Gp di Monaco, Lewis Hamilton beffato

Lewis Hamilton

Lewis Hamilton perde un Gran Premio che aveva già praticamente vinto, quello di Monaco, non per sue inadempienze ma per un errore della propria scuderia, l’infallibile e vincente Mercedes. A ringraziare è il compagno di squadra Nico Rosberg che approfitta dell’incredibile pasticcio commesso in casa tedesca e vola verso la vittoria, lasciando che il ferrarista Sebastian Vettel si inserisca al secondo posto. Il povero Lewis Hamilton, che pregustava già una facile vittoria, si deve accontentare del gradino più basso del podio, il terzo posto.

Ma cosa è successo a Montecarlo? Lewis Hamilton stava conducendo senza alcun problema la gara da ben 65 giri quando il team ha deciso di richiamarlo in pit lane. Il motivo? L’incidente accorso a Verstappen (figlio d’arte) con Grosjean (un banale tamponamento) mentre, parallelamente, la Safety Car era entrata in pista come di consueto.

Lewis HamiltonDalla Mercedes arrivano le pronte e doverose scuse a Lewis Hamilton: “Non possiamo che scusarci con Hamilton, è stato un errore di valutazione preso in un momento caldo. Abbiamo valutato male il distacco, ce ne assumiamo la responsabilità“. Anche Niki Lauda, che ricopre il ruolo di presidente onorario della Mercedes ha dichiarato a caldo: “È un errore incredibile, inaccettabile. Perché abbiamo fermato Hamilton? Non lo so“.

Alla base di questa richiesta scellerata ci sarebbe un banale errore di calcolo. La scuderia Mercedes credeva, in poche parole, che Lewis Hamilton avrebbe avuto un buon margine per completare il pit stop e rientrare poi davanti al compagno di squadra Nico Rosberg. Niente di più errato: l’inglese non solo non è rientrato al primo posto ma nemmeno al secondo, facendosi scavalcare da Sebastian Vettel.

Chiaramente, chi maggiormente ha esultato dell’imprecisione del team è stato Nico Rosberg. Il pilota, che sapeva benissimo di non essere all’altezza di Lewis Hamilton nel Gran Premio di Monaco, ha guadagnato punti preziosi sul compagno di squadra e ottenuto più di quello che sperava. Ancora incredulo, a fine gara ha infatti ammesso: “So di aver avuto fortuna oggi, mi godo il momento. Devo lavorare duro, so che Lewis era più forte di me in questo weekend“.

La lotta per il mondiale, dunque, rimane apertissima. Stando ai numeri, la classifica a tutt’oggi vede ancora Lewis Hamilton saldamente in testa con 126 punti, tallonato da Nico Rosberg a 116. Più indietro, al terzo posto, il ferrarista Sebastian Vettel che tiene botta a 98 punti, l’unico che può ancora infastidire i due cavalli di razza della Mercedes. Il mondiale, non è mai stato così incerto.

 

 

 

 

 

 

Muore il free climber Dean Potter

Dean Potter

Il free climber Dean Potter si è spento nella notte dopo una rovinosa caduta dalla famosa rupe di Taft Point, nel Parco di Yosemite. L’uomo, che era nato il 14 aprile 1972 nel New Hampshire (Stati Uniti d’America), era noto a tutti nel mondo degli sport “alternativi” (o forse sarebbe meglio dire estremi) come un grande arrampicatore dedito alle imprese più sensazionali e stravaganti.

Lo sport in cui si era specializzato negli ultimi anni era il cosi detto Base Jumping. Il termine B.A.S.E è un acronimo che sta per Buildings (palazzi), Antennas (luoghi elevati abbandonati), Span (ponti) ed Earth (letteralmente terra, ma che qui sta a indicare scogliere naturali). Il Base Jumping, lo sport in cui Dean Potter primeggiava, consiste nel lanciarsi da una qualsiasi altezza atterrando con un paracadute.

Dato che negli Stati Uniti d’America il Base Jumping è severamente vietato dalle autorità, Dean Potter e il suo compagno d’avventure Graham Hunt, di professione funambolo, si sono recati sul posto al tramonto, per eludere qualsiasi tipo di controllo. Qui, celati nell’ oscurità del Parco di Yosemite, sono saliti fino in cima alla rupe di Taft Point e si sono gettati nel vuoto. Qualcosa, purtroppo, è andato storto.

Quando alle nove di sera i due sportivi non sono tornati al punto di riunione solito, le autorità sono state prontamente avvertite e hanno iniziato le loro attività di ricerca. Poche ore dopo, i due corpi sono stati ritrovati nella zona a parecchi metri di distanza l’uno dall’altro. Stando alle ricostruzioni, il paracadute di Dean Potter si dovrebbe essere inceppato o, quantomeno, questa sembra essere l’ipotesi più plausibile. Le autorità hanno in ogni caso aperto un fascicolo sull’intera vicenda.

Nell’universo degli sport estremi, il quarantatreenne Dean Potter era una vera e propria celebrità. Nel 2003, ben dodici anni fa, l’americano era stato premiato con il titolo di World Alternative Sportsman of the Year, un riconoscimento importante nella ristretta cerchia (e forse non così tanto ristretta) degli amanti degli sport ad alto tasso di rischio.

Nell’ambiente il suo soprannome era “Daredevil“, nomignolo preso dal famoso personaggio dei fumetti della Marvel, di cui Dean Potter era appassionato. Oltre alle arrampicate in montagna senza cavi, lo statunitense si cimentava anche nelle “passeggiate” sulla corda fra due rupi, il tutto ovviamente senza alcuna protezione; inutile dire quanto sia estremo e pericoloso uno “sport” del genere. Ma non è tutto.

Ultimamente portava con sé nelle sue esibizioni anche il proprio cane, “Whisper“. Da ricordare, in ultimo, qualche record di Dean Potter: le scalate in brevissimo tempo dell’El Capitan, dell’Half Dome e del Fitz Roy.

 

Juventus, è finale di Champions League

Juventus

Con il pareggio per 1-1 in casa del Real Madrid al Santiago Bernabeu, la Juventus ha nuovamente raggiunto la tanto agognata finale di Champions League. Il goal di Morata le ha infatti permesso di conquistarsi un posto per l’ultimo appuntamento dell’evento più importante dell’anno, grazie anche al miracoloso successo dell’andata per 2-1, vera e propria base su cui gli uomini di Allegri hanno costruito il loro trionfo.

Basterebbe solo questo traguardo a rendere una stagione da normale a memorabile ma non è così. La Juventus è sempre la Juventus e anche se dopo Calciopoli il suo lustro si era notevolmente affievolito (ricorderete certamente gli scandali sugli arbitraggi e la conseguente retrocessione in serie B) la nuova dirigenza ha provveduto a farlo brillare di nuovo con investimenti oculati e mirati, alcuni di essi davvero lungimiranti.

E così, oltre alla finale di Champions League, la Juventus si ritrova anche in finale di Coppa Italia e, in campionato, Campione d’Italia con largo anticipo. La Roma di Rudi Garcia aveva cercato di tenere botta, salvo poi cedere di schianto alla distanza, causa anche qualche scricchiolìo interno allo spogliatoio, spianando la strada alla squadra di Massimiliano Allegri. In finale di Coppa Italia, invece, troverà l’agguerrita Lazio di Stefano Pioli, una squadra veloce e che gioca bene al calcio, capace sicuramente di mettere in difficoltà chiunque.

Dicevamo in apertura di articolo che non tutto però, all’inizio, era così scontato. Anzi. Quando Antonio Conte lasciò improvvisamente la panchina della Juventus per cercare nuovi stimoli e nuove avventure, sul povero Massimiliano Allegri venne addosso una vera e propria bufera. Le “vedove inconsolabili” di Conte erano molte, anzi moltissime: c’era chi diceva che Allegri non era adatto per un posto del genere, che negli ultimi anni aveva vinto poco o nulla e che il suo gioco non era come quello del tecnico pugliese.

E invece, oggi, eccoci qui. La Juventus di Massimiliano Allegri si è sempre dimostrata solida e concreta, con una difesa d’acciaio e un perfetto equilibrio in tutti i reparti. A rendere questa squadra così straordinaria è anche il suo mix di fantasia e concretezza, corsa ma anche disciplina tattica e, cosa che non guasta mai, anche un po’ di fortuna. Ma, come si dice, la fortuna aiuta gli audaci.

Da ricordare sicuramente tre o quattro nomi, che rappresentano lo zoccolo duro dell’intera squadra e vero e proprio scheletro. Chiellini per la difesa, cattivo e spietato al punto giusto, il trio delle meraviglie Pogba-Vidal-Pirlo, fusione panica di fantasia e solidità e l’intramontabile Carlitos Tevez in avanti.

 

Internazionali d’Italia

Internazionali d'Italia

Come ogni stagione, anche quest’anno gli Internazionali d’Italia saranno l’evento tennistico dell’anno atteso da migliaia e migliaia di tifosi provenienti da tutto lo stivale. La partenza è fissata per lunedì dieci maggio e anche quesa volta il tabellone sarà ricco di nomi di prima fascia, sia per quanto riguarda il singolare maschile che il femminile. Tra gli eroi del foro italico ci sarà sicuramente lo spagnolo Rafael Nadal, che detiene il record assoluto di vittorie di questo importante trofeo: ben sette.

Veniamo adesso a un po’ di storia degli Internazionali d’Italia. Innanzitutto è d’obbligo spiegare che essi appartengono alla categoria degli Atp World Tour Masters 1000, ossia quella tipologia di tornei che vengono immediatamente dopo gli Slam come ordine di importanza. Cosa sta a significare il numero 1000? Molto semplice: chi arriva fino in fondo e vince la competizione si aggiudica 1000 punti, che serviranno a far salire il ranking del tennista di turno sempre più in alto nella classifica mondiale.

Contrariamente a quanto si possa pensare, le prime sei edizioni del torneo si disputarono a Milano e non a Roma e, nello specifico, gli Internazionali d’Italia che andarono dal 1930 al al 1935. Il primo trofeo fu alzato dall’americano Bill Tilden, uno dei più grandi tennisti dell’era anteriore al professionismo. Per quanto riguarda gli italiani, invece, l’albo d’oro è alquanto scarno ma significativo: Emanuele Sartorio (1933), Giovanni Palmieri (1934), Fausto Gardini (1955), Nicola Pietrangeli (1957, 1961) e Adriano Panatta (1976) per il maschile mentre, per il femminile, Lucia Valerio (1931), Annelies Ullstein-Bossi (1950) e Raffaella Reggi (1985).

Avendo questo quadro in mente risulta evidente quanto manchi ai tifosi italiani una vittoria di un nostro connazionale, visto che l’ultima vittoria risale esattamente a trent’anni fa. Tutte le speranze del nostro tennis sono concentrate principalmente in due nomi: Fabio Fognini per quanto riguarda il singolare maschile e Sara Errani per quanto riguarda il femminile, tenendo sempre d’occhio la bella e brava Camila Giorgi, che sembra essere ogni anno sul punto di esplodere definitivamente ad alti livelli.

Per quanto riguarda invece gli altri tennisti che scenderanno in campo, il netto favorito degli Internazionali d’Italia del 2015 è sicuramente Novak Djokovic. “Nole” (questo il suo soprannome) sta vivendo un’annata a dir poco magica: suo è stato il primo grande slam della stagione (l’importantissimo Australian Open) e ha impresso il suo sigillo anche a Miami, Indian Wells e Montecarlo, tutti e tre Atp World Tour Masters 100, esattamente come Roma.

Sul versante femminile il quadro si fa più ampio e variegato. Al primo posto delle favorite c’è sicuramente la giunonica Serena Williams (vincitrice anche della scorsa edizione proprio sulla nostra Sara Errani) seguita dalla bella siberiana Maria Sharapova, in cerca di conferme anche a Roma. Da seguire con attenzione la spagnola Suarez-Navarro, affamata di vittorie e particolarmente a suo agio sui campi in terra rossa.

 

Ayrton Senna il volto di un Campione

Ayrton Senna il volto

Ayrton Senna, il volto di un campione

In questi giorni sono apparsi sui Social varie rievocazioni, foto, “like”, condivisioni, relative al grande campione Ayrton Senna da Silva che perse la vita il 1 maggio 1994 durante il Gran Premio di Formula 1 che si correva all’Autodromo di Imola.

Alle ore 14,17 durante il 7° giro, mentre era in prima posizione nel rettilineo da 300 Km/h  che porta alla curva del Tamburello  la Williams di Ayrton tirò dritta infrangendosi contro il muretto.

Alle ore 18,40 Ayrton Senna morì all’Ospedale Maggiore di Bologna dove lo avevano elitrasportato.

Non mi sono unito a tutti, nel fatidico giorno del ricordo collettivo, perché ho voluto riviverlo intensamente e dal profondo del mio cuore quasi a dialogare direttamente e personalmente con lui.

Perché?

Perché ho avuto il piacere, l’onore ed il privilegio di conoscerlo personalmente, di conversare con lui, di mangiare velocemente un panino con lui, mi ha concesso di entrare nel suo animo e di capire l’inarrestabile  carica agonistica che lo catapultava,  metro dopo metro, curva dopo curva alla vittoria anche “in barba” alle leggi della fisica o del moto dei corpi.

Ayrton Senna aveva un volto apparentemente triste, corrucciato, tormentato.

No, era un professionista alla continua ricerca della perfezione, la sua tattica di gara la costruiva visionando a piedi il circuito per assimilarlo, metro dopo metro, per trovare gli spazi utili per effettuare il sorpasso.

Se non c’erano se li inventava.

 

Ayrton Senna il volto di un Campione

Una sua frase “Non esiste curva dove non si possa sorpassare” la dice proprio tutta sul suo modo di intendere una gara di Formula 1.

Aveva lo sguardo deciso, intenso, di colui che non concede nulla all’avversario; sapeva “pesare” gli altri piloti, campione o seconda guida, veloce o arrendevole ma tuttavia in pista era estremamente corretto con tutti; pilota di gran carattere ma corretto.

Tutti noi ricordiamo le statistiche : 3 Mondiali di Formula 1 vinti,  41 G.P. vinti,  65 pole position conquistate (e ne avremmo conteggiate tante altre se non ci fosse stato quel maledetto 1 maggio 1994) ma ben pochi sanno che Ayrton Senna, oltre ad essere un coriaceo pilota di Formula 1, aveva una sensibilità ed una umanità sorprendente.

Durante il G.P. del Belgio del 1992 sul velocissimo Circuito di Spa-Francorchamps  il pilota francese Erik Comas uscì di pista ad altissima velocità, si staccò una ruota, colpì Comas  che perse conoscenza.

Ayrton Senna bloccò la sua McLaren,  raggiunse Comas, arrestò il motore che si era bloccato a pieni giri (scongiurando così il rischio di incendio) ed aiutò i paramedici a tirare fuori Comas dall’abitacolo contorto.

Lo possiamo definire un eroe?

SI !

Ayrton Senna il volto di un Campione

Torniamo a quel maledetto 1 maggio 1994

Il  pre-gara , prove libere, avevano già “segnato” quello che sarebbe stato il G.P. di Imola:

il Venerdi Rubens Barrichello, forse per la rottura di una sospensione, uscì di pista ad una chicane, si schiantò contro le barriere ed il pilota perse i sensi.

Ayrton Senna fu il primo ad accorrere vicino all’amico e connazionale Rubens, si accertò delle sue condizioni (subì varie fratture e ferite) e fu il “portavoce” di Barrichello con la stampa.

Il Venerdi  Roland Ratzenberger percorreva ad oltre  300 Km/h  il lungo rettilineo prima della curva Villeneuve quando si staccò l’alettone anteriore e l’auto divenne inguidabile.

Si schiantò in piena velocità contro il muretto che causò la morte di Ratzenberger.

Ayrton Senna non volle concludere le prove di qualificazione ottenendo comunque la pole position davanti ad un certo giovanottello impetuoso, ambizioso  e con la stoffa del campione che voleva insidiare il Campione: chi era questo nuovo  pretendente?

Forse ne avete sentito parlare: Michael Schumacher.

Ayrton Senna il volto di un Campione

Concludiamo.

Cosa ci ha lasciato Ayrton Senna?

Un senso di tristezza, un languore, una prostrazione per un qualcosa che ormai abbiamo perduto e che nulla potrà sostituire.

Tutti gli ammiratori di Ayrton Senna sentono stringersi  la bocca dello stomaco al suo ricordo, possiamo solo riviverlo attraverso i filmati del tempo.

Da Ayrton Senna  sgorgava carisma, dolcezza, determinazione, forza,  era il punto di riferimento del mondo della Formula1.

“Correre, competere, è nel mio sangue, fa parte della mia vita” ; questo era Ayrton Senna.

Sulla sua lapide è scritta la frase “Niente può separarmi dall’amore di Dio

ed aggiungo…nemmeno da tutti coloro che ti hanno ammirato e visto correre.

Ayrton Senna il volto di un Campione

Ciao Ayrton