immigrant tale told in the wry, confessional voice of a “man of two minds” and “two countries”, Vietnam and the United States».

This is the premise of the prestigious interview that Prof. Nguyen Viet Thanh has given me today using the powerful information and communication media available to us all; means that give me the possible to get in touch with who I consider to be one of the best and deepest writers in the twenty-first century.

Here’s my interview.

Prof. Nguyen Viet Thanh, if you were to say something to our readers, as artist and as a writer, what would you tell them?

I am so delighted that readers in Italy are reading my novel!

When you thought about writing this fiction, which were your project objectives?

First, to contest the way that the Vietnam War has been remembered globally, which is primarily through American stories (in literature and in film). This was perhaps the first war in history where the losers (the Americans) were able to write the history instead of the victors. The Vietnamese of all sides have been erased, silenced, and/or mutilated in American stories, and while Vietnamese memories in Vietnam and its diaspora are vastly different, they are not widely known. So I thought of my novel as revenge against American stories, and an attempt to write a different history of the war from Vietnamese perspectives.

Second, to write a novel that was universal in its discussion of war, loyalty, betrayal, and revolution, and yet was unapologetically rooted in the history of the Vietnamese.

I think that your fiction is the most interesting and shocking book written in the last twenty years, for all that it contains, for the quality of the narrative and for the deep psychological introspection that with excellent skill you do for all the protagonists of your history; at the same time, you have skillfully overturned, with thin class and irony, the interpretative perspective of the War in Vietnam. What does that say about it?

Thank you! I think what my novel says is that there is no history or story that has been told again and again, in highly repetitive ways, as the American story of the Vietnam War has been told, that cannot be upended and redone in a completely new way.

How was your experience as Vietnamese Naturalized American in the United States of America? What were the advantages and disadvantages of being a refugee of war, naturalized in a country that still and always gives priority to the merit and to the personal talent, and it gives large space for professional and social success to all the people?

As a refugee in the United States, I always felt that I was a spy. I was an American in my parents’ Vietnamese household, spying on their strange customs, food, and language. Outside that home, I felt like a Vietnamese spying on Americans in all their beauty and strangeness. I learned never to take for granted what any culture told about itself, to always be skeptical. This was an uncomfortable position to be in, but a productive place for a novelist, who should always be both empathetic and critical. In so far as I was a sympathetic skeptic, I both deeply understood the power and seduction of the American Dream that you refer to, and yet was also always aware of its pitfalls. The American Dream is, in fact, made possible only by the American Nightmare of genocide, slavery, colonization, warfare, racism, and exploitation, as well as the denial of all those things. I came to the United States because of the American Nightmare delivered to the country of my birth, and I grew up in the United States as the beneficiary of the American Dream. That is the contradiction that made me who I am as a writer, and from which I cannot retreat but must confront continually, as I do in The Sympathizer.

If two children aged ten years come to you to ask with spontaneity, innocence and curiosity: “Prof. Viet Thanh Nguyen, please, explains us what is the Art?”, How would you respond to this question to make them understand what they want to know?

Art is what you feel and what you believe, what you can see in your mind’s eye. How to achieve what you see so that others can see it too is a task of a lifetime, rooted in the emotional insights and pain of who you are, as a child.

Will you come in Italy to present your fiction “The Sympathizer”? If yes, when and what will be the tour so that our readers can come to hear you speak and to meet you for their autograph on his fiction that will have bought?

I would love to see Italy again, since my first and only encounter with it was in the summer of 1998 when I backpacked through Rome, Venice, and Florence. That was a wonderful, beautiful, and romantic experience. I’ve been invited to a few festivals for the summer of 2017, and will decide soon whether I can attend.

Prof. Nguyen Viet Thanh Thanks to you so much for giving me this interview that I confess, it has flattered me and honored me so much … and, as you Americans say, break a leg …

Thanks to you, Andrea, for asking me the interview for your Italian readers.