Murdered on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Express

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

 

Murdered on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Express 

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

Recensione di Andrea Giostra

Kenneth Branagh si rivela il vero grande talentuoso mattatore di questa ennesima, ma assolutamente interessante, rivisitazione cinematografica del best seller di Agatha Christie “Murdered on the Orient Express” pubblicato in Inghilterra il 1 gennaio del 1934 da quella che fu un’importantissima casa editrice britannica specializzata in novelle e racconti di crimini, in particolare “new crime books”, ovvero la “Collins Crime Club”.

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

Sono passati 84 anni e la narrazione, seppur con una sceneggiatura rivisitata e resa aderente ai giorni nostri, rimane catturante e ipnotizzante come un vero giallo deve essere.

Il film è da vedere, su questo non ci sono dubbi. Gli attori sono tutti delle star strepitose ed arcinote nel modo della settima arte ed ognuno di loro interpreta la relativa parte con un’efficacia recitativa da standing ovation. Tenere insieme un’intera squadra di fuoriclasse per vincere la Champions non è impresa facile, per nessuno. Qui il risultato è eccellente, e anche di questo il merito non può che andare a Branagh.

La fotografia è veramente bellissima e i paesaggi risultano molto aderenti ad una narrazione “gelida” e intelligente. La colonna sonora è poderosa e sintonica con il susseguirsi delle scene e con i ripetuti ed incalzanti flashback e si conclude con il bellissimo “Never Forget”, cantata da Michelle Pfeiffer, (link sottostante) in onore di Kenneth Branagh.

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

Ed anche per questo il film è da vedere.

Dicevamo di Kenneth Branagh, grandissimo attore teatrale shakespeariano di eccellente talento che nel film riveste i tre ruoli più importanti: produttore, sceneggiatore, regista. E questo basta per comprendere il peso nel film di questa vera grande star cinematografica e teatrale. Un film che per certi versi appare allo spettatore come una rappresentazione teatrale proiettata in una sala cinematografica. E anche questo ci sta, considerata la formazione culturale e artistica di Branagh.

Murdered on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Express

Dopo un incarico a Gerusalemme, portato a termine con grande successo, Hercule Poirot (Kenneth Branagh) decide di riposare un po’ concedendosi una breve vacanza. Quale migliore occasione che chiedere al suo amico e ammiratore Bouc (Tom Bateman), direttore dell’Orient Express, di prenotargli un posto sul famosissimo treno?

Durante il viaggio viene commesso un omicidio. Lo stesso Bouc prega Poirot di risolvere il caso prima che intervenga la polizia locale e possa incolpare uno qualunque dei passeggeri, magari mossa da pregiudizi razziali. Subito dopo l’assassinio il treno rimane bloccato su un altissimo ponte in legno sospeso sopra una scarpata impressionate. Il nostro detective avrà tutto il tempo per trovare l’assassino prima che arrivino i soccorsi per liberare il treno dalla neve.

Murdered on the Orient Express - Assassinio sull’Orient Express

L’indagine è incalzante, avvincente, intrigante, perspicace, come in tutte le storie di Agatha Christie. Ma questa è un’altra storia da vedere nelle sale cinematografiche perché il finale, come in tutti i romanzi gialli, è sorprendente, anche per il lettore che avrà già letto il romanzo originale, anche per lo spettatore che avrà visto una precedente produzione cinematografica.

Murdered on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Express

Regia di Kenneth Branagh

Produzione di Mark Gordon, Simon Kinberg, Ridley Scott, Winston Azzopardi, Kenneth Branagh, Judy Hofflund, Matthew Jenkins, James Prichard, Michael Schaefer

Distribuzione 20th Century Fox

Sceneggiatura non originale di Michael Green, tratta dal romanzo di Agatha Christie

Musiche di Patrick Doyle

Con Kenneth Branagh, Penélope Cruz, Willem Dafoe, Judi Dench, Johnny Depp, Josh Gad, Leslie Odom Jr., Michelle Pfeiffer, Daisy Ridley, Michael Peña, Lucy Boynton, Derek Jacobi, Tom Bateman, Marwan Kenzari

ANDREA GIOSTRA

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Internet Haters (I.H.)

Internet Haters (I.H.)
Internet Haters (I.H.)
con questo termine di origine anglosassone gli esperti di comunicazione e la comunità scientifica internazionale definiscono persone che dietro un alias virtuale o reale, utilizzano le varie piattaforme internet per esprimere il loro odio verso altre persone, verso alcune specifiche categorie di soggetti, verso un’idea, verso un oggetto.
In italiano si potrebbe tradurre con “quelli che odiano su internet”.
Quello che proveremo a fare con questo scritto è dare delle motivazioni sociali e culturali che facciano comprendere perché queste persone esprimono il loro odio via internet e, al contempo, proveremo ad identificare alcune categorie di soggetti che possano dare delle spiegazioni, non esaustive, a questo fenomeno in forte crescita internautica.
Gli Internet Haters (I.H.), di fatto, sono tutte quelle persone che usualmente utilizzano i social e le varie piattaforme internet per “eruttare” il loro odio nei confronti di un’altra persona, nei confronti di un luogo, di un film, di un libro, di uno spettacolo, di un artista, di un’idea, etc…
nickname che queste persone utilizzano qualche volta sono reali, nel senso che utilizzano il loro vero nome, molto più spesso sono nomi inventati per non essere riconoscibili e rintracciabili.
Gli Internet Haters (I.H.) non sono però persone che possono essere classificate all’interno di un’unica specifica categoria di soggetti. Recenti studi e ricerche sociologiche realizzate da diverse università, sia italiane che straniere, hanno portato alla conclusione che gli Internet Haters (I.H.) rappresentano tutti gli strati sociali, culturali, professionali, politici, religiosi, etnici, etc.. Questo per dire che gli Internet Haters (I.H.) non si possono etichettare in un’unica categoria socio-culturale, né si possono classificare all’interno di una specifica patologia psichiatrica, qualora si volesse definirli clinicamente.
Altri esperti di comunicazione internautica e di psicologia sociale, definiscono gli Internet Haters (I.H.) come utenti web che esprimono odio e insulti ogni volta che non sono d’accordo con qualcosa o qualcuno. Attraverso le loro azioni sul web e i loro commenti postati nei vari portali social, cercano di diffondere opinioni negative e di attaccare violentemente una persona, un’idea, un oggetto.
Gli Internet Haters (I.H.) possono anche vestire i panni dei cosiddetti “Tròll” cioè utenti internet che con le loro azioni web intervengono all’interno di determinate comunità virtuali in modo provocatorio, offensivo, insensato, senza argomenti credibili o convincenti, al solo scopo di delegittimare qualcuno o qualcosa, disturbare le normali comunicazioni e interazioni tra gli utenti di quella determinata piattaforma o gruppo di discussione virtuale, provando a creare scompiglio, confusione, delegittimazione, disorientamento.
Sia gli Internet Haters (I.H.) che i Tròll vengono definiti come soggetti bigotti, razzisti, pusillanimi, con un livello culturale basso o bassissimo (anche se in possesso di diploma di laurea o di titoli di studio!), insicuri, con una struttura di personalità fragile e adolescenziale, con una scarsissima autostima, con una identità personale debole, che godono nel gettare veleno, delegittimazione e scompiglio sul popolo di Internet.
Un’altra variante degli Internet Haters (I.H.) è rappresentata da coloro che nei portali social segnalano anonimamente al gestore del portale (Facebook tra tutti) come spam o come post violenti, illegali o impropri, quei post che non condividono e verso i quali nutrono un totale dissenso. È un modo questo estremamente pusillanime di colpire indirettamente determinati post attraverso un’azione di segnalazione falsa per fare in modo che il loro “utente-bersaglio” venga bloccato o limitato nelle azioni di utilizzo della sua pagina web, dai gestori del portale (tra tutti, per esempio, Facebook).
Gli Internet Haters (I.H.) sono persone che odiano e aggrediscono proprio perché non hanno argomenti per contrastare dialetticamente e culturalmente l’oggetto che scatena in loro paura e timore. Non hanno argomenti e quindi odiano offendendo e cercando di distruggere virtualmente l’oggetto del loro odio. Questo aspetto comportamentale, che si manifesta con delle azioni virtuali (post, messaggi, tentativi di bloccare quello specifico profilo, etc…), in un certo qual modo, per gli Internet Haters (I.H.), rappresenta una sorta di regressione ancestrale all’“uomo delle caverne”, ai trogloditi dell’età della pietra per intenderci, dove si presume che i contrasti e le diatribe tra membri della stessa tribù, venissero decise a favore di chi urlava maggiormente e/o di chi faceva baccano in modo più fragoroso.
Nell’età della pietra, sostengono alcuni esperti del settore, non contavano nulla le reali ragioni dell’uno o dell’altro, ma l’aveva vinta semplicemente chi urlava nella faccia dell’altro in modo più poderoso e assordante. Ecco, da questo punto di vista, l’Internet Haters (I.H.) è colui che inconsciamente ragiona proprio come un troglodita: «il mio odio nei tuoi confronti lo esprimo gridando virtualmente offese e calunnie per dimostrare a tutto il popolo web che, rispetto alla tua idea e alla tua persona, io ho “ragione” e tu “torto”!»
Internet Haters (I.H.)
Quello che i recenti studi di questo fenomeno hanno rilevato è che tutti gli Internet Haters (I.H.) sono accomunati dallo scarso livello di tolleranza per tutto ciò che è diverso da loro, per tutto ciò che non conoscono, per tutto ciò che immaginano minaccioso nei loro confronti, nei confronti degli individui della loro stessa categoria sociale e culturale e, per certi versi, per tutto ciò che immaginano minaccioso nei confronti della loro famiglia e dei loro cari. Questa è la motivazione principale che fa scaturire in questi soggetti l’odio che li porta ad utilizzare internet per cercare di distruggere virtualmente quanto risulta loro una potenziale e pericolosa minaccia.
In sintesi, seguendo questo ragionamento, l’Internet Hater (I.H.)  è mosso dalla “paura”.
Ma cos’è la paura?
Treccani ci spiega che la «Paura è uno stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso; più o meno intenso secondo le persone e le circostanze, assume il carattere di un turbamento forte e improvviso quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa o comunque appaia imminente.»
Ebbene, la definizione di Treccani ci aiuta ad inquadrare gli Internet Haters (I.H.) all’interno di una macro categoria di persone che è quella di “coloro che hanno paura e per ciò odiano”.
Gli Internet Haters (I.H.), da questa prospettiva, sono tutte persone che certamente hanno paura (inconsciamente o consciamente) di qualcosa. L’odio in questi soggetti nasce dalla paura nei confronti della categoria di persone, dell’oggetto, dell’idea che temono, e proprio perché temuto va prima odiato, poi attaccato e infine distrutto virtualmente con tutti i mezzi di cui dispongono; nello specifico, l’attacco e il tentativo di distruzione di chi si ha paura, viene messo in atto attraverso i mezzi di comunicazione delle nuove tecnologie informatiche che comportano uno scarso rischio di essere individuati e di essere a loro volta attaccati. Un’azione, questa, mossa da soggetti codardi in quanto l’attacco messo in atto non prevede o consente un contradditorio ed un “uscire allo scoperto” manifestando le proprie ragioni rispetto al tentativo di distruggere chi si odia o di motivare da cosa nasce l’odio; bensì è un attacco mancino e clandestino di chi non vuole mettere a repentaglio la propria persona e la propria identità: “lancio la pietra per colpirti nascondendo virtualmente subito dopo la mia mano”.
Uno degli interessanti risvolti di questo fenomeno è quello politico. Alcuni soggetti che vogliono accelerare la loro carriera politica, infatti, sapendo ben cogliere la frustrazione e l’odio di centinaia di migliaia di persone verso una specifica categoria di soggetti, ovvero, verso un determinato soggetto pubblico, diventano e vestono i panni del “paladino demolitore” di questi “pubblici bersagli”, ritrovando l’immediato consenso e sostegno virtuale di tutti coloro che la pensano come lui.
Classici esempi riportati dalla letteratura del settore, sono le azioni di odio razziste e xenofobe.
Per continuare il nostro ragionamento è opportuno richiamare qui le definizioni di razzismo e di xenofobia facendoci aiutare ancora una volta da Treccani.
«Razzismo. Ideologia, teoria e prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente «superiori», destinate al comando, e di altre «inferiori», destinate alla sottomissione, e intesa, con discriminazioni e persecuzioni contro di queste, e persino con il genocidio, a conservare la «purezza» e ad assicurare il predominio assoluto della pretesa razza superiore: il razzismo nazista, la dottrina e la prassi della superiorità razziale ariana e in particolare germanica, elaborata in funzione prevalentemente antisemita; il razzismo della Repubblica Sudafricana, basato sulla discriminazione razziale sancita a livello legislativo e istituzionale (v. apartheid); il razzismo statunitense, riguardo a gruppi etnici di colore, o anche a minoranze diverse dalla maggioranza egemone. Più genericamente, complesso di manifestazioni o atteggiamenti di intolleranza originati da profondi e radicati pregiudizî sociali ed espressi attraverso forme di disprezzo ed emarginazione nei confronti di individui o gruppi appartenenti a comunità etniche e culturali diverse, spesso ritenute inferiori: episodî di razzismo contro gli extracomunitari.»
«Xenofobia. Sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti e azioni d’insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi, senza peraltro comportare necessariamente una valutazione positiva della propria cultura, com’è invece proprio dell’etnocentrismo; si accompagna spesso a un atteggiamento di tipo nazionalistico, con la funzione di rafforzare il consenso verso i modelli sociali, politici e culturali del proprio paese attraverso il disprezzo per quelli di altri, ed è perciò incoraggiata soprattutto dai regimi totalitari.»
Internet Haters (I.H.)
Non occorre approfondire molto questa parte del ragionamento – la letteratura è strapiena di saggi e di scritti sui temi del razzismo e della xenofobia utilizzati cinicamente per fini politici – perché tutti quanto sappiamo bene, dalla storia e dalla politica recente e passata, che molti partiti politici, di oggi e di ieri, sono nati e nascono proprio da sentimenti di incontrollato e viscerale razzismo e/o xenofobia.
L’elemento che ci interessa qui è invece quello della “paura”. Anche in questi casi, nei casi di odio internautico mossi dal razzismo e dalla xenofobia, quello che muove l’azione dell’Internet Haters (I.H.) è la paura.
Per coloro che sono mossi da sentimenti razzisti la paura nei confronti di una presunta “razza inferiore” che possa prendere il sopravvento e inquinare la presunta “razza pura” – della quale l’Internet Haters (I.H.) ritiene di far parte! – alla quale assicurare, con le loro azioni sul web, il “predominio”.
Per coloro che sono mossi da sentimenti xenofobi, la paura nei confronti dello “straniero” e di tutto ciò in cui i nostri Internet Haters (I.H.) non si riconoscono dal punto di vista della cultura, dei costumi, delle usanze, della politica, della religione, etc..
È, in estrema sintesi, la “paura” che domina gli Internet Haters (I.H.).
La loro paura nei confronti di qualcosa che immaginano – in una sorta di persecuzione allucinatoria – minaccioso e pericoloso. La paura in qualcosa che possa accadere imminentemente e, per questo, la loro re-azione deve essere tempestiva e violenta proprio perché possa frenare, arrestare e distruggere l’“oggetto” della loro paura.
Un oggetto che, come abbiamo visto, può assumere “connotati” e caratteristiche diversi: un “popolo”; una “razza”; una “cultura”; un’idea; un personaggio; un evento; etc.. Gli Internet Haters (I.H.) sono soggetti nei quali la “paura” germoglia dall’evidente ignoranza, dalla scarsa cultura, dalla scarsa tolleranza, dall’insicurezza, da una personalità facilmente vulnerabile, da una identità personale rimasta infantile o adolescenziale, da torti reali o presunti subiti in passato e mai metabolizzati.
Gli Internet Haters (I.H.), in sostanza, sono soggetti vittime della loro stessa paura, della loro scarsa cultura ed esperienza di vita, della loro personalità incompiuta e facilmente vulnerabile.
È proprio questo il motivo per il quale molti degli Internet Haters (I.H.) si identificano, per compensare la loro identità fragile e vulnerabile, con determinati gruppi sociali o con determinate ideologie: con la propria squadra sportiva, con un gruppo ideologico estremista, con una nazione, con un gruppo sociale, con un partito politico, con un gruppo religioso, etc.. Rinunciano pertanto alla loro identità incompiuta per sostituirla integralmente con quella del gruppo o dell’ideologia che hanno scelto e con il quale si identificano totalmente vestendone pubblicamente, per esempio, anche i caratteri identificatori: la maglia di quella squadra sportiva, abiti che richiamano vistosamente la bandiera della propria nazione, accessori che portano il simbolo di quel gruppo ideologico, simboli e gadget che richiamano il gruppo religioso o politico, tatuaggi simboli e rappresentativi di quella specifica identità ideologica, etc..
È molto interessante il docu-film “The Internet Warriors” (pubblicato su YouTube nel marzo del 2017, il cui link troverete alla fine di questo capitolo) ideato e realizzato dal regista svedese Kyrre Lien che nel Natale del 2014, un po’ per curiosità, un po’ per gioco, iniziò a ricercare su internet i commenti che esprimevano odio e intolleranza.
Lien racconta di essere rimasto affascinato dai tantissimi commenti che esprimevano odio ma che esprimevano anche tanta ignoranza da parte di questi Internet Haters (I.H.). Ignoranza perché leggendo i loro commenti, Lien si accorse che queste persone conoscevano poco quello che attaccavano. L’azione di odio espressa attraverso i social e internet era mossa da pregiudizi, da pre-concetti, da stereotipi mai messi in discussione e mai sindacati da parte di questi Internet Haters (I.H).
L’“assioma” che evidenziò Lien fu quello di un forte pregiudizio nei confronti di una categoria, di un soggetto, di un oggetto, di un’idea; pregiudizio dal quale scaturivano tutte le azioni di odio e di intolleranza internautica espressa attraverso decine o centinaia di commenti distruttivi e di odio feroce.
Per realizzare il suo documentario, Lien iniziò a guardare i profili Facebook di questi Internet Haters (I.H.) e si accorse che erano persone apparentemente normali, che avevano una famiglia, un lavoro, una casa, ma che online si trasformavano in terribili e spietati Internet Haters (I.H.). Iniziò così la sua ricerca in questo mondo. Lavorò per ben tre anni all’interno di questo universo e alla fine realizzò un interessante documentario che prevede l’intervista dal vivo di queste persone anche per vedere se, intervistate dal vivo e offline, avrebbero espresso lo stesso odio e la stessa intolleranza nei confronti di quello che normalmente attaccavano con i loro commenti online.
Lien individuò i commentatori più estremisti e che frequentavano internet più assiduamente; iniziò a contattare diverse di queste persone che per ben tre anni aveva seguito online. La maggior parte di loro, però, non fu disposta a farsi intervistare dal vivo e con una telecamera. Già questo dato è interessante proprio perché l’elemento del rimanere anonimi, in una posizione da pavidi, viene confermata dai contatti e dalle risposte che Lien ebbe via internet da queste persone.
Solo pochi di loro si resero disponibili ad essere intervistati e ripresi da Lien con una telecamera, e sono per lo più quegli Internet Haters (I.H.) che hanno delle apparenti “ragioni” di odio verso determinate categorie di persone o di classi sociali. In sintesi, le “ragioni” di queste persone che hanno accettato di essere intervistate, appartengono alle categorie che abbiamo definito con motivazioni razziste o xenofobe.
Lien, dopo aver conosciuto personalmente gli Internet Haters (I.H.) che si sono resi disponibili per il suo documentario, dopo essere stato nelle loro case, dopo aver parlato con loro ed essersi confrontato rispetto ai temi di odio, dopo aver girato le riprese, ha fatto alcune interessanti considerazioni su queste persone conosciute realmente: «Moltissime di queste persone vivono nella solitudine, sono consapevoli che la società le ha tradite e lasciate ai margini. Molte di queste persone sono state vittime di bullismo. Alla fine – continua Lien – ho imparato che queste persone sono in grado di cambiare se noi li aiutiamo a cambiare. Non possiamo chiudere gli occhi e pretendere che queste persone non esistano se vogliamo cambiare il modo di discutere e di comunicare online. È importante ascoltare queste voci, adesso
Credo che le parole di Lien, dette in modo spontaneo e senza sovrastrutture culturali interpretative di stampo sociologico o clinico, siano le migliori per chiudere questo articolo sugli Internet Haters (I.H.), che lascia chiaramente tanti punti di domanda e tante questioni aperte per ulteriori confronti e discussioni che – spero – vengano ripresi e stimolati dai lettori con i loro commenti su questo articolo, ma anche da altri studiosi e ricercatori.
Il presente scritto è inserito in un Saggio, ben più vasto, che coglie ed evidenzia tutti gli “istinti”, per lo più repressi, che questo potente strumento di comunicazione collettiva – Internet – riesce a scatenare in molti utenti, spesso insospettabili, trasformandoli in “serial”…
Il Saggio affronta anche altri temi quali:
Internet Lovers;
Sex extortion;
Ultras da tastiera;
ecc…
Ringraziamo vivamente Andrea Giostra realizzatore del Saggio alla stesura del quale hanno contribuito:
Roberta Arnone, scrittrice, attrice, reader influencer;
Paolo Battaglia La Terra Borgese, critico d’arte;
Joey Borruso, giornalista, blogger, reader influencer;
Ester Campese, pittrice, blogger, reader influencer;
Daniela Cavallini, giornalista, esperta in formazione risorse umane;
Maria Celesia, lettrice, blogger, reader influencer;
Mirko Cervelli, giornalista, opinionista;
Andrea Giostra, psicologo, blogger, esperto in comunicazione;
Cristina Pace, Cris alias Krilli, blogger, traduttrice, scrittrice, reader influencer;
Anna Profumi, scrittrice, blogger, reader influencer;
Laura Tarani, psicologa, giornalista, blogger, reader influencer;
Emanuela Trovato, attrice, coach di voce e comunicazione, trainer per la formazione manageriale;

link per l’acquisto online della versione e-book:

https://stores.streetlib.com/it/andrea-giostra/internet-haters-e-trolls

MADRE TERESA DI CALCUTTA – IL SORRISO DI DIO

MADRE TERESA DI CALCUTTA - IL SORRISO DI DIO

MADRE TERESA DI CALCUTTA – IL SORRISO DI DIO

Ha vissuto tutta la sua vita regalando a tutti un sorriso soprattutto là dove c’era il dolore più grande, la malattia più grave, la miseria più nera. Senza arretrare mai dinanzi ai potenti ai quali chiese sempre aiuto per i derelitti, gli ultimi, come li chiamava Lei.

Parliamo di una piccola donna ma talmente Grande che il mondo quando lei lo lasciò, si senti orfano e ingiustamente colpito. Parliamo di Agnese Gonxha, figlia di un droghiere albanese, nata nel 1910 nella cittadina macedone di Skopje, ma da tutti conosciuta come Madre Teresa di Calcutta.

MADRE TERESA DI CALCUTTA – IL SORRISO DI DIO

Entrata nel 1928 nella congregazione delle Suore di Loreto (irlandesi), venne inviata a Dajeeling, in India. Questa terra diventa la sua patria perché li si compie il suo destino, comprende lo scopo per cui è venuta al mondo e inizia un percorso che la porterà alla grandezza che non ha pari e che si conquista solo con l’amore per chi è solo, ammalato, per coloro che per tetto hanno solo il cielo.

A trentasette anni, Suor Teresa indossa per la prima volta un “sari” (veste tradizionale delle donne indiane) bianco di un cotonato grezzo, ornato con un bordino azzurro, i colori della Vergine Maria. E’ con il suo aiuto che diventerà la Madre in terra di coloro che non ne hanno una, di chi è steso sui marciapiedi, scansato perché lebbroso, che considera la morte una liberazione.

MADRE TERESA DI CALCUTTA – IL SORRISO DI DIO

Madre Teresa comincia a cercarli, a considerarli uomini e trova il coraggio di bussare alla porta dei potenti della terra per chiedere medicine, generi di prima necessità e, soprattutto, un posto dove poterli raccogliere e curare. La sua abitazione è una baracca sterrata e lì porta quelli che non sono accolti negli ospedali.
Durante l’inverno del 1952, un giorno in cui va cercando poveri, trova una donna che agonizza per la strada, troppo debole per lottare contro i topi che le rodono le dita dei piedi.

MADRE TERESA DI CALCUTTA - IL SORRISO DI DIO

La porta all’ospedale più vicino, dove, dopo molte difficoltà, la moribonda viene accettata. A Suor Teresa viene allora l’idea di chiedere all’amministrazione comunale l’attribuzione di un locale per accogliervi gli agonizzanti abbandonati. Questa Madre degli ultimi comincia ad essere conosciuta ed altre giovani donne la raggiungono per aiutarla in questa sua missione quasi impossibile.

MADRE TERESA DI CALCUTTA – IL SORRISO DI DIO

La sua speranza è togliere i lebbrosi, i suoi figli prediletti come li definisce, dagli slum. Va ogni giorno a trovarli e curarli nelle loro misere baracche ma spera di costruire per loro una città. La fatica non la spaventava, la dignità nel chiedere per chi era abbandonato ad una sicura morte la rendeva grande al pari dei potenti.

Lei non possedeva altro che la veste che divenne la veste delle Missionarie della Carità e la prima casa viene aperta a Cocorote in Venezuela, è il primo luglio del 1965. Così dove c’era sempre stato il dolore nacque la speranza, alla morte viene data la dignità che questo ultimo momento di vita merita, i bimbi di nessuno diventano tutti suoi figli.

MADRE TERESA DI CALCUTTA - IL SORRISO DI DIO

L’aborto è il più grande distruttore di pace oggi al mondo – il più grande distruttore d’amore. Se non volete i vostri figli non uccideteli ma dateli a me. Distruggere una Vita con l’aborto è omicidio, anzi peggio di ogni altro assassinio. Poiché chi non è ancora nato è il più debole, il più piccolo e il più misero della razza umana, e la sua Vita dipende dalla madre – dipende da me e da te – per una Vita autentica. Se il bambino non ancora nato dovesse morire per deliberata volontà della madre, che è colei che deve proteggere e nutrire quella Vita, chi altri c’è da proteggere? Questa è la ragione per cui io chiamo i bambini non ancora nati, i più poveri tra i poveri”

MADRE TERESA DI CALCUTTA - IL SORRISO DI DIO

Ecco perché nel viso di Madre Teresa c’era una luce disarmante che conquistava tutti e che le è valso il Premio Nobel per la Pace.

Nel suo lavoro c’era il rispetto per la persona, il valore e la dignità di ciascuno. Ricordiamoci quando incontriamo chi ha bisogno di noi che. AMARE QUALCUNO significava  vedere un MIRACOLO invisibile agli altri. Da tutto questo è nata la Città della Gioia, da una Donna che era il sorriso di Dio.

Ringraziamo la Dott.ssa Caterina Guttadauro La Brasca

MADRE TERESA DI CALCUTTA – IL SORRISO DI DIO , gli ultimi sono i suoi figli prediletti.

CASA MILO – TRADIZIONE E INNOVAZIONE

CASA MILO – TRADIZIONE E INNOVAZIONE

L’antico amore per la terra e per i sani prodotti che essa produce, l’antica arte del pastaio racchiusa nelle sapienti mani artigianali del fondatore caratterizzano la pregevole attività dell’Azienda CASA MILO che coniuga la tradizione del “mastro pastaio” con l’innovazione tecnologica dei sistemi di produzione ma sempre e comunque attenta alla genuinità dei prodotti.

CASA MILO - TRADIZIONE E INNOVAZIONE
CASA MILO – TRADIZIONE E INNOVAZIONE
Una famiglia…quattro generazioni…un destino che ha illuminato il percorso di crescita di CASA MILO fondata nel lontano 1870
Da allora sono trascorsi molti anni, un periodo di tempo segnato da profondi mutamenti economici, sociali, produttivi, di Marketing che hanno minato e fatto scomparire molte aziende ma non CASA MILO; la sua forza e la sua continuità produttiva risiede proprio nella forza della famiglia, delle generazioni che si sono succedute nel tempo, della loro volontà di produrre solo prodotti genuini e vicini ai gusti dei consumatori, di proporre una linea “gluten free”,CASA MILO - TRADIZIONE E INNOVAZIONE

di semola biologica,

di specialità fresche kamut CASA MILO - TRADIZIONE E INNOVAZIONEche sono affiancate alla tradizionale produzione pastaia, ai prodotti da forno, ai condimenti e all’insuperabile olio extra vergine di oliva della nostra amata terra di Puglia.

CASA MILO - TRADIZIONE E INNOVAZIONE

Vanto dell’Azienda è la linea Condibimbo proveniente da culture Biologiche.
L’Azienda CASA MILO opera in provincia di Bitonto, la terra del sole e del grano e questi valori aggiunti sono racchiusi nella intera produzione alimentare che CASA MILO presenta al consumatore.
CASA MILO – TRADIZIONE E INNOVAZIONE
Una rigorosa ed accurata selezione delle materie prime, una moderna e flessibile tecnologia industriale capace di adeguarsi alle mutevoli richieste dei consumatori pur mantenendo il livello e la qualità produttiva di un prodotto pressochè artigianale;

CASA MILO - TRADIZIONE E INNOVAZIONE

un respiro commerciale che copre l’intero mercato italiano e che si è affermato con successo anche nel tumultuoso ed infido mercato internazionale dove non è raro imbattersi in prodotti “similari” e di qualità “imprecisata”.
CASA MILO è particolarmente attenta a produrre prodotti, oltrechè eccellenti, anche costantemente controllati dal laboratorio di analisi per garantirci la totale salubrità del prodotto adottando per alcuni tipi di pasta la tecnica della “lavorazione a freddo”; non a caso l’Azienda può vantare il livello massimo delle Certificazioni Sanitarie e di Qualità nazionali ed internazionali.
Il Gruppo Alimentare Mediterraneo MILO è presente nella Grande Distribuzione con i suoi marchi:
MELIORA per i prodotti da forno;
FATTORA per i sapori della tradizione ;
CASA MILO per i vari tipi di pasta;
DON PEPPINO linea snack da forno ;
OLIO MILO per l’olio extra vergine di oliva
e fornisce i suoi prodotti alle principali catene della Grande Distribuzione anche come copacker per molte di esse.

CASA MILO - TRADIZIONE E INNOVAZIONE

CASA MILO – TRADIZIONE E INNOVAZIONE
Possiamo guardare con fiducia i prodotti di CASA MILO avendo la certezza di gustare gli antichi sapori tradizionali artigianali prodotti da una moderna e garantita filiera produttiva.

Vi invitiamo a visitare il sito seguendo questo link

http://www.casamilo.it/it

Non ti pago, omaggio a Luca De Filippo all’Ambra Jovinelli

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La fortuna e la speranza, le superstizioni e i sogni, l’inatteso che fa capolino nel quotidiano: Non ti pago, come nella migliore tradizione dei De Filippo, è una commedia fatta di situazioni estreme e personaggi profondamente umani, nel bene e nel male.

Scritta dal grande Eduardo nel 1940, sarà in scena al Teatro Ambra Jovinelli fino al 17 dicembre: regia di Luca De Filippo (figlio del Maestro), musiche di Nicola Piovani, costumi, scene e luci curate rispettivamente da  Silvia Polidori, Gianmaurizio Fercioni e Stefano Stacchini. Luci e ombre della vita di tutti i giorni vengono presentati con irresistibile verve comica dalla Compagnia di Teatro di Luca De Filippo.

Lo spettacolo, infatti, è un omaggio a Luca De Filippo, scomparso dopo aver lavorato proprio su Non ti pago, che dunque resta la sua ultima regia.

La commedia, rappresentata per la  prima volta nel 1940 al Teatro Quirino, vedeva in scena i fratelli De Filippo. Eduardo vestiva i panni di Ferdinando Quagliolo e Peppino quelli di Mario Bertolini. A loro si aggiunse la sorella Titina nell’omonimo film del 1942, per il ruolo di donna Concetta.

non ti pago de filippo

 

 

 

 

 

 

 

Non ti pago: la storia

Don Ferdinando (un irresistibile Gianfelice Imparato) “si farebbe uccidere prima di riconoscere un suo errore, prodigo, cuore d’oro, tutto amore per la famiglia, ma testardo”. Così lo descrive giustamente il prete don Raffaele (Gianni Cannavacciuolo). Proprietario di un botteghino del lotto gestito insieme a Mario Bertolini (Massimo De Matteo), è un accanito ma sfortunato giocatore. Il suo giovane dipendente, invece, è particolarmente baciato dalla dea bendata.

La vicenda si sviluppa da una sostanziosa vincita al lotto fatta da Bertolini, grazie a numeri ricevuti in sogno dal padre di don Ferdinando. Quest’ultimo, convinto che il padre volesse destinare a lui i numeri, avanza diritti sulla vincita e sottrae il biglietto a Bertolini. Porterà invano avanti le sue ragioni, mettendosi anche contro alla moglie (una energica e decisa Carolina Rosi). Ma alla fine restituirà il biglietto e acconsentirà alle nozze tra lui e sua figlia Stella (Carmen Annibale).

Non ti pago all’Ambra Jovinelli

Nonostante neghi di provare invidia, don Ferdinando non è indifferente a quanto succede a Bertolini e che a lui è negato. Ha certamente torto nelle sue azioni, eppure viene difficile odiarlo.

Ma ancor prima d’essere un giocatore, un marito, un lavoratore, un uomo con mille difetti, don Ferdinando è un papà. E non è un caso che la commedia si chiuda proprio con questa parola. Solo sul finale, infatti, fa intendere che ciò che realmente lo aveva infastidito di Bertolini era stato il suo non riferirgli in prima persona l’intenzione di sposare Stella.

Eduardo definì Non ti pago la più tragica delle sue commedie: don Ferdinando è cocciuto, nemmeno la compromessa felicità di sua figlia lo placa. Come il più piccolo e miserabile degli uomini riesce a fare un passo indietro solo dopo che gli viene riconosciuta una parziale ragione. A quel punto si muove verso la risoluzione del conflitto che aveva minato la pace all’interno della famiglia.