Patagonica – Paesaggi dalla fine del Mondo

Alla Patagonia, grande regione dell’America Meridionale da sempre cara ai viaggiatori amanti della natura, è dedicato l’evento “Patagonica – Paesaggi dalla fine del Mondo” promosso da Roma Capitale.

Il territorio della Patagonia, diviso tra Argentina e Cile, occupa una superficie di oltre 900.000 km²; buona parte dell’area è costituita da zone desertiche e steppose popolate da innumerevoli specie di animali diverse come pinguini, puma, volpi e moltissimi altri piccoli mammiferi.

La Patagonia è ricca di paesaggi meravigliosi e luoghi suggestivi, raccontati e resi famosi anche da grandi scrittori come l’inglese Bruce Chatwin – autore di “In Patagonia”, diario di viaggio pubblicato nel 1977 – e il cileno Luis Sepúlveda che alla enorme regione desertica ha dedicato “Patagonia express. Appunti dal sud del mondo” pubblicato nel 1995.

L’enorme e vario patrimonio naturale della regione è tutelato da Argentina e Cile che, nel tempo, e con una lungimirante politica di protezione della natura, hanno istituito moltissime aree protette. Una delle più note e visitate è quella della “Terra del Fuoco” il cui parco nazionale occupa la regione più a sud dell’Argentina.

La mostra fotografica “Patagonica – Paesaggi dalla fine del Mondo” è stata inaugurata il 9 aprile scorso al “Museo di Roma in Trastevere” e sarà aperta al pubblico fino al 12 giugno 2016.

La mostra “Patagonica – Paesaggi dalla fine del Mondo” è promossa dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale con il patrocinio della Commissione Italiana dell’Unesco, della Regione Lazio e dell’Ente del Turismo della Patagonia.

La rassegna fotografica è realizzata da Luca Bragalli, fotografo e architetto paesaggista fiorentino. Nato nel 1972, Bragalli si occupa da molti anni di progettazione sostenibile, difesa della natura e tutela del territorio dall’impatto umano.

Le foto esposte nella mostra “Patagonica – Paesaggi dalla fine del Mondo” sono state scattate tra dicembre 2014 e gennaio 2015 in diverse aree protette cilene e argentine.

Vi sono molte immagini che riprendono i magnifici parchi nazionali argentini come “Los Glaciares” e “Terra del Fuoco” oltre ad altre suggestive testimonianze dalla Patagonia cilena (“Torres del Paine” e “Vicente Perez Rosales”).

La mostra “Patagonica – Paesaggi dalla fine del Mondo” si divide in due sezioni: in una sono esposte immagini nelle quali gli elementi “protagonisti” sono la pietra ed il vento, nell’altra viene dato risalto all’acqua dei fiumi e al gelo dei ghiacciai patagonici.

Le foto di Luca Bragalli sono rigorosamente in bianco e nero; la decisione di non mostrare i colori dell’incontaminata natura della Patagonia è legata alla volontà dell’autore fiorentino di dare il massimo risalto soprattutto alle forme, alla geometria ed alla purezza dei paesaggi desertici e stepposi dello sterminato territorio argentino-cileno.

La Patagonia è rappresentata nella sua alternanza di luci e ombre; la totale assenza di elementi umani accentua la maestosità della natura.

Il variare di luoghi e condizioni meteorologiche, che è ben rappresentato dalle immagini esposte, dà all’osservatore l’impressione di un luogo che, nonostante la calma del deserto, è comunque sempre in continuo movimento e perenne mutamento.

“Patagonica – Paesaggi dalla fine del Mondo” è una mostra da non perdere per tutti gli amanti della natura e dell’ecoturismo; sono sempre in numero crescente gli appassionati di fotografia che affrontano il viaggio in Patagonia per riscoprire e fissare nelle foto il meraviglioso spettacolo che ci offre la natura.

Un’ottima occasione per riscoprire la bellezza della Patagonia – uno degli ultimissimi luoghi al mondo dove la natura la fa ancora da padrona – e per ricordarci dell’importanza della tutela della regione da un possibile invasivo e deprecabile impatto umano.

 

Patagonica – Paesaggi dalla fine del Mondo – Immagini di Luca Bragalli

Evento promosso da promosso da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali

Dove:

Museo di Roma in Trastevere – Piazza S. Egidio, 1B – Roma

Quando:

Dal 9 aprile al 12 giugno 2016

Da martedì a domenica ore 10.00 – 20.00 (chiuso il lunedì)

Per i visitatori sono previste molteplici ed articolate facilitazioni economiche meglio specificate sul sito web:

http://www.museodiromaintrastevere.it

Tel. 060608 (orario 9,00 – 21,00)

Giuseppe Loris Ienco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I libri che hanno fatto l’Europa

I libri che hanno fatto l'Europa

In occasione del XXVIII Congresso Internazionale di Linguistica e Filologia romanza (a Roma dal 18 al 23 luglio 2016), la Biblioteca dell’Accademia dei Lincei ha aperto la mostra storico-documentaria (gratuita) “I libri che hanno fatto l’Europa“: esposti ci sono manoscritti latini e romanzi, da Carlo Magno fino all’invenzione della stampa.

Si potrà visitare “I libri che hanno fatto l’Europa“, inaugurata il 31 marzo, fino al 22 luglio, presso Palazzo Corsini in via della Lungara 10, Roma.

Lo scopo è rappresentare l’evoluzione della cultura europea attraverso l’evoluzione della forma libro e le opere fondamentali che, dalla tradizione classico cristiana, hanno condotto la nostra civiltà fino alla modernità. Inoltre viene data la possibilità di far conoscere parte del patrimonio culturale delle biblioteche di Roma (Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Angelica, Casanatense, Nazionale, Vallicelliana, Biblioteca Apostolica Vaticana).

I libri che hanno fatto l’Europa”, a cura di Roberto AntonelliMichela Cecconi e Lorenzo Mainini, è organizzata dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dal Dipartimento di Studi Europei, americani e interculturali di Sapienza Università di Roma.

Il percorso espositivo consta di 186 manoscritti e a stampa, di periodo compreso tra il IX e il XV secolo, provenienti dalla Biblioteca dell’Accademia e da altre importanti Biblioteche di Roma, suddivisi in 5 macroaree a loro volta articolate in 19 sezioni tematiche.

Si inizia con la cultura classico-cristiana “fondata” da S. Agostino e S. Girolamo e andata avanti per tutto il Medioevo. I testi classici vengono filtrati, tradotti, rielaborati, andando a formare non solo una gran quantità di materiale scritto, ma soprattutto una tradizione, un sistema di valori, una forma mentis. I testi esemplari del cosiddetto canone si affiancano alla Bibbia e ai testi pagani: sono queste le fonti di acculturamento del tempo. Troviamo in questa sala la Bibbia atlantica: 18 kili il peso di questo preziosissimo esemplare, probabilmente costituito in origine da due volumi, uno dedicato al vecchio e uno al nuovo testamento, quest’ultimo andato perduto.

Si va avanti con le compilazioni enciclopediche e i trattati di scienza, per proseguire con la letteratura di XII e XIII secolo e la sua grande vastità e varietà di produzioni: diritto, aristotelismo, agiografia, letteratura didattica, storiografia, epica, romanzo, lirica, laudari.  Nasce in questi secoli la moderna letteratura europea, col suo nuovo sistema di generi.

La quarta sezione de “I libri che hanno fatto l’Europa” è dedicata al primo canone della letteratura italiana, dunque alla triade Dante Petrarca Boccaccio, che ha costituito un punto di riferimento e un modello nei secoli a venire. Qui troviamo esposta anche la editio princeps (la prima edizione a stampa) della Commedia, unita a varie trascrizioni del Boccaccio delle opere dantesche (come la Vita Nuova, le Canzoni) e del Petrarca (il Canzoniere). Di quest’ultima opera è presente il primo manoscritto trascritto da Petrarca stesso, con l’aiuto di un copista.

L’ultima sezione, Verso la modernità, è incentrata sulla rivoluzione portata dalla stampa: a partire dal 1467, quando a Subiaco viene stampato il primo libro italiano, il fenomeno si diffonde e trova in Venezia il suo centro d’eccellenza. La città diventa la capitale mondiale della stampa, da dove ha inizio la trasformazione epocale della trasmissione del libro, con ripercussioni sui modi della lettura, sul pubblico, sulle lingue utilizzate, sulle forme librarie.

Il racconto che c’è dietro questi manoscritti latini, romanzi, greci, arabi ed ebraici è il racconto di una cultura che si è evoluta nei secoli avvalendosi di molteplici trasformazioni ed influenze. Dall’antichità ad oggi il sapere si è tramandato in forme diverse, cercando di far sopravvivere una certa educazione letteraria e scientifica, un certo rigore culturale. “I libri che hanno fatto l’Europa” racconta  le radici profonde di un sapere non solo italiano, ma europeo.

I libri che hanno fatto l’Europa: dove e quando

La mostra (gratuita) “I libri che hanno fatto l’Europa“, resterà aperta fino al 22 luglio: lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9:00 alle 13:00, martedì e giovedì dalle 9:00 alle 17:00, ogni prima domenica del mese dalle 10:00 alle 18:00. Palazzo Corsini si trova in via della Lungara 10, Roma.

Al via la prima edizione di primavera dei Cinemadays

Confortati dai risultati dell’edizione di ottobre dei CinemaDays, con un milione e 800mila spettatori che hanno affollato le sale, le associazioni dell’industria cinematografica ANEC, ANEM, ANICA, con il sostegno della Direzione Generale Cinema del MiBACT, lanciano la prima edizione di primavera dei Cinemadays, in programma dall’11 al 14 aprile, con l’obiettivo di continuare a far aumentare le presenze nelle sale cinematografiche. Durante i CinemaDays il costo del biglietto sarà infatti di soli 3 euro (ad esclusione dei film in 3D che costeranno 5 euro e degli eventi speciali). “L’avvio del 2016 – afferma Luigi Cuciniello, presidente ANEC, associazione nazionale esercenti cinema – ha segnato un incremento decisamente positivo delle presenze e degli incassi al cinema. Con i CinemaDays vogliamo continuare a mantenere alta l’attenzione del pubblico nei confronti della visione del cinema in sala. Anche per questo abbiamo deciso da quest’anno di organizzare due edizioni dei CinemaDays, una in primavera e una in autunno, con l’obiettivo che diventino degli appuntamenti fissi di promozione del cinema”.

A questo punto non resta che collegarsi al sito www.cinemadays.it per verificare le sale aderenti all’iniziativa, e….silenzio….inizia lo spettacolo….

Alla scoperta delle Fate nel quartiere Coppede’

Arriva la bella stagione e ritorna la voglia di scoprire la nostra magnifica città. Forse non tutti sanno che nel cuore di Roma c’è un luogo fuori dal tempo avvolto in un’atmosfera magica e sognante, il quartiere Coppedè. Un angolo della capitale in cui il suo ideatore, l’architetto Coppedè, ha fuso insieme stili diversi: dal Liberty all’arte romana, dall’arte rinascimentale a quella gotica, dando vita ad un miscuglio artistico sublime conosciuto ormai con il nome di “Stile Coppedè”. Il quartiere è un complesso di 26 palazzine e 17 villini e sorge tra la Salaria e la Nomentana. Un grande arco riccamente decorato che congiunge i due palazzi degli ambasciatori e dal quale scende un grande lampadario in ferro battuto, definisce l’ingresso del quartiere realizzato, tra il 1913 e il 1926. L’insieme dei fabbricati, caratterizzati da un miscuglio di linguaggi architettonici che immergono il visitatore in una atmosfera onirica, si articola intorno a piazza Mincio, dove lo spazio centrale è occupato dalla Fontana delle Rane, anche nota per il bagno che i Beatles vi fecero vestiti dopo un loro concerto tenuto nella vicina discoteca Piper. Ma sono due gli edifici più rilevanti, decorati in modo sovrabbondante e fantastico: la Palazzina del Ragno, di ispirazione assiro-babilonese caratterizzata da un grande ragno posto sulla facciata, e il magico Villino delle Fate, del tutto asimmetrico, con archi e fregi medievali realizzato fondendo diversi materiali, come il marmo, il laterizio, il travertino, la terracotta, il vetro. L’atmosfera magica e sognante del quartiere lo ha reso famoso come set ideale per innumerevoli film. L’associazione h, organizza per il prossimo 30 aprile una visita guidata, durante la quale sarà possibile andare alla scoperta della sua storia, dei simboli e della magia che contraddistingue il quartiere. In particolare vedremo la Fontana delle Rane, la Palazzina del Ragno e soprattutto il Villino delle Fate. Recentemente ristrutturato, rievoca la magia neogotica del luogo. Come in una fiaba ci appaiono torri medievali, finestre manieriste, stemmi barocchi, elementi Liberty e Decò.

La visita, curata dalla dott.ssa Bottone, è prevista per il prossimo 30 aprile alle 11:30.

Per ulteriori informazioni potete collegarvi alla pagina facebook, dell’associazione: https://www.facebook.com/Bellezze-di-Roma-1646385192258004/

Mazzucco e Orrù: la loro “Storia di mezzo”

Sarà il Teatro S. Luigi Guanella di Roma ad ospitare gli attori della Compagnia degli Arti che questo venerdì, sabato e domenica torneranno a calcare il palco per riproporre, con un cast in parte rinnovato, una pièce dai toni comici ma con un grande significato sociale.

Gabriele Mazzucco, autore e regista dello spettacolo, e Federica Orrù, attrice co-protagonista, rispondono ad alcune domande sulla rappresentazione e ci raccontano la loro esperienza da artisti.

Dopo recente successo, questo weekend torna in scena “La Storia di mezzo”, lo spettacolo record di presenze e incassi nella stagione 2014-2015 del teatro romano Ambra alla Garbatella nonché vincitrice dei premi Thealtro 2012 e Teatro Araldo di Torino. Gabriele, è pronto per questo nuovo debutto?

– Non credo di essermi mai sentito realmente pronto prima di un debutto. Il carico di ansie che mi porto prima di qualsiasi replica riesco ad alleggerirlo solo nel momento dei ringraziamenti. Spesso si trasforma in gioia, altre volte in rabbia (se qualcosa non è andata come volevo); diciamo che vivo in modo profondo e viscerale ogni rappresentazione, dalle prime fasi fino all’ultima replica. Quando seguo gli spettacoli dalla regia ripeto una dopo l’altra le battute in parallelo agli attori in scena. Spesso mi lascio andare a digressioni e valutazioni in tempo reale. Molti colleghi o amici che hanno visto con me in regia i miei spettacoli, parlano del mio modo di vivere le repliche come “di uno spettacolo nello spettacolo”: il bello è che in quel momento non me ne accorgo assolutamente.

Scritta nel 2009, questa che lei stesso definisce una “tragicommedia”, diventata anche un libro, racconta la storia di un neo-licenziato, una figura che ormai siamo tristemente abituati a conoscere. Com’è nata l’ispirazione?

– Erano gli anni in cui studiavo all’università e parallelamente vivevo di lavori saltuari: impiegato in più sale scommesse, cameriere, organizzatore di tornei di calcetto, buttafuori. Intorno a me vedevo i miei coetanei affannati nella ricerca del posto fisso; in realtà sentivo che il precariato estremo sarebbe stato il nostro futuro e che il posto fisso ormai apparteneva al passato o comunque a pochi, pochissimi privilegiati. Di qualche anno ho anche tristemente anticipato i tanti casi di suicidio che ci sarebbero stati con l’avvento della crisi. Immaginavo che questo cambio radicale della percezione del lavoro, unito alle tante spese e allo stile di vita ai quali eravamo abituati, avrebbero preso alla sprovvista fino alla disperazione tante persone. Purtroppo i fatti si sono rivelati tali… nonostante le tante parole di certi politici.

Come e in quale misura i toni comici e le situazioni a tratti surreali hanno aiutato a raccontare quella che invece è una realtà di disperazione assoluta? Quali sono stati, se ne hai incontrati, invece i limiti?

– La disperazione, il dramma, la tragedia raccontate per come sono non mi hanno mai interessato. Siamo capaci tutti a piangere quando le cose ci fanno male; alcuni invece riescono meglio a controllare il proprio dolore evitando le lacrime. Diverso è riuscire a trasformare il pianto in riso: lì c’è una volontà che somiglia tanto alla vita, è spirito di adattamento ed istinto di sopravvivenza. La risata è una ricchezza che va oltre qualsiasi situazione e che per quanto mi riguarda non mostra limiti, se non forse quello di non essere presi subito sul serio. Le persone superficiali ad esempio non prendono sul serio le risate ma a me viene soltanto da ridere.

C’è qualcosa di autobiografico in questa opera oppure si è semplicemente lasciato ispirare dalla realtà circostante?

– Come detto la società in cui sono cresciuto mi ha sicuramente ispirato; in egual misura ha avuto una forte influenza anche il mio ambiente famigliare e quello degli amici più stretti che ho frequentato dai 16 fino ai 26 anni (quando ho scritto La Storia di mezzo). C’è un po’ di tutto e un po’ di pochi in questo mio testo. Credo sia per questo che piaccia ad un pubblico così ampio di persone.

A proposito della sua formazione, in un’occasione si è trovato a riportare le parole di chi usa definire la sua Dams (Disciplina delle Arti, della Musica e dello Spettacolo) la “laurea del nulla”, un titolo che le avrebbe potuto assicurarle soltanto una carriera da eterno precario. Secondo la sua esperienza, il futuro di chi sceglie di fare dell’arte il proprio mestiere è davvero così incerto?

Ora il futuro è incerto per tutti. Negli anni a cavallo tra la nuova realtà e la percezione che la gente aveva di quanto stava succedendo ho scelto di seguire l’istinto e di buttarmi a capofitto nel mestiere del precario per antonomasia… l’artista. Se proprio devo vivere come vogliono loro, mi sono detto, almeno voglio farlo a modo mio.

Anche Federica Orrù, attrice professionista, sarà sul palco durante questo weekend. Cosa ci può raccontare del suo personaggio senza svelare troppo gli intrighi della trama?

– Il personaggio che interpreterò è quello di Maria, moglie del protagonista Simone. Maria è una perfetta donna moderna, divisa tra lavoro, casa, palestra e problemi di coppia. Una donna che ha voglia di vivere ed essere felice ma insoddisfatta di quello che la vita le sta offrendo e che non fa più nulla per nascondere questa sua infelicità anche se nel profondo del suo cuore nutre ancora la speranza che le cose, un giorno, possano cambiare… saranno gli avvenimenti improvvisi e continui a decidere che direzione prenderà la sua vita e quella di tutta la sua bizzarra famiglia.

Ha intrapreso la strada della recitazione perfezionandosi per anni e lavorando per la televisione, il cinema e il teatro. Quanto incide avere una buona preparazione per chi decide di dedicarsi a questa professione?

– Credo che Il mestiere dell’attore sia sicuramente uno dei più impegnatavi a livello di studio e preparazione tecnica: diventare attore è prima di tutto un lavoro su sé stessi e un percorso di studio intenso, che una volta intrapreso, richiede approfondimento continuo e costante e che può e deve durare l’arco di un’intera carriera. Ritengo quindi che la preparazione sia fondamentale, come in tutti i campi della vita, per diventare dei professionisti, ma allo stesso tempo c’è bisogno che la tecnica appresa diventi un connubio inscindibile anche con un qualcosa che è un di più, qualcosa che è simile ad una specie di “magia”, qualcosa che non si può insegnare: talento, personalità, fantasia, immaginazione, curiosità, espressività, vissuto personale… e tutto quello che del proprio mondo interiore l’attore riesce a comunicare al pubblico, in quel modo che dovrà essere solo suo, attraverso il personaggio che sta interpretando in quel momento.

Quale consiglio si sente di dare a chi ha timore di inseguire il proprio sogno da performer?

– Come già detto non è un mestiere semplice, bisogna determinarsi e volerlo veramente essendo disposti ad affrontare i sacrifici che richiede ma anche pronti a ricevere le grandi soddisfazioni che può dare. Iniziare dai primi passi. Per cui suggerirei di provare, con entusiasmo e serietà, ad incontrarlo quel sogno, quello che ognuno sa e conosce dentro di sé.

Progetti futuri sui quali sentite di poterci dare qualche anticipazione?

Finite le rappresentazioni de “La Storia di mezzo” inizieremo a lavorare su un monologo che porteremo in scena a maggio al Teatro Ambra alla Garbatella. In scena ci sarà Andrea Alesio per la regia di Gigi Palla. Il testo ancora lo sto rivedendo per proporre qualcosa che sia profondamente stimolante per noi e per il pubblico. Dimenticavo, il titolo del monologo è “Il Catamarano”.