Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

 

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

Ciò che contraddistingue Giò Di Tonno è l’umanità nel relazionarsi con il pubblico e la sua professionalità frutto dei lunghi anni di esperienze formative in tutti gli aspetti dello spettacolo.

Ne è la conferma l’intervista che ci ha rilasciato e che è condotta dalla nostra redattrice Catia Di Gaetano.

Veniamo al cuore dell’intervista:

Buongiorno Maestro e le siamo grati per averci concesso di dialogare insieme.

La sua biografia artistica è ricca di successi che condensiamo nell’allegato al nostro servizio; solo per fornire sintetiche indicazioni ricordiamo che Giò Di Tonno si è esibito con Lola Ponce, con Dionne Warwick ed ha partecipato al Concerto di Natale in Vaticano del 2017; dal 2002 e per 3 anni consecutivi ha interpretato la figura di Quasimodo nel recital Notre Dame De Paris.

Attraverso il nostro giornale La Macina Magazine abbiamo già avuto l’occasione di  apprezzare la sua iniziativa di creare il primo Laboratorio per cantautori che, all’epoca della fondazione, ha mostrato il coraggio di indicare il nuovo percorso verso il “teatro musicale” dove le due arti – canto e recitazione – interagiscono e si fondono armonicamente. Lei è poi approdato in TV dopo i successi conseguiti con i musical “Jekill & Hide”, “I Promessi Sposi”, “Oscuro e la Strega” ecc..

Maestro, quali sensazioni prova nel volgere lo sguardo verso un periodo ricco di soddisfazioni e di affermazioni professionali in relazione – invece – all’odierna realtà artistica e professionale ora che Notre Dame De Paris ha ormai consacrato la sua notorietà internazionale che è tanto più esaltante considerando che, in passato, “Il gobbo di Notre Dame” è stato interpretato da artisti del calibro di Antony Hopkins, Lon Chaney, Antony Quinn, Charles Laughton?

Guardo indietro e vedo un ragazzo motivato, che ha fatto tanti sacrifici e che si è posto traguardi sempre più formativi ed impegnativi per diventare ciò che ora sono. Sono nato talentuoso? 

Non lo so, forse, ma ho certamente percorso tutte le strade per accrescere il mio bagaglio artistico e per appagare umanamente il mio animo; esiste un sottile parallelismo tra la crescita artistica e la crescita musicale ed umana perché la musica dona questa possibilità. Vedo un giovane che non ha mai mollato e che si è cimentato in tutte le esperienze per migliorare. Ora, quando recito Notre Dame De Paris, sento che questo bagaglio formativo che ho acquisito nel tempo si manifesta naturalmente nella rappresentazione. Ho visto e studiato tutte le versioni ed interpretazioni precedenti della commedia ma, per questa edizione, bisognava rispettare lo spirito della versione originaria francese e le indicazioni del Maestro Riccardo Cocciante autore delle musiche; dal canto mio applico tutto ciò che le precedenti esperienze mi hanno insegnato. Ho amalgamato il tutto per interpretare il “mioQuasimodo che ancora oggi emoziona il pubblico.

Senza nulla togliere alla bravura degli altri artisti presenti in scena riteniamo che il personaggio di Quasimodo sia la figura centrale e l’essenza stessa della storia racchiusa magnificamente e tragicamente nell’ultima scena denominata “Il Matrimonio di Quasimodo“. Cosa ne pensa di questa affermazione?

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

Hai detto bene Catia, Notre Dame De Paris è una opera collettiva ed è proprio l’alto profilo artistico di tutti i singoli interpreti che la rendono magnifica; è una opera musicale, ha un cuore e trasmette sentimenti mediterranei, è arte collettiva. Il ricordo è anche legato alla figura di Esmeralda e – indubbiamente – la versione realizzata dalla Disney nel 1996 ha contribuito alla sua diffusione tra gli adolescenti che ora, da adulti, seguono con passione le versioni attuali. E’ vero Catia, l’ultima scena denominata “Il matrimonio di Quasimodo” dove lui accompagna la sua amata alla tomba e si lascia morire è una scena straziante, bella, pura, un vero e sincero amore che tocca il pubblico nel profondo dell’animo. Io sento una grande responsabilità e coinvolgimento nel rappresentare la figura principale, me ne faccio carico e cerco di trasferire al cuore del pubblico il dolore lacerante di Quasimodo.

Giò Di Tonno ha scritto un brano per Elhaida Dani magnifica interprete di Esmeralda; cosa ci può dire dell’intenso rapporto artistico con la protagonista e della sua incredibile qualità ed estensione vocale unita ad una non comune armonia scenica?

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

Inizialmente temevo per l’assenza di Lola Ponce con la quale ho condiviso nel tempo sia precedenti versioni di Notre Dame De Paris che tante altre esperienze artistiche ma Elhaida, con la sua grandissima qualità vocale e presenza scenica, ha avuto il grande merito di inserirsi in punta di piedi in un cast già formato – e già questo rappresenta una grande difficoltà – l’esserci brillantemente riuscita evidenzia la sua eccellente professionalità. Ha lavorato con grande disciplina instaurando un ottimo rapporto con tutti, si è amalgamata perfettamente conquistando il suo spazio e si è creata il personaggio di Esmeralda, il “suo” personaggio.

Notre Dame De Paris è l’evento sempre più atteso dal pubblico che lo premia costantemente con sold out in tutte le repliche perché trasmette magia, emozioni, attese; cosa avverte quando è sul palco?

Avverto una sensazione di appagamento, di felicità e di gioia perché Notre Dame De Paris resiste al tempo, rappresenta sincerità di intenti, di amore che sono sensazioni difficili da ritrovare in altri contesti come per esempio i Social dove tutto è volatile per la natura stessa del mezzo di comunicazione; l’opera costituisce uno spazio che ci è necessario. Mi ritengo fortunato rappresentare nuovamente Notre Dame De Paris.

Non possiamo non sottolineare l’emozione, la passione e l’entusiasmo che Giò Di Tonno dedica al personaggio di Quasimodo; nella sua interpretazione, Maestro, è cambiato qualcosa nel corso del tempo? Lo ha interpretato in chiave diversa?

Beh, certamente tutte le mie esperienze artistiche accumulate nel corso degli anni mi hanno formato e quindi determinato la mia evoluzione professionale. Ricordo la mia irruenza interpretativa che rasentava l’incoscienza, tipica del giovane che si presenta al pubblico; negli anni e con l’intenso studio sono riuscito a misurare ed affinare la mimica, il canto e la presenza in scena che hanno reso più convincente ed appassionante la figura di Quasimodo.

Ci può parlare del suo incontro con Riccardo Cocciante, autore delle musiche di Notre Dame De Paris, e del sodalizio artistico che si è sviluppato e consolidato nel tempo?

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

E’ un rapporto splendido basato sulla stima reciproca, Riccardo Cocciante si è “fidato” ed “affidato” a me e di questo gliene sono veramente grato. Ci siamo sempre confrontati in termini sereni e costruttivi, ho cercato di aderire alle sue richieste riguardo la vocalità al fine di rendere più credibile il “gobbo” che presenta una dura scorza esteriore ma un animo delicato come è la sua voce. Stimo così tanto Riccardo Cocciante tanto da annoverarlo tra gli autori più grandi ed “intimi” del nostro secolo

Ci può raccontare uno o più eventi significativi della sua carriera che più hanno inciso per la prosecuzione della stessa?

Sanremo 1994 !

Ero un ragazzo e facevo piano bar, mi esibivo con la mia piccola band, recitavo nei più modesti teatri e…all’improvviso mi trovo catapultato sul palco di Sanremo. Ero impreparato ad affrontare una così importante esperienza considerando anche che, al tempo, non esistevano contest che fornivano indicazioni e comunque ti preparavano per i grandi eventi. I ragazzi di oggi, con i talent, appaiono più preparati quantunque il livellamento tra i partecipanti rende molto più dura e selettiva l’affermazione. Dopo l’esperienza di Sanremo ho capito che dovevo dedicarmi allo studio con tutte le mie forze; ho studiato recitazione, canto e movimento scenico, mi sono quindi formato e recitato in molti teatri, mi sono dedicato alla pop music, alla TV accumulando molteplici esperienze. Amo questo mondo, è il mio mondo.

Veniamo ora all’ultima domanda dell’intervista.

Maestro, lei insegna canto, movimento scenico e trasmette ai suoi allievi ogni aspetto di ciò che è legato al musical; quale messaggio vuole dare ai giovani che intendono seguire questa arte?

Buona la prima!

Studiare il pop, la musica leggera che trasmette le nostre sensazioni, il nostro “io” dove forse è bastevole anche avere una buona predisposizione. Il teatro musicale è ben altro discorso e non si può affidare nulla al caso e non si può improvvisare perché l’attore è il veicolo delle emozioni altrui, egli rappresenta ciò che il pubblico sente nel proprio animo. Si deve lavorare e studiare tanto per affrontare questo mondo e studiare significa anche conoscersi profondamente per dare il massimo di se stessi al pubblico. In teatro è “buona la prima” e devi quindi essere sicuro sul palcoscenico. Ai giovani dico che l’emozione si combatte con l’esperienza e con il lavoro; l’esperienza ti emoziona ma non ti pietrifica.

Grazie Maestro per il tempo che ci ha dedicato e continueremo a seguirla ed essere suoi sinceri estimatori.

Grazie a voi Catia.

BIO GIO’ DI TONNO

 

Si ringrazia per la preziosa collaborazione:

Giò Di Tonno intervistato da Catia Di Gaetano

 Valeria Scapicchio
Ufficio Stampa
valeria.scapicchio@wordsforyou.it

Chiara Sanvito

Ufficio Stampa

chiara.sanvito@wordsforyou.it

Logo di proprietà WFY

 

PH Credit Alessandro Dobici

 

 

 

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

 

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

E’ per noi un piacere ricordare la gioia, l’emozione e la freschezza nel sorriso di Caterina al momento di ritirare il premio conseguito nel nostro precedente Concorso l’Arte della parola per la sua opera “L’urlo del coraggio infranto” che ha, forse, determinato il suo più che meritato successo.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Abbiamo già pubblicato il suo componimento in data 18/11/2019

https://www.lamacinamagazine.it/caterina-marano-il-volo-della-libellula/

L’intervista è condotta dallo scrittore e giornalista Andrea Lepone.

“Intervistiamo oggi la Dott.ssa Caterina Marano, psicologa specialista in infanzia, adolescenza e famiglia, psicoterapeuta e insegnante, nonché abile scrittrice e vincitrice di prestigiosi riconoscimenti letterari. Per Aletti Editore è in uscita la silloge poetica “I Dipinti dell’anima”.

Per stabilire da subito un clima di dialogo propongo di passare al “tu”.

Certamente, Andrea. Sono lusingata di essere intervistata da te, che sei per me da nobile esempio essendo un giovane autore di grande talento e avendo ricevuto da te il primo riconoscimento.

Buongiorno Caterina, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito nel Concorso Letterario “Il Macinino”. La tua opera, intitolata “Il volo della libellula”, si è classificata al secondo posto ex aequo nella sezione dedicata alla poesia. Cosa ti ha ispirato nel comporre questa lirica?

Mi ha ispirato il mio corpo, che racconta spesso la mia storia con sensazioni molto forti. In particolare questa poesia l’ho scritta in un periodo di significativa trasformazione e in un contesto naturalistico. La scelta del titolo infatti sta a simboleggiare la ricerca consapevole di libertà e il bisogno di equilibrio attraverso una profonda connessione tra anima, mente e corpo, nonostante i morsi della vita e i boati del passato.

Nella suddetta poesia, l’utilizzo delle rime è assai significativo. Prediligi uno stile più ritmico, a scapito di un verso più sciolto?

Dipende dalla poesia e dalle emozioni che trasmetto. Di solito prediligo l’utilizzo delle rime quando le emozioni sono molto forti e profonde, quasi esplosive. La rima mi aiuta a stare con queste emozioni e a sentirne l’intensità per poi trasformarle in un’esperienza emotiva evolutiva, una conclusione diversa con cui spesso chiudo le mie opere. Allo stesso tempo preferisco agganciare il lettore con un’incisiva musicalità e accompagnarlo con ritmo deciso affinché la mia opera attraversi la sua anima dall’inizio alla fine.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

Esattamente come una libellula in volo, anche gli esseri umani hanno bisogno di un proprio “equilibrio” per affrontare la vita… secondo te, la poesia può essere d’aiuto in questo senso?

Credo profondamente nel potere terapeutico della poesia; è una preziosa risorsa per affrontare la vita. Con la poesia così come con altre forme di espressione artistica è possibile riscrivere la propria storia ed elaborare esperienze emotive per trasformarle in opportunità di crescita evolutiva. Nel mio caso è stata molto utile per accettare ed elaborare esperienze traumatiche della mia storia personale e familiare.

Ritieni che la scrittura creativa sia utile per comprendere meglio la personalità di un individuo, i suoi pensieri, le sue aspirazioni?

 Credo di sì, tuttavia è necessario che ci siano come condizione la disponibilità ad ascoltare e ascoltarsi, la motivazione a sintonizzarsi con se stessi e mettersi in discussione, il desiderio di riscoprirsi, il coraggio di accertarsi e lascarsi attraversare dalle proprie emozioni. Utilizzo spesso la scrittura creativa anche in ambito professionale sia con adulti sia con bambini. Tra i miei progetti futuri vi è un Laboratorio di scrittura creativa rivolto ai preadolescenti, per cui la poesia potrebbe essere utile sia a prevenire eventuali disagi sia a trasformarli in esperienze emotive accettabili e correttive.

 Arte poetica e condivisione… cosa ne pensi di questo binomio?

Credo nel potere di questo binomio affinché la poesia diventi espressione simbolica della psiche ed esperienza creativa per l’anima.La condivisione diretta della poesia o indiretta dell’esperienza emotiva suscitata è necessaria affinché l’arte poetica diventi un’esperienza evolutiva. La condivisione delle mie poesie con i miei genitori, che ringrazio infinitamente per avermi accompagnato in questa preziosa scoperta, è stata utile per elaborare insieme e in chiave metaforica dei vissuti emotivi troppi forti e intimi da poter condividere in maniera più diretta e intenzionale. Nella mia silloge poetica I Dipinti dell’anima ho privilegiato questa unione tra arte poetica e condivisione, coinvolgendo vari artisti con stili, ideologie, età e origine socio-culturali di diverso genere. Mi ha affascinato scoprire come dalla condivisione delle mie poesie siano nate altre forme artistiche, alcune anche completamente diverse dalle poesie a cui si sono ispirate. Nel mio libro l’anima di ogni poesia si incontra con lo spirito di ogni artista. Ogni lettore potrà scoprirsi in un dipinto dell’anima, in questo incontro condiviso tra arte e poesia.

Qual è il tuo componimento preferito, in termini assoluti?

Qualche tempo fa avrei citato un componimento dedicato a mio fratello Carmine, a cui è dedicata la mia silloge poetica. Per l’effetto trasformativo che ha la poesia su di me, ora posso dire che non ho un componimento preferito in termini assoluti perché ogni opera ritrae un respiro di libertà della mia anima e un sospiro di salvezza. Restando in tema di condivisione, vorrei citare il componimento “Radici nel cemento” a cui sono particolarmente legata perché è stato dedicato da mio padre a mia madre, ed è tra i loro preferiti.  Hanno sentito nei versi la forza del loro legame, che continua a vivere nonostante la perdita di un figlio. Questa poesia condivisa con loro rappresenta il potere della loro unione, per me grande fonte di forza e coraggio, e di cui sono molto orgogliosa.

Caterina Marano poeta: la nostra intervista

 Grazie Caterina per il tempo che ci hai concesso, con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.

Certo, non mancherò. Apprezzo molto il valore dei vostri eventi culturali e sono affettivamente legata ai vostri concorsi letterari. Con voi sono entrata nel mondo della poesia e ho iniziato a condividere le mie opere. Ricordo ancora con viva emozione quando ho esordito nel maggio scorso con l’“Urlo del coraggio infranto” al vostro Concorso L’Arte della parola, con cui ho ricevuto una menzione di merito.”

 

 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 Pietro Catalano è nato a Palermo e vive a Roma, in questa meravigliosa città che è capace di accogliere ma che è purtroppo piagata da eventi che non hanno rispetto del suo fascino, della sua storia, della sua anima culturale e dei cittadini.

Pietro è membro di varie Associazioni Culturali ed è componente di giuria in alcuni premi letterari. Figura tra i vincitori di numerosi concorsi nazionali e internazionali; tra i riconoscimenti più significativi citiamo il “Premio Speciale Stampa”, Premio «Artisti per la Pace» e Premio alla Carriera alla «V Edizione del Premio Internazionale Magnolia».

Delle sue opere si sono occupati diversi studiosi e critici di fama.

Pietro Catalano ha un significativo profilo culturale che viene messo in luce dall’intervista condotta dallo scrittore e giornalista Andrea Lepone, Presidente di Giuria

Intervistiamo oggi Pietro Catalano che, oltre ad una soddisfacente carriera alle dipendenze dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, può vantare un curriculum letterario degno della massima considerazione. Vincitore di numerosi concorsi letterari, le sue liriche figurano in antologie didattiche, collane e riviste di settore, tradotte anche in lingua inglese.

Per stabilire da subito un clima di dialogo propongo di passare al “tu”.

Certamente, con l’occasione ti faccio i complimenti per la tua attività di giornalista e scrittore, per le opere pubblicate e per i meritati riconoscimenti ottenuti.

Buongiorno Pietro, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito nell’ambito del Concorso Letterario “Il Macinino”. L’opera da te composta, intitolata “La mia città” e classificatasi al 2° posto ex aequo nella sezione dedicata alla poesia, sembra essere una chiara riflessione, un sorta di mesto tributo alla città di Roma. Cosa ti ha spinto a comporre questa lirica?

La poesia “La mia città” l’ho scritta alcuni anni fa e rappresenta, così come tu hai mirabilmente sintetizzato, “una sorta di tributo alla città di Roma”, dove mi sono stabilito negli anni 80. Sono originario di Palermo e sono approdato a Roma per motivi di lavoro, dopo aver prestato servizio – sempre nella pubblica amministrazione – a Venezia e Cuneo. E’ stata una scelta meditata e tenacemente perseguita perché Roma ha sempre rappresentato per me la città ideale in cui vivere, ricca di storia, memoria, cultura, bel clima, accogliente, insomma per dirla con il titolo di un famoso film di Rossellini ”Roma città aperta”. I primi versi “raccontano” una dimensione più personale della mia vita, “braccia aperte al cielo”, come esigenza di “infrangere” ogni confine ed aprirsi al mondo. E’ per questo motivo che ho scelto Roma, perché la sua storia testimonia una vocazione all’incontro e al dialogo, capace di operare una sintesi tra le diversità, non solo capitale d’Italia, ma anche della cristianità. Mi addolora pertanto verificarne lo stato di “decadenza” rispetto al passato, e da qui l’affermazione “dimentica il suo futuro”. La poesia – intrisa di mestizia, come hai sapientemente colto – è tutto sommato un atto d’amore per questa città, unito alla speranza che torni a “riappacificarsi” con la sua storia più nobile e che l’ha resa “eterna”.

All’interno dell’opera, tu non celebri le bellezze della Città Eterna, bensì ne tratteggi sapientemente ricordi, aneddoti e situazioni… quali episodi, legati indissolubilmente a Roma, hanno segnato maggiormente il tuo animo?

Come ho precedentemente detto, sono turbato dallo stato di decadenza della città. Roma è sicuramente una delle più belle città del mondo, ma c’è una sottile differenza tra il vissuto di chi la visita per inebriarsi delle sue bellezze e chi vi risiede e tutti i giorni deve inevitabilmente confrontarsi con le sue inefficienze gestionali. Raggiungere il posto di lavoro spesse volte è un’odissea, alle prime piogge si verificano puntualmente allagamenti, metro e autobus sempre più soggetti a guasti al di là dell’ordinario, buche non riparate che procurano gravi danni e talvolta incidenti mortali. Potrei continuare, ma non mi sembra il caso di infierire più di tanto. Va inoltre detto che una città non è rappresentata solo dal “salotto buono”, ma comprende anche le periferie e Roma – così come altre città della nostra amata penisola – in tal senso ha un grave debito nei confronti delle zone degradate e delle classi sociali meno abbienti. Tutto ciò incide sulla qualità della vita di molti cittadini e direi sulla condizione dello “spirito”. Di contro non mancano iniziative e spazi culturali inclusivi, in sintesi Roma non difetta di un’umanità che resiste, che guarda al futuro con coraggio e speranza, certa che è “sempre roseo il sole che tramonta accarezzando il Cupolone”.

Pietro Catalano poeta: la nostra intervista

 Ci sono grandi poeti romani ai quali ti ispiri, o che ti hanno influenzato nel corso della tua carriera letteraria? Magari Trilussa o il Belli?

Ho sempre apprezzato i poeti romani, tra i quali Trilussa, Belli e Pascarella. Leggendo i loro testi, si comprende appieno la “romanità” che – per dirla con le parole di Paolo Paccagnani –  è animata di fatto da varie componenti, tra le quali l’ironia, una certa dose di (disincantato) cinismo, un po’ di fatalismo, ma soprattutto da una grande, e direi penetrante, umanità. Premesso ciò, i poeti che maggiormente hanno influenzato il mio percorso poetico sono stati Quasimodo, Montale, Leopardi, Neruda, Baudelaire, Dickinson, Whitman. E poi – a ben guardare – va detto che ogni “poeta” è figlio del suo tempo.

Quale messaggio intendi condividere con i lettori, attraverso le tue poesie?

Credo che ogni poeta scriva per un bisogno insopprimibile. Per me è importante cogliere l’attimo in cui la parola poetica si manifesta e conseguentemente assecondare il bisogno di andarle incontro, direi di abbracciarla.

Riguardo al messaggio che intendo condividere con i lettori, posso dire che sento prevalentemente il bisogno di volgere lo sguardo al sociale e alla realtà che ci circonda. Una mirabile e puntuale sintesi riguardo alla mia poetica è stata fatta da Nazario Pardini il quale, per caratterizzarne “l’empito ispirativo”, ha menzionato le parole di John Donne: “La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. E’ in questo senso – direi – che possono essere interpretate le mie poesie, vale a dire la capacità di trasformare l’io soggettivo nel noi collettivo.

Pietro Catalano: la nostra intervista

Per te, quanto conta, oggi, l’arte della scrittura poetica in quanto strumento di memoria sociale?

Oggi più che mai è importante avere memoria della nostra storia, dei suoi contenuti e, di conseguenza, degli insegnamenti morali che da essa possiamo trarre. I social rappresentano una nuova forma di comunicazione e di “controllo sociale”, per cui oggi più di ieri si avverte la necessità di vigilare sulla veridicità delle fonti di informazione. L’essere umano è rappresentato dalla sua memoria, dal suo vissuto individuale e collettivo. La poesia, per la sua peculiarità – a mio avviso – dovrebbe avere pertanto anche funzione di memoria sociale. Come dice Luis Sepulveda “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”.

Qual è il tuo componimento preferito, in termini assoluti?

Non c’è un componimento che preferisco in assoluto perché ciascuno rappresenta sentimenti, ricordi, riflessioni. Alcune poesie sono incentrate su temi di carattere sociale, altre trattano della condizione umana, altre ancora indugiano su una dimensione più intimista. Pertanto, direi, che ciascuna poesia è parte del mio pensiero e del mio essere, parte di un tutto inscindibile.

Grazie Pietro per il tempo che ci hai concesso, con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.

 

 

 

Marco Polli: La fata birichina

Marco Polli: La fata birichina

 

Marco Polli: La fata birichina

Pubblichiamo, così come previsto dal Regolamento del nostro Concorso LetterarioIl Macinino” le opere dei primi tre classificati nelle Sezioni Poesie e Racconti.

L’autore Marco Polli, con la sua opera La fata birichina, si è classificato al 3° posto nella Sezione Racconti.

L’opera, gradevole, è un incantesimo scherzoso in un reame da fiaba in attesa del lieto fine.

Marco Polli: La fata birichina

 L’opera:

La fata Birichina

“Tanto tempo fa, nel reame di Arcadia sul Colle, in un grande palazzo sulla Montagna Incantata, viveva la fata Birichina, che era la Dama protettrice del villaggio di Ramoscello Fiorito.

La cura del suo palazzo era affidata agli gnomi e ai piccoli elfi delle campagne circostanti che si presentavano all’alba e scomparivano al calar del sole, mentre la sua unica compagnia era costituita da due vecchie oche, Abracadabra e Alakazam, che vivevano nel giardino del palazzo.

Il rappresentante di Ramoscello Fiorito era, invece, il Sindaco che i cittadini sceglievano tra gli abitanti più meritevoli durante la Festa dell’Arcobaleno, che si svolgeva a inizio primavera. Da molti anni era confermato nella carica Mastro Quercia, che era la memoria storica del villaggio, amministrava coscienziosamente le risorse di Ramoscello Fiorito e impartiva la giustizia con equità, oltre a curare le richieste che i suoi concittadini rivolgevano, periodicamente, alla Dama della Montagna.

A turbare la quiete di Ramoscello Fiorito, a sentire le dicerie dei paesi confinanti, sul reame di Arcadia sul Colle aleggiava un incantesimo scherzoso per cui, ogni volta che la Fata Birichina chiamava le oche, appena l’eco della Montagna Incantata risuonava con il suo Abracadabra Alakazam, subito, nel villaggio, capitava qualcosa di buffo a chi, in quel momento, era occupato in qualche attività. Poteva così accadere, per esempio, che il giardiniere che aveva appena finito di potare le siepi le ritrovasse subito cresciute o che il cuoco dovesse cucinare nuovamente le pietanze che aveva appena messo in tavola.

La cosa attirava a Ramoscello Fiorito molti curiosi, desiderosi di divertirsi per tornare alle proprie case con qualcosa da raccontare, ma non vi era nessuno che fosse disposto a trasferirsi a vivere nel villaggio. Mastro Quercia era ovviamente disperato per il lungo protrarsi di questa situazione che affliggeva Ramoscello Fiorito ormai da tempo immemore e ogni qualvolta si presentava al palazzo della fata Birichina per chiedere udienza perorando la causa dei suoi concittadini ormai scoraggiati, la stessa si divertiva a chiamare le oche per fare in modo che al villaggio ottenessero il risultato opposto di quello sperato.

Un giorno che Mastro Quercia, nel corso di uno degli incontri di palazzo, si accorse che le oche, appena si sentivano chiamare, correvano subito dalla loro padrona sperando così che la smettesse, perché capivano che il suo intento era di creare un magico disagio e le fece notare che pure i due pennuti prendevano le difese del villaggio, Birichina, stizzita, rimandò Abracadabra e Alakazam in giardino e, dopo essersi arrabbiata col Sindaco pensando che fosse stato lui a metterle contro i suoi adorati animali. Diede sei mesi di tempo al villaggio di Ramoscello Fiorito perché trovasse qualcuno capace di farla ridere senza dover chiamare le oche. Durante i sei mesi concessi la fata si sarebbe impegnata a chiamare le oche una per volta senza attivare l’incantesimo. Mastro Quercia tornò al villaggio sollevato per la tregua raggiunta e raccontò ai concittadini il risultato dell’incontro. Subito, da Ramoscello Fiorito, cominciarono ad inviare ambasciate nei reami vicini cercando qualcuno in grado di far ridere Birichina sperando di sciogliere, così, l’incantesimo scherzoso.

Il tempo però passava e nessuno si presentava finché una sera Mastro Quercia, ormai rassegnato, sentì bussare alla porta del Municipio, aprì e si trovò di fronte un nano, conosciuto nei Regni confinanti col nome di Re Trottola perché era solito spostarsi molto velocemente girando su se stesso proprio come una trottola. Re Trottola disse che era venuto a Ramoscello Fiorito per liberare il villaggio dall’incantesimo scherzoso e chiese di poter passare lì la notte dopo aver parlato, da solo, con il Sindaco. Il mattino seguente prese congedo e ripartì per raggiungere la Montagna Incantata.

Appena giunto al palazzo della fata Birichina e presentatosi dichiarando il motivo per cui era venuto, la fata, decisa a non dare alcuna possibilità al nano, visto che mancavano ormai pochi giorni allo scadere del tempo concesso al villaggio e poi sarebbe tornata a divertirsi con le sue oche, pensò di cominciare a divertirsi da subito facendo qualche scherzo al nuovo venuto e lo invitò ad entrare, dicendogli che avrebbe soggiornato a palazzo come si conveniva ad un Re Trottola per il tempo che mancava allo scadere dei sei mesi. Re Trottola, dal canto suo, avrebbe aiutato Birichina nei lavori di palazzo che non erano di competenza della servitù.

Vista la velocità e la bravura di Trottola nel portare a termine i compiti affidatigli, Birichina, che cominciava a provare simpatia per quel nano sempre paziente nell’esaudire i suoi capricci, gli chiese di costruire un laghetto nel giardino per le sue oche a cui voleva fare un regalo. In un lampo nel giardino comparve un grazioso specchio d’acqua in cui Abracadabra e Alakazam si tuffarono a nuotare felici. Incuriosita da un improvviso starnazzare prolungato che non sentiva da tanto tempo, Birichina si precipitò nel giardino per vedere cosa stesse accadendo alle sue oche e appena vide gli animali che giocavano senza pensieri, contenta per il lavoro svolto, chiamò il nano che saltò fuori dal laghetto delle oche facendo “ qua qua” come se fosse stato anche lui un’oca, bagnando da capo a piedi la fata che si mise a ridere divertita per lo scherzo ben riuscito.

Quella notte, quando andò a dormire, Birichina sognò di un tempo passato quando il palazzo sulla Montagna era un castello e lei era la principessina dispettosa che vi abitava con il Re e la Regina suoi genitori. Sognò anche di un ragazzino che correva velocemente girando su se stesso come una trottola e accompagnava lo zio, che era il Sindaco di Ramoscello Fiorito, quando era convocato dai sovrani al castello, mentre i due fanciulli facevano sempre degli scherzi tanto agli abitanti del villaggio per mezzo della servitù quanto alla servitù stessa, finché un giorno lo Spirito della Montagna Incantata, stanco di vedere trattati così gli gnomi e i piccoli elfi, dopo aver messo Mastro Quercia a conoscenza dei suoi piani futuri, attivò l’incantesimo scherzoso che sarebbe terminato solo quando Birichina e Trottola avessero imparato a divertirsi tra di loro senza fare troppi dispetti agli altri. Al risveglio Birichina si trovò nella camera di un bellissimo castello. Il re e la regina erano in piedi a bordo letto per darle il buongiorno. Subito corse ad aprire la finestra per guardare nel giardino dove erano vissute le oche. Vicino al laghetto un ragazzo che ricordava di conoscere fin da bambina la salutava con la mano. Tutti avevano ripreso le loro sembianze di un tempo: lei, i suoi genitori, Trottola. L’incantesimo era stato sciolto.

Nel Reame di Arcadia sul Colle era tornata la felicità e, a eterno ricordo dell’evento, a Ramoscello Fiorito fu organizzata una grande festa che durò molti giorni. Nell’occasione vennero celebrate le nozze fra Trottola e Birichina e si decise che le oche sarebbero sempre state le benvenute nel reame di Arcadia sul Colle. Ne vennero pure scolpiti due esemplari nello stemma del villaggio e quando venne il loro momento di governare Birichina e Trottola si dimostrarono una saggia Regina per Arcadia sul Colle ed un Sindaco giusto e coscienzioso per Ramoscello Fiorito, per i molti anni che vissero, insieme, felici e contenti.”

La Commissione di valutazione costituita da scrittori, poeti e giornalisti rinnovano i complimenti a Marco Polli per l’eccellente componimento; congratulazioni.

A breve pubblicheremo l’intervista a lui dedicata.

Informazioni più dettagliate dell’autore sono reperibili nella sua pagina Facebook

https://www.facebook.com/marco.polli.5

Grazie

Flavio Provini poeta: la nostra intervista

Flavio Provini poeta: la nostra intervista

 

Flavio Provini poeta: la nostra intervista

Flavio Provini, classificatosi al posto nella Sezione Poesie del Concorso Letterario Internazionale Il Macinino edizione 2019 con la sua opera “Lettera di un bambino dall’inferno

Abbiamo già pubblicato il suo componimento il 31/10/2019 https://www.lamacinamagazine.it/flavio-provini-lettera-di-un-bambino-dallinferno/ sui vari Social e su altra testata in reciprocità https://fai.informazione.it/5F07A436-C11C-4E3E-AE6E-D667E7FF0D13/Flavio-Provini-Lettera-di-un-bambino-dall-Inferno

Flavio, giurato in molteplici concorsi letterari, è da sempre appassionato di poesia e narrativa.

Lettore instancabile di romanzi, racconti, saggi, articoli di cronaca di vario genere, ha conseguito considerevoli risultati nei concorsi letterari nazionali e internazionali per opere inedite ai quali ha partecipato nel periodo 2016-2019 annoverando primi posti, diversi podi e numerose menzioni e segnalazioni di merito.

Alcuni suoi lavori sono pubblicati online o editi nelle antologie in formato cartaceo o e-book; di alcuni di essi è stato gratuitamente realizzato un audio-video facilmente reperibile sul web.

Figura di non comune spessore artistico e, nel contempo, amabilmente gioiosa.

Flavio Provini poeta: la nostra intervista

L’intervista è condotta dal Dr. Andrea Lepone, poeta, scrittore, giornalista e Presidente di Giuria del Concorso

“Intervistiamo oggi il Dr. Flavio Provini che, oltre ad esercitare la sua professione di valente avvocato, è ben noto nel mondo della cultura per le sue capacità di raffinato scrittore di poesie avendo ottenuto molteplici encomi e premi ai Concorsi dove si è presentato.

Per stabilire da subito un clima di dialogo propongo di passare al “tu”.

Certamente, Andrea. Per me è un piacere ed un onore insieme essere intervistato da te, operatore culturale, autore e critico letterario di notevole spessore nonostante la giovane età.

Buongiorno Flavio, grazie per la tua disponibilità e complimenti per il riconoscimento conseguito nell’ambito del Concorso Letterario “Il Macinino”. Puoi dirci com’è nata l’opera “Lettera di un bambino dall’Inferno”, con cui ti sei aggiudicato il primo posto nella sezione dedicata alla poesia?

La lirica nasce da una riflessione sulla guerra, vista, anzi subìta, dalla prospettiva innocente di un bambino. I bambini sono infatti le prime vittime di un meccanismo perverso, illogico perché soltanto distruttivo. E’ la demolizione che si pone al centro dell’opera tutta: demolizione delle vite umane, dell’ambiente, dei luoghi dei giochi e degli affetti, persino della scuola, generalmente invisa ai minori, e poi paradossalmente rimpianta da chi è rimasto abbandonato a se stesso. Ho scelto di ambientare l’opera in Siria, nella periferia orientale di Damasco, teatro della nota, disastrosa guerra civile, ma la tragica descrizione di fatti, persone, cose è la risaputa costante di ogni conflitto bellico.

Nelle tue liriche spesso vengono trattati delicati argomenti di attualità sociale. Ritieni che la poesia possa essere un valido strumento di sensibilizzazione per i lettori, nei confronti di tali tematiche?

Senza dubbio. Parlare di un argomento, anche attraverso il linguaggio poetico e il suo nutrito impianto di figure retoriche, significa puntare – continuare a puntare – i riflettori su di esso, in un’ottica di biasimo e di prevenzione delle condotte deplorevoli.

V’è chi pensa che se i media non si occupano di un problema, esso non esista, sia superato e risolto, ma non è affatto così, purtroppo.

E su certi argomenti guai ad abbassare la guardia!

Per questo, nei miei lavori tratto frequentemente tematiche sociali dal carattere sempre attuale: ad esempio, la povertà, la solitudine, il disagio degli anziani, dei malati gravi, dei disabili e di altri soggetti fragili, la pedofilia e lo sfruttamento dei minori, la prostituzione, l’ingiustizia sociale, l’illegalità, la violenza di genere e di ogni altra forma in cui si possa manifestare.

Flavio Provini poeta: la nostra intervista

Come consideri ed interpreti il ruolo del poeta nell’attuale società?

Mi piace rispondere ricordando una riflessione di Baudelaire: “nell’arte c’è un elemento trascendente e un elemento contingente, una parte divina e una parte umana, un sapore d’eterno e un gusto di moda. Senza il primo l’arte si ridurrebbe ad una cosa effimera, senza il secondo diventerebbe una cosa sovrumana. Senza il primo la storia dell’arte si perderebbe nella cronaca, senza il secondo nella mitologia”. Ecco, oggi la cronaca è rimessa al giornalista, lo studio della religione e la diffusione dello spirito religioso, rispettivamente, al teologo e al ministro di culto. Potremmo pensare all’Artista e quindi anche al Poeta, che con il Narratore condivide il ruolo di “artista della parola”, come un tertium genus: colui che, partendo da una personale e originale interpretazione della realtà, si rivolge ai suoi lettori animato da un’autentica, profonda spiritualità. E spirituale dovrebbe essere il suo messaggio, con la precisazione che il termine “spirituale” non deve necessariamente intendersi in un’accezione religiosa, ma in quella universale di osservanza e propaganda dei valori fondanti il vivere civile, come la solidarietà, l’aiuto per il bisognoso, il rispetto della dignità umana, la non violenza, la costante ricerca del dialogo e del confronto, l’integrazione, l’accettazione e il rispetto delle diversità.

Quale è stato il tuo percorso di avvicinamento al mondo dell’arte poetica? Ci sono autori ai quali ti ispiri?

Forse tutti noi siamo poeti, senza saperlo.

Certamente qualcuno sarà più portato di altri per la scrittura, vuoi per inclinazione naturale, vuoi per gli studi seguiti, o vuoi ancora per la passione per la lettura coltivata negli anni.

Tuttavia credo che la poesia, quale apprezzamento e ricerca del concetto del Bello, sia presente, ancorché spesso latente, nell’animo umano di ogni persona ben educata. L’architetto la coglierà nella geometria perfetta di una cupola, lo scienziato nella scoperta della formula innovativa di un vaccino, il medico nell’appropriatezza di una cura, l’ecologista nella riqualificazione di un’area inquinata, e via dicendo. Chi ama scrivere la individuerà nell’originalità del testo, nella potenza del suo messaggio, nell’armonia del verso, nel rigore metrico, in rime, assonanze, allitterazioni non banali e ben calibrate, tali da colpire positivamente il lettore e al contempo indurlo ad una sana riflessione.

Sono sempre stato affascinato dalla poesia, ma soltanto da circa tre anni ho deciso di mettermi in gioco partecipando a concorsi letterari, come occasione di conoscenza e confronto con altri autori che coltivano questa passione, e in genere come nuova ed arricchente esperienza di vita…sono soddisfatto della mia scelta.

Fra i classici a cui mi ispiro non posso non ricordare Pascoli, il mio autore preferito, Trilussa, maestro di stile applicato alla pungente ironia e perché no…anche De André, che a mio avviso, oltre ad essere il grande cantautore che sappiamo, dimostrò nei suoi testi doti poetiche straordinarie.

Poesia e senso civico… un nesso che secondo te può avere una valenza?

Certamente, e lo hanno capito molti organizzatori di concorsi poetici che inseriscono nei bandi, oltre alla tradizionale sezione a tema libero, anche la sezione a tema civico; anzi, in alcuni agoni il partecipante può portare esclusivamente opere di valenza civile.

Del resto, il rapporto fra “poesia” e “senso civico” ha radici antiche; la tensione della poesia ad incidere sulla realtà proponendo con fermezza un altro mondo possibile la si può ravvisare già in scritti del Medio e Nuovo Regno egizio e più tardi, nella civiltà occidentale, in un verso di Eschilo nel suo “Prometeo incatenato”, allorché il titano protagonista Prometeo, perseguitato da Zeus per aver donato il fuoco ai mortali, afferma: “quello che soffro è contro la giustizia!”.

In tal modo il semidio esprime il sentimento di inadeguatezza verso la legge non scritta, la consuetudine, il potere precostituito (la volontà di Zeus), che è prodromo e causa di un atto di ribellione consapevole, di autodeterminazione etica per affermare il valore della solidarietà, della democratica condivisione di un bene prezioso e utile collimante con il progresso civile.

Orbene, in epoca moderna la letteratura si è fregiata di una pregnante valenza civica; che Primo Levi e Sciascia siano da esempi indelebili per tutti noi, con la loro denunzia degli orrori della Shoah l’uno, e delle mafie l’altro. E a pensarci bene, sia la Shoah sia la mafia non sono che “ordini costituiti” imposti in determinati contesti spazio-temporali, tali da affossare tragicamente il primo valore civico in assoluto, la libertà dell’uomo, la sua dignità.

Flavio Provini poeta: la nostra intervista

Qual’è il tuo componimento preferito, che ancora adesso ti suscita particolari emozioni?

Difficile stilare una classifica, semplicemente perché ogni autore è affezionato a tutte le proprie creature, anche a quelle non apprezzate dalle giurie tecniche o dal variegato pubblico di un social network.

Se devo proprio rispondere, scelgo “Fame antica”, l’opera classificatasi prima assoluta al Concorso Letterario “L’arte della parola” Ed. 2017, indetto da La Macina Onlus. Non solo perché sia stata onorata di un riconoscimento tanto prestigioso, poi seguito da altri attestati di gradimento, ma anche perché in trenta versi liberi ho affrontato per la mia prima volta un tema spinoso, da sempre sotto gli occhi di tutti: la vita misera del clochard, del senzatetto vagabondo, con quell’alone di impietosa indifferenza sociale che la circonda.

E’ il dramma dell’ “abitare la pelle della strada”, come scrivo, pelle che può diventare un letto di morte prima che spunti l’alba, intesa come chance di riscatto. Dietro a chi non-vive così si annida sovente la disfatta della nostra società, l’inerzia o l’inefficienza delle istituzioni. Quando ho creato questa lirica, mi sono emozionato e insieme arrabbiato contro chi dovrebbe fare e non fa, e io stesso ho pensato che, nel mio piccolo, potrei fare di più a favore di chi versa in tali condizioni.

Grazie Flavio per il tempo che ci hai concesso, con l’auspicio che ci seguirai con il tuo apprezzamento nei prossimi Concorsi Letterari che bandiremo.

Sicuramente, non mancherò.

Grazie infinite, Andrea, e tanta fortuna alla tua preziosa attività culturale.”