LA STORIA SIAMO NOI

caterina guttadauro la brasca

LA STORIA SIAMO NOI: Era la solita ora, pomeriggio inoltrato e nelle vie assolate di un povero paese della Sicilia si ripeteva lo stesso rituale: tre bambini avevano più o meno finito di fare i compiti ed erano sull’uscio di casa, pronti a fare qualsiasi cosa fosse loro chiesto pur di avere poi il permesso per andare a giocare a pallone, nella piazzetta antistante la chiesa.

Le mamme brontolavano ma erano maschietti e lo sport li aiutava a scaricare la loro vivacità e a farsi degli amici. Cosi Erasmo, Giuseppe e Gaetano si riunivano, strada facendo, e giù a rotta di collo, lungo la via acciottolata, con il rischio di percorrerla a capitombolo, se uno dei tre avesse perso il passo. La verità che raccontavano era tale solo in parte: si recavano sì nella piazzetta ma per andare al “Circolo dei Reduci”.

Era una casa a piano terra, malandata, dove seduti su delle sedie poco stabili c’erano i vecchi del paese, quelli che erano la sua storia, che erano andati in guerra ed avevano avuto la fortuna di tornare. Tre di loro portavano gli stessi nome di quei ragazzi dei quali erano i nonni. Un’insegna di cartone, attaccata alla porta con lo spago e che regolarmente cadeva quando c’era vento, spiegava a chi aveva la fortuna di sapere leggere, che coloro che si riunivano in quella casa erano uniti da un passato di eroismo e di battaglie che, tenuti in vita dalle parole, erano diventati ricordi.

Tutti e tre avevano servito la loro Patria, ognuno in modo diverso dall’altro ma con lo stesso patriottismo e lo stesso coraggio. Quasi tutti avevano un bastone a cui si appoggiavano per alzarsi, le ferite di guerra parlavano ancora e l’intensità del dolore non permetteva loro di dimenticare. In quella misera stanza, ogni giorno, si consumava la liturgia del racconto ed erano diventati così bravi che se uno si fermava perché quasi soffocato dal fumo del sigaro, ripetutamente aspirato e spento, l’altro continuava anche per lui.

caterina guttadauro

Le donne non capivano questa necessità di parlare sempre del passato, soprattutto ai ragazzi che potevano rimanere turbati.

Ma i vecchi erano testardi e sapevano che credere in qualcosa significava lottare perché non sia dimenticata. Così i ragazzi si accovacciavano ai loro piedi e, in religioso silenzio, ascoltavano quello che tre giovani soldati avevano fatto nella seconda guerra mondiale per farli nascere in una terra più libera. Erasmo era stato ben cinque anni in guerra, spesi in parte a combattere e in parte prigioniero degli Inglesi che gli avevano rubato l’infanzia dei suoi figli. Giuseppe era il più malridotto dei tre: arruolato fresco di laurea, fu mandato in prima linea, al comando di un drappello di uomini coraggiosi. Era il primo ad andare all’assalto e l’ultimo a rientrare. Già, perché allora si combatteva così, corpo a corpo ed a fermarti erano solo le bombe o la morte. Tutte le volte che rientravano da un’operazione, Giuseppe contava i suoi uomini e, se qualcuno mancava all’appello, si tornava indietro a cercarlo, vivo o morto. Durante una ritirata, ormai sopraffatti dalla superiorità numerica del nemico, fu individuato e, mentre correva, per sfuggire alle bombe che piovevano dall’alto ed al fuoco di una mitragliatrice che si faceva strada tra gli alberi, saltò dentro un pozzo dove riuscì, fortunatamente, a trovare un appiglio: era un arbusto dalle profonde radici che lo sosteneva mentre le sue gambe, ferite, penzolavano inerti dentro l’acqua di un inverno ghiacciato. Quella notte – Giuseppe pensò – che fosse l’ultima e proprio mentre lasciava andare le mani, ormai ferite per la lunga presa, prima di perdere i sensi sentì una voce che gridava:« Venite, qui c’è il Capitano.» Lo salvarono ma le sue gambe rimasero per sempre indolenzite.

LA STORIA SIAMO NOI

Gaetano era il più giovane dei tre e il suo amor patrio era pari alla sua voglia di vivere e divertirsi. Era sbadato e fu grato a Dio quando fu assegnato alla foresteria, lontano dal fronte dove sarebbe andato incontro a morte sicura. Il minimo rumore di combattimento lo disorientava al punto da fargli mollare qualunque comando stesse eseguendo per rifugiarsi in qualche posto più sicuro.

Quando arrivò ala conclusione che nessuna guerra poteva essere la sua, decise di accorciare i tempi e si cacciò uno spicchio d’aglio dentro un orecchio. La paura aveva vinto sul coraggio ma spese notti intere a scrivere messaggi da recapitare ai familiari per quei feriti che non sarebbero più tornati.

Si procurò un’otite purulenta ed il Comando fu costretto a rimpatriarlo perché il timpano si danneggiò a tal punto da rimetterci l’udito. Le tasche della sua divisa, sopravvissuta anch’essa alla guerra, erano piene di bigliettini e, laddove fu possibile, arrivarono a destinazione. Tutti e tre erano partiti perché quando la Patria chiama il dovere impone di andare, ma in guerra ti misuri con te stesso oltre che con il nemico e, quando torni, ti accorgi che le macerie non sono solo fuori ma anche dentro di te. Questo volevano far capire ai loro nipoti: la guerra è decisa da uomini, combattuta da uomini e pianta da madri che perdono i loro figli, da mogli che perdono il loro marito e da figli che non conosceranno mai i loro padri. E così sarà finché l’uomo farà prevalere la violenza sulla parola, l’odio sull’amore, il proprio interesse su quello comune.

I ragazzi li ascoltavano a bocca aperta mentre, con gli occhi, inseguivano le immagini della mente. Il libro del tempo, poi, mosso dal vento della vita, sfogliò le sue pagine e quel vecchio Circolo divenne un luogo in cui tre giovani, assieme a coloro che credevano negli stessi ideali, combattevano una battaglia civile, senza bombe ma con l’uso della parola, rivendicando la libertà di espressione ed il rispetto dei diritti di tutti. Non c’erano più reduci e s’impegnavano perché nessuno potesse più definirsi tale.

A tarda notte, l’ultimo che chiudeva la porta, soprattutto quando c’era vento, alzava gli occhi a guardare l’insegna, tenuta salda dalla loro ispirazione, dal giusto equilibrio tra coraggio e ragione, dall’aver trovato un legame tra stimolo e risposta.

Qualcuno aveva loro detto che le idee sono quanto di più sacro l’uomo abbia e nessuno ha il diritto, in nome di nessun principio, di negargliele.

La Storia aveva dimostrato che quando questo principio era stato dimenticato, all’uomo era stata negata qualsiasi forma di libertà e, quindi, la vita.

La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di crescere senza uccidere.

Era notte, i lampioni illuminavano la strada con spicchi di luce che sommati a quella di una grande luna, proiettavano, accanto ad ognuno la sua ombra, in compagnia della quale si ritornava a casa.

Come per un attimo Gaetano si sentì accanto qualcuno, si girò e si illuse di vedere tre vecchi, che con il loro sdentato sorriso, dicevano :« Bravi ragazzi, non siamo vissuti per niente se avete capito che La Storia siamo NOI.

Ringraziamo sentitamente l’autrice del racconto “La Storia siamo noi” Caterina Guttadauro La Brasca.

https://www.caterinaguttadaurolabrasca.com/

Viet Thanh Nguyen

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Viet Thanh Nguyen, Premio Pulitzer 2016 per la Narrativa con il romanzo “The Sympathizer” (2015), professore universitario di “English and American Studies and Ethnicity” nella prestigiosa University of Southern California di Los Angeles (U.S.A.)

 Il 18 aprile 2016, alla Columbia University di Broadway, Pulitzer Hall 709, New York, U.S.A., è nata una Nuova e Luminosissima Stella nel firmamento della letteratura planetaria: Viet Thanh Nguyen!

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Viet Thanh Nguyen non è ancora uno scrittore noto al mondo, almeno fino ad oggi, giorno di Pasquetta del 2017.

Non lo è, e non lo è stato fino ad un anno fa, neanche nel suo Paese d’adozione, gli Stati Uniti d’America.

Viet Thanh Nguyen è nato a Buôn Ma Thuôt, in Vietnam, nel 1971.

Nel 1975 la sua famiglia fugge negli Stati Uniti d’America per chiedere asilo politico dopo la caduta del regime sostenuto dagli Americani nel tentativo di colonizzare il Paese motivando l’“invasione armata” col più nobile degli obiettivi della politica occidentale; “importare la democrazia” in Vietnam attraverso una guerra sanguinaria, sanguinosa e dolorosa di cui il popolo americano ancora oggi porta ferite profonde e incancellabili.

Tutti i profughi vietnamiti che avevano sostenuto il Governo Statunitense, e che riuscirono a fuggire dalla Rivoluzione vietnamita, vennero accolti da subito in diversi campi di accoglienza in territorio americano.

La famiglia di Viet Thanh Nguyen passa il primo periodo della sua permanenza in Pennsylvania, presso il campo profughi di Fort Indiantown Gap.

Solo alla fine degli anni ’70 Viet e la sua famiglia possono iniziare una vita da cittadini liberi e da cittadini americani veri ottenendo dal Governo Americano il permesso di trasferirsi dove avrebbero voluto vivere dal momento in cui misero piede negli U.S.A.: la California, a San Jose, che per clima e humus era ritenuto dai Nguyen, almeno nell’immaginario, il più vicino e “prossimo” a quello del Paese che avevamo amato e abbandonato per sempre, per sfuggire a morte certa.

È dalla California che il piccolo Viet Thanh Nguyen inizia gli studi, con passione, intelligenza e determinazione, laureandosi nel maggio del 1992 col massimo dei voti in “Letteratura Inglese e Studi Etici” divenendo poi, nel 1997, professore universitario in “English and American Studies and Ethnicity” nella prestigiosa University of Southern California di Los Angeles.

Inizia a scrivere novelle, racconti brevi e libri di saggistica oltre a svolgere, con grande diligenza, competenza e preparazione la sua professione di professore universitario.

Nel 2015 pubblica il suo primo romanzo, “The Sympathizer”, edito da Grove Press, New York.

Il 18 aprile 2016 Viet Thanh Nguyen vince il più prestigioso dei premi letterari al mondo, il Premio Pulitzer, nella categoria “Fiction” (Narrativa), con la seguente motivazione «a layered immigrant tale told in the wry, confessional voice of a “man of two minds” and “two countries”, Vietnam and the United States» («una storia di immigrati raccontata a strati e con sottile ironia; la confessione di una voce di un “uomo con due menti” e “due Paesi”, il Vietnam e gli U.S.A.»).

È questa la premessa alla prestigiosa intervista che il Prof. Viet Thanh Nguyen mi ha concesso oggi attraverso l’utilizzo dei potenti mezzi informatici e di comunicazione di cui disponiamo tutti; mezzi che hanno reso possibile mettermi in contatto con quello che ritengo essere uno dei migliori e più profondi scrittori del XXI secolo.

Ecco la mia intervista.

Prof. Viet Thanh Nguyen, se dovesse dire qualcosa ai nostri lettori, come Artista e come Scrittore, cosa direbbe loro?

Che sono molto felice che i lettori in Italia stiano leggendo il mio romanzo!

Quando ha pensato di scrivere questo Romanzo, quali obiettivi aveva il suo progetto?

In primo luogo, quello di contestare il modo in cui la guerra in Vietnam è stata e viene ricordata a livello globale, soprattutto a causa dei “racconti” statunitensi (sia in letteratura che nel cinema). Questa è forse stata la prima guerra nella storia in cui i perdenti (gli americani) hanno scritto la storia, invece che i vincitori. I vietnamiti di tutto il mondo, nelle storie raccontate dagli americani, sono stati cancellati, messi a tacere, oppure mutilati; mentre le memorie dei vietnamiti in Vietnam, e la diaspora che ne è scaturita, sono molto diversi e, di fatto, non sono affatto conosciute.

Così ho pensato al mio romanzo come a una vendetta contro le storie americane, un tentativo di scrivere una storia diversa della guerra, da una prospettiva vietnamita.

In secondo luogo, l’idea di scrivere un romanzo che fosse riconosciuto universalmente nella sua narrazione della guerra, della fedeltà, del tradimento, della rivoluzione e che fosse anche una apologia radicata, un forte discorso a difesa della vera storia dei vietnamiti.

Io penso che il suo Romanzo sia il più interessante e stravolgente libro scritto negli ultimi venti anni, per tutto quello che contiene, per la qualità della narrazione e per la profondità dell’introspezione psicologica che con eccellente maestria Lei fa di tutti i protagonisti della Sua storia; al contempo ribaltata con estrema classe e sottilissima ironia la prospettiva interpretativa della guerra in Vietnam. Cosa ci dice in proposito?

Grazie del complimento, Andrea! Penso che quello che il mio romanzo dice è che non vi è alcuna storia o narrazione che sia stata raccontata così tante volte, in modo altamente ripetitivo come quello che è stato detto e scritto dagli americani della guerra in Vietnam; una storia non può essere rovesciata e ricostruita in un modo completamente diversa da quella che allora fu la realtà.

Come ha vissuto da vietnamita naturalizzato statunitense negli Stati Uniti d’America? Quali sono stati i vantaggi e gli svantaggi di essere un rifugiato naturalizzato in un Paese che comunque dà sempre e prioritariamente al merito e alle capacità personali grande spazio per avere successo professionale e sociale?

Come rifugiato negli Stati Uniti, ho sempre percepito di essere visto come una spia. Ero un americano di una famiglia di genitori vietnamiti, pronto a spiare le loro strane abitudini, il loro cibo, e la loro lingua. Fuori da casa mia, mi sentivo come una spia vietnamita di tutta la bellezza e di tutte le stranezze degli americani. Ho imparato a non dare per scontato tutto ciò che ogni cultura dice o scrive di sé stessa, ho imparato ad essere sempre scettico. Questa è stata una posizione scomoda da vivere in America; ma al contempo un luogo produttivo per un romanziere che deve sempre porsi in modo sia empatico che critico. Nella misura in cui io sono stato simpaticamente scettico, mi è sempre stato profondamente chiaro il potere e la seduzione del Sogno Americano al quale tu fai riferimento, ma sempre consapevole delle sue insidie. Il sogno americano è, infatti, reso possibile solo dall’Incubo Americano di genocidio, di schiavitù, di colonizzazione, di guerra, di razzismo e di sfruttamento, nonché dalla negazione di tutte queste cose. Sono venuto negli Stati Uniti a causa dell’Incubo Americano, spedito qui dal mio paese di nascita e sono cresciuto negli Stati Uniti come beneficiario del Sogno Americano. Questa è la contraddizione che mi ha reso quello scrittore che sono oggi e dalla quale non riesco a indietreggiare; uno scrittore che deve confrontarsi continuamente, come faccio in “The Sympathizer” (“Il Simpatizzante”).

Se due bambini di dieci anni dovessero chiederle con spontaneità, ingenuità e curiosità: «Prof. Viet Thanh Nguyen, ci spiega per favore cos’è l’Arte?», come risponderebbe a questa domanda per far capire loro quello che vogliono sapere?

L’Arte è quello che senti e quello in cui credi, quello che puoi vedere con gli occhi della tua mente. Come realizzare quello che vedi in modo che anche altri possano vedere; che è al contempo un mandato per tutta la vita, radicato nelle intuizioni emotive e nel dolore di quello che sei, come un bambino.

Verrà in Italia per presentare il suo Romanzo “The Sympathizer”? Se sì, quando e quale sarà il tour perché i nostri lettori possano venire a sentirLa parlare e ad incontrarLa per avere il suo autografo sul suo Romanzo?

Mi piacerebbe vedere di nuovo l’Italia, considerato che il mio primo e unico incontro con l’Italia è stato nell’estate del 1998 quando con il mio zaino ho visitato Roma, Venezia e Firenze. È stata un’esperienza meravigliosa, bellissima e romantica.

Adesso sono stato invitato a partecipare ad alcuni Festival per l’estate prossima, quella del 2017, e deciderò presto se potrò partecipare.

Grazie infinite Prof. Viet Thanh Nguyen di avermi concesso questa intervista che le confesso mi lusinga e mi onora tantissimo … e, come dite voi americani, break a leg…

Grazie a te, Andrea, per avermi chiesto l’intervista per i tuoi lettori italiani.

Per chi volesse approfondire virtualmente la conoscenza del Premio Pulitzer 2016, Viet Thanh Nguyen, ecco alcuni link da consultare:

http://www.vietnguyen.info/  

http://www.pulitzer.org/prize-winners-by-year/2016  

http://www.pulitzer.org/winners/viet-thanh-nguyen  

https://www.facebook.com/pulitzerprizes  

https://www.facebook.com/vietnguyenauthor/  

https://twitter.com/viet_t_nguyen  

https://en.wikipedia.org/wiki/Viet_Thanh_Nguyen  

http://www.groveatlantic.com/#page=isbn9780802124944%20  

http://www.neripozza.it/collane_dett.php?id_coll=3&id_lib=1024 

Per chi volesse conoscere meglio virtualmente l’autore dell’intervista, Andrea Giostra, ecco i suoi link:

https://business.facebook.com/AndreaGiostraFilm/?business_id=1569737553326223

https://www.facebook.com/andrea.giostra.37

https://www.facebook.com/andrea.giostra.31

Viet Thanh Nguyen, 2016 Pulitzer Prize for Fiction with “The Sympathizer novel” (2015), university professor of “English and American Studies and Ethnicity” in the prestigious University of Southern California in Los Angeles (U.S.A.).

 

Ed ora riportiamo anche l’intervista in inglese.

Interview by Andrea Giostra

On 18 April 2016, at the Broadway Columbia University, Pulitzer Hall 709, New York, U.S.A., was born a new and Brightest Star in the firmament of the planetary literature: Viet Thanh Nguyen!

Viet Thanh Nguyen is not yet a writer known to the world, at least until now, on Easter Monday of 2017. He is not, and he wasn’t until a year ago, even in his adopted country, the United States of America.

Viet Thanh Nguyen was born in Buôn Ma Thuôt, Vietnam, in 1971. In the 1975 his family fled to the United States for seeking political asylum, after the fall of the regime supported by the Americans in an attempt to colonize the country motivating the “armed invasion” with the noblest of objectives of Western policy: “import the democracy” in Vietnam through a bloody war, bloody and painful of which the American people still bears deep scars and indelible.

All Vietnamese refugees who had supported the US Government, and who managed to escape from the Vietnamese Revolution, they were greeted immediately in several camps on US soil: Viet Thanh Nguyen’s family spent the first period of his stay in Pennsylvania, at the refugee camp of Fort Indiantown Gap.

Only at the end of the ‘70 Viet and his family can start a life as free citizens, and as true Americans, getting from the US government for permission to relocate where they wanted to live from the moment they set foot in the US: in California, in San Jose, for climate and for humus that was considered by Nguyen, at least in the imagination, the closest to that of their country that they had loved and had abandoned forever, to escape certain death.

It’s from California that the small Viet Thanh Nguyen began his studies with passion, intelligence and determination, graduating in the May 1992 with honors in “English Literature and Ethics” studies; then becoming, in 1997, university professor in “English and American Studies and Ethnicity” in the prestigious University of Southern California in Los Angeles.

Viet starts writing novels, short stories and non-fiction books, as well as performing with great diligence, competence and preparation his profession of university professor.

In the 2015, he published his first novel, “The Sympathizer“, published by Grove Press, New York.

In the April 18, 2016 Viet Thanh Nguyen won the most prestigious literary awards in the world, the Pulitzer Prize, in the category “Fiction”, with the following motivation: «a layered immigrant tale told in the wry, confessional voice of a “man of two minds” and “two countries”, Vietnam and the United States».

This is the premise of the prestigious interview that Prof. Nguyen Viet Thanh has given me today using the powerful information and communication media available to us all; means that give me the possible to get in touch with who I consider to be one of the best and deepest writers in the twenty-first century.

Here’s my interview.

Prof. Nguyen Viet Thanh, if you were to say something to our readers, as artist and as a writer, what would you tell them?

I am so delighted that readers in Italy are reading my novel!

When you thought about writing this fiction, which were your project objectives?

First, to contest the way that the Vietnam War has been remembered globally, which is primarily through American stories (in literature and in film). This was perhaps the first war in history where the losers (the Americans) were able to write the history instead of the victors. The Vietnamese of all sides have been erased, silenced, and/or mutilated in American stories, and while Vietnamese memories in Vietnam and its diaspora are vastly different, they are not widely known. So I thought of my novel as revenge against American stories, and an attempt to write a different history of the war from Vietnamese perspectives.

Second, to write a novel that was universal in its discussion of war, loyalty, betrayal, and revolution, and yet was unapologetically rooted in the history of the Vietnamese.

I think that your fiction is the most interesting and shocking book written in the last twenty years, for all that it contains, for the quality of the narrative and for the deep psychological introspection that with excellent skill you do for all the protagonists of your history; at the same time, you have skillfully overturned, with thin class and irony, the interpretative perspective of the War in Vietnam. What does that say about it?

Thank you! I think what my novel says is that there is no history or story that has been told again and again, in highly repetitive ways, as the American story of the Vietnam War has been told, that cannot be upended and redone in a completely new way.

How was your experience as Vietnamese Naturalized American in the United States of America? What were the advantages and disadvantages of being a refugee of war, naturalized in a country that still and always gives priority to the merit and to the personal talent, and it gives large space for professional and social success to all the people?

As a refugee in the United States, I always felt that I was a spy. I was an American in my parents’ Vietnamese household, spying on their strange customs, food, and language. Outside that home, I felt like a Vietnamese spying on Americans in all their beauty and strangeness. I learned never to take for granted what any culture told about itself, to always be skeptical. This was an uncomfortable position to be in, but a productive place for a novelist, who should always be both empathetic and critical. In so far as I was a sympathetic skeptic, I both deeply understood the power and seduction of the American Dream that you refer to, and yet was also always aware of its pitfalls. The American Dream is, in fact, made possible only by the American Nightmare of genocide, slavery, colonization, warfare, racism, and exploitation, as well as the denial of all those things. I came to the United States because of the American Nightmare delivered to the country of my birth, and I grew up in the United States as the beneficiary of the American Dream. That is the contradiction that made me who I am as a writer, and from which I cannot retreat but must confront continually, as I do in The Sympathizer.

If two children aged ten years come to you to ask with spontaneity, innocence and curiosity: “Prof. Viet Thanh Nguyen, please, explains us what is the Art?”, How would you respond to this question to make them understand what they want to know?

Art is what you feel and what you believe, what you can see in your mind’s eye. How to achieve what you see so that others can see it too is a task of a lifetime, rooted in the emotional insights and pain of who you are, as a child.

Will you come in Italy to present your fiction “The Sympathizer”? If yes, when and what will be the tour so that our readers can come to hear you speak and to meet you for their autograph on his fiction that will have bought?

I would love to see Italy again, since my first and only encounter with it was in the summer of 1998 when I backpacked through Rome, Venice, and Florence. That was a wonderful, beautiful, and romantic experience. I’ve been invited to a few festivals for the summer of 2017, and will decide soon whether I can attend.

Prof. Nguyen Viet Thanh Thanks to you so much for giving me this interview that I confess, it has flattered me and honored me so much … and, as you Americans say, break a leg …

Thanks to you, Andrea, for asking me the interview for your Italian readers.

 

 

Carlo Barbieri, “La difesa del bufalo”

la difesa del bufalo

Carlo Barbieri, “La difesa del bufalo”, l’opera ci racconta la sua Palermo intricata come un prezioso tessuto fitto fitto di fili di lana e di seta, frutto dell’opera di un’esperta tessitrice siciliana che ha usato un vecchio telaio arabo a baldacchino dove i gomitoli e la saggezza artigianale si intersecano e s’intrecciano irriconoscibili ma solo ad uno sguardo disattento e inesperto.

Il Commissario Francesco Mancuso è il protagonista della storia che si dipana tra i vicoli della città che s’addobbano a feste comandate, nei mercati arabi di Ballarò e della Vucciria, nella Palermo bene, nella Palermo araba e africana, nelle stanze del potere segreto e della politica di curtigghiu isolano, nella venerazione centenaria della santuzza e della cultura culinaria popolare da consumare calda calda a muzzicuna per strada.

Diventa il corteo del 14 luglio il centro del narrare di Carlo Barbieri, “La difesa del bufalo” che si sviluppa brillantemente in dieci colme giornate di un luglio focoso più nei pericoli che nella calura estiva.

Un fulcro, anche qui, che intesse storie e vissuti, paure e tradimenti, fede e delirio, rispetto e riconoscenza adolescenziale.

Ed è lo scontro tra la cultura musulmana estremista e quella occidentale consumista che deve temere il bufalo palermitano.

La difesa dell’”annutolo” non è incondizionata.

Il bufalo lo sa “che ogni tanto arriva un leone o un leopardo e se ne mangia uno”, ma gli altri bufali, devono continuare a fare la loro vita, a pascolare, a non avere paura e ad andare avanti.

Il lettore si vedrà condotto come su un’imbarcazione che naviga veloce sull’Oreto che fu Abbâs, da Monte Matassaro Renna al Tirreno, tra antiche battaglie di cristiani e musulmani, fino a frenare il suo scorrere avventuroso dove “la Santuzza coronata di rose sorrideva e stendeva le mani verso il mare”.

Ed allora buona lettura dell’opera di Carlo Barbieri, “La difesa del bufalo”

Dario Flaccovio Editore

Recensione di Andrea Giostra

https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Barbieri_(scrittore)

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andrea.giostra.37

https://www.facebook.com/andrea.giostra.31

L’Oscar della Danza

Oscar della Danza

Trapelano le prime informazioni, direi entusiasmanti, circa il programma su cui poggia il prestigioso evento L’Oscar della Danza che si svolgerà domenica 29 ottobre 2017 a Cinecittà World.

L’Oscar della Danza è il nuovo Concorso nazionale il cui principale e meritorio obiettivo consiste nel promuovere l’eccellenza del talento italiano nell’esecuzione della danza e la creatività, l’originalità della creazione coreografica.
Cosa dire dell’organizzazione?

Di primissimo piano, ricca di una esperienza artistica meritatamente conquistata, riconosciuta e consolidata non solo sui palcoscenici italiani ma anche mondiali.

Possiamo citare:

CINECITTA’ WORLD;

MAGIC ISLAND ENTERTAINMENT;

DANZASI;

LIKEG

e con la Direzione Artistica del Maestro Luciano Cannito.

 

SPETTACOLO DI DANZA DI MAGGIOR SUCCESSO
Il premio allo spettacolo di danza di maggior successo dell’anno sarà consegnato al Coreografo ed al Direttore della Compagnia di Danza che ha ottenuto il maggior incasso al botteghino sulla base inoppugnabile dei dati della S.I.A.E.
Il 29 ottobre saranno quindi presentate a Cinecittà World le buste con i nomi delle 3 Compagnie con i migliori risultati di affluenza di pubblico ad uno spettacolo di danza (esclusi naturalmente i gala di danza e gli eventi speciali di raccolta fondi a scopi benefici) e sarà aperta la busta del vincitore dell’Oscar della Danza Italiana 2017.

NUOVI TALENTI
L’idea del concorso nasce invece dal principio che la danza è solo una, essa è libertà totale, gioia ed emozione.
Ogni stile non è che una delle infinite forme di espressione del corpo che si muove in armonia nello spazio e nella musica.
Un artista che danza in modo eccellente, sarà straordinario in qualsiasi stile.
Un talento della danza è un talento della danza, qualsiasi essa sia e L’Oscar della Danza vuole offrire opportunità, visibilità, potenziali e reali contatti di lavoro.

Per questo motivo in giuria saranno presenti non solo coreografi e personalità di eccellenza del mondo della danza ma, anche, registi televisivi e cinematografici, direttori di teatri, produttori e giornalisti.

PREMI
Di tutto rispetto, inusuali per il mondo dello spettacolo in genere e ciò lascia intendere quanta importanza riveste l’evento L’Oscar della Danza e – aspetto più importante – quanta fiducia viene riposta nell’eccellenza dei nostri artisti.

Sarà certamente una competizione ambiziosa ma tutti noi, in qualunque ruolo svolgiamo nel mondo della danza, sappiamo che inseguire il proprio sogno significa convivere con “lacrime e sangue”, rinunciare alle usuali distrazioni quotidiane, provare, provare ed ancora provare.

Sono quindi previsti i seguenti importanti Premi:

Primo premio assoluto contratto di lavoro Cinecittà World del valore di € 15.000

Primo premio assoluto migliore coreografia (gruppi) € 2.500
Primo premio assoluto miglior passo a due €. 800

Premi speciali: miglior coreografia televisiva €500
miglior coreografia ispirata ad un film €500
miglior coreografia musical € 500
– Primo, secondo e terzo premio per ogni categoria.
– Attestati di quarto e quinto classificato.
– Borse di studio al 100%.

Prendo a prestito delle significative parole di un nostro Maestro:

“La danza è passione che si trasforma in gioia vitale, sana, pura, libera.C’è qualcosa di così vero, ancestrale, istintivo…”

Spero non me ne voglia perchè è esattamente questa l’emozione che proveremo assistendo a L’Oscar della Danza.

 

 

Oscar della Danza

oscar danza

Oscar della Danza

https://www.facebook.com/oscardelladanzacinecitta/videos/323883224729915/

Questo è il primo articolo di lancio dell’evento “Oscar della Danza” che si svolgerà il 29 ottobre 2017 presso Cinecittà World a Castel Romano, alle porte di Roma.

E’ una iniziativa ardita, studiata nei dettagli, realizzata e condotta dal nostro eccelso Maestro Luciano Cannito; chi altri avrebbe potuto attuare un evento di tale valenza?

Le prime anticipazioni indicano una presenza sul palcoscenico di danzatori che tutti noi ammiriamo e che sono un punto di riferimento per tutte le nuove generazioni.

A breve saremo in grado di diffondere ulteriori informazioni sul programma dell’ Oscar della Danza.

Sarà il primo evento “universale” e tutti noi sapremo tributare il meritato successo all’Oscar della Danza.

A presto