Panel COP 22

Consorzio Mediterrae in spedizione a Marrakech

Quale futuro per il nostro clima? Saranno, finalmente, adottate policies intelligenti ed idonee a difendere l’ambiente in cui respiriamo, da quelle insidie che ne causerebbero l’ingiusta rovina?

Questo è l’obiettivo di Panel COP 22

Riduzione, entro le 200 parti per milione, delle emissioni di CO2 entro il 2050?

Un’ambizione reale o lo spauracchio di dover parlare, un giorno, di una gran bolla di sapone?         

Un preliminare responso, qualcosa in merito lo potremmo scoprire fra un mese quando una nuova Conferenza Mondiale ONU, Panel COP 22, sul clima entrerà in scena a Marrakech.

La conosciuta città marocchina inizia ad aprire le porte di casa e più di qualcuno comincia già a “scaldare i motori” in vista di quest’importantissimo appuntamento: è l’organizzazione no profit Consorzio Mediterrae,

Dire che si occupa da anni di Ambiente e Clima, sarebbe cosa sin troppo riduttiva. Progetti Sociali ed Umanitari, Sviluppo e Promozione della Filiera Agro-Alimentare, pugliese in primis, sono i suoi primissimi obiettivi. Innovazione e assistenza di nuovi Spin Off a servizio di Start Up di Imprese Giovanili di futura costituzione. Sostegno alla Policy finalizzata alla Realizzazione di Villaggi Sostenibili Standard per mantenere le popolazioni di migranti Climatici nei luoghi di rispettiva provenienza. Promozione di una Cultura che favorisca l’uso di innovativi progetti che prevedono l’impiego delle Energie Rinnovabili e la loro considerazione come uniche, vere fonti di investimento economico. Ricerca e analisi dei fenomeni climatici ed ambientali, con maggiore attenzione rivolta a quelli più rari al giorno d’oggi, al tempo stesso più dannosi e con conseguenze catastrofiche. Realizzazione di quei progetti pensati ad hoc in difesa dello stesso clima e del nostro Pianeta: “rispetto e tutela, due doveri ai quali non possiamo sottrarci”. La creazione di Master, corsi di Perfezionamento e di Formazione specifici che portino a nuovi sbocchi occupazionali per i giovani. Favorire l’occupazione giovanile in primis, permettere ancor di più, in generale, il reinserimento di chi è inoccupato o disoccupato. Fare della creatività ed innovazione, un cavallo di battaglia per aiutare il mondo dell’imprenditoria italiana a crescere, essere sempre competitivo.

Tutto questo il “credo” di un Consorzio che presenzierà, in qualità di ospite, ai prossimi lavori della stessa Conferenza Mondiale sul clima che avrà luogo in Marocco.

Sul versante Atlantico si svolgerà un “remake” di quel che è stato il Panel COP 21 di Parigi, oppure sarà messo sul tavolo qualcosa di nuovo e di concreto? L’Ing. Francesco Palmisano, Direttore Generale del Consorzio Mediterrae, per l’Area Tecnico Scientifica nonché Presidente dell’International University di Tirana, esperto di Progettazione e Salvaguardia Climatica ed Ambientale, ha ricevuto l’espresso incarico di essere presente durante i 10 giorni della stessa Conferenza Mondiale diMarrakech”, che inizierà il prossimo 08 novembre e terrà banco fino al 18 dello stesso mese.

Lo scorso dicembre, in terra di Francia, 195 paesi hanno aderito all’accordo parigino sul clima. Accordo che, da regolamento, per essere ratificato deve ottenere l’adesione di circa 55 stati produttori del 55% delle emissioni. Un mese fa, ai primi di settembre, erano 23 gli Stati firmatari in tutto della COP 21.

Stati Uniti e Cina, la tanto temuta futura potenza economica, hanno deciso di mettere il loro “signum” e stringersi la mano. Temperatura della terra al di sotto dei 2 gradi e non oltre 1,5 gradi. Un piano di investimenti volto ad aiutare tutti i paesi ad alto rischio ed ora, più che mai, sottoposti a reali criticità proprio dovute a fenomeni climatici dagli esiti catastrofici, drammatici. A Marrakech cosa accadrà? Risposte azzardate e giudizi sommari sono da tenere fuori da ogni tipo di discorso. Gli uomini, rispettosi della natura e con la diligenza del buon padre di famiglia, uniti insieme, sono più che convinti: “ambiente usa e getta? Mai più”!

Questo è l’obiettivo di Panel COP 22.

 

Marco Chinicò- giornalista pubblicista, responsabile ufficio stampa Task Force COP 21

Cell: 348/5311679

Email: m.chinics@gmail.com

Van Gogh Alive, a Roma la mostra

van gogh alive

Van Gogh Alive – The Experience sbarca finalmente in Italia, dopo aver incantato l’Australia, la Russia e gli Stati Uniti.

La mostra, a Roma fino al 27 marzo presso Palazzo degli Esami, è un tuffo nella produzione del pittore olandese capace, nei soli dieci anni della sua attività artistica, di lasciare un’impronta importante e rivoluzionaria, che passa attraverso oltre 900 dipinti e 1000 disegni.

Van Gogh Alive è, più che un’esposizione, un percorso sensoriale fatto di immagini, musica e parole, che vuole restituire in modo completo la figura di Van Gogh uomo e Van Gogh pittore, accostando continuamente la sua produzione pittorica a citazioni tratte dalle lettere che scriveva al fratello minore Teo. Dalle parole emerge la figura di un uomo tormentato, solitario, sensibile, appassionato profondamente d’arte, immerso completamente nella pittura, legato alla natura ancor più che alla famiglia. Un’esistenza drammatica, la sua, dominata da sentimenti violenti ed emozioni potenti spesso difficili da gestire, a causa dei disturbi mentali.

Che sarebbe la vita senza il coraggio di tentare qualcosa?

L’arco temporale oggetto di Van Gogh Alive va dal 1880 (anno della svolta artistica) al 1890 (anno di morte) per un totale di oltre 800 opere mostrate, tra cui I girasoli, Notte stellata sul fiume Rodano, Autoritratto con orecchio bendato, La sedia di Vincent, La sedia di Gauguin, La camera di Vincent ad Arles: di questo dipinto, realizzato nel 1888 e custodito presso il Van Gogh Museum di Amsterdam, è presente in sala anche una ricostruzione fedelissima all’immagine, realizzata proprio con mobili reali e oggetti. Un modo per entrare ancora di più in intimità con l’artista.

Van Gogh Alive: l’allestimento

L’allestimento è costituito da gigantografie proiettate sulle pareti, sulle colonne, sui pavimenti e sui soffitti dello spazio espositivo, utilizzando la tecnologia Sensory 4 che consente di riprodurre, coi suoi oltre 40 proiettori, immagini in alta definizione sulle diverse superfici, come se fossero reali. Ad accompagnare ed esaltare il tutto, musiche di sottofondo appartenenti al repertorio di Vivaldi, Handel, Godard, Schubert, Bach e tanti altri compositori.

Le grandi cose sono fatte dalla somma di molte piccole cose

Questo sistema è stato sviluppato da Grande Exhibitions, un’azienda australiana specializzata in proiezioni multimediali.

van gogh alive

Grazie agli schermi giganti utilizzati per Van Gogh Alive è possibile immergersi completamente nei colori vibranti, nei dettagli, nei paesaggi naturali dipinti dall’artista nel suo vagare tra Parigi, Arles, Saint-Rémy e Auvers-sui-Oise, quei luoghi che lo hanno ispirato nella realizzazione di capolavori senza tempo.

Le immagini risultato nitide, i colori vibranti, i dettagli si evidenziano con chiarezza: l’esperienza è poetica ed è affascinante immergersi in un mondo fatto di pennellate e parole, da cui si esce arricchiti e con gli occhi pieni di bellezza.

Il modo per conoscere la vita è amare tante cose

La carica emotiva che si respira nei corridoi lungo cui si snoda il percorso è alta: i 40 minuti previsti per completare il percorso sono intensi e piacevoli.

Van Gogh Alive: orari e biglietti

Van Gogh Alive – The Experience: presso Palazzo degli Esami (via Girolamo Induno 4, Roma) fino al 26 marzo 2017. Dal lunedì al giovedì giovedì ore 10.00 – 20.00, venerdì e sabato ore 10.00 – 23.00, domenica ore 10.00 -21.00. Ultimo ingresso un’ora prima.

Biglietto intero € 15,00, biglietto ridotto per bambini dai 6 ai 12 anni, studenti, over 65 e disabili € 12,00. Ulteriori riduzioni sono previste per famiglie, gruppi e scuole.

Le emozioni sono a volte così forti che lavoro senza rendermene conto. Le pennellate arrivano come parole

Incinta muore in ospedale: medico era obiettore

malasanità_obiettore di coscienza

Quanto accaduto a Catania lo scorso 16 ottobre potrebbe essere, più che un caso di obiezione di coscienza, un caso di omissione di servizio e negligenza medica. Toccherà verificalo agli ispettori inviati dal Ministero della Salute all’Ospedale Cannizzaro di Catania dove Valentina Milluzzo, donna di 32 anni alla 19esima settimana di gravidanza, è deceduta insieme alle creature che portava in grembo, un maschietto e una femminuccia, in circostanze da chiarire. Da chiarire soprattutto le eventuali responsabilità dello specialista che era con lei, obiettore di coscienza, denunciato dal marito di Valentina, Francesco Castro, convinto che sua moglie si sarebbe potuta salvare.

Sono dodici i medici che la Procura di Catania ha iscritto nel registro degli indagati, tra cui il primario Paolo Scollo: si ipotizza per loro il reato di omicidio colposo plurimo.

Le versioni fornite dai familiari della donna e dai medici della struttura presentano notevoli differenze e c’è un particolare dettaglio intorno a cui tutto ruota: il medico che avrebbe potuto salvare la vita di Valentina era obiettore di coscienza.

La storia di Valentina

Valentina viene ricoverata in ospedale il 29 settembre per minacce di aborto: le sue situazioni di salute peggiorano drasticamente tra il 15 e il 16 ottobre. Nel giro di poco tempo perde entrambi i bambini che porta in grembo e lei stessa muore. In questo quadro di dolore si inserisce un dettaglio che potrebbe fare la differenza: il marito della donna rivela che il medico avrebbe dichiarato sia a lui che ai genitori di Valentina la sua impossibilità di agire perché obiettore di coscienza. Il medico, dunque, si sarebbe rifiutato di intervenire e di estrarre prematuramente i feti (in crisi respiratoria), nonostante fosse a repentaglio la vita della donna.

Si è in attesa dell’autopsia, ma il Primario della struttura, pur confermando che tutti e 12 i medici della struttura sono obiettori di coscienza, ha dichiarato che nessuno di loro si sarebbe mai rifiutato di intervenire in una situazione di crisi come quella.

La causa ufficiale della morte di Valentina è, per adesso, un’emorragia causata da una violenta infezione.

L’obiezione di coscienza e il medico obiettore

In Italia, l’obiezione di coscienza è prevista da tre leggi: L. 194 del 22.5.1978, Norme per la
tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza (art. 9); L. 40 del 19.2.2004, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita (art. 16) e L. 413 del 12 ottobre 1993, Norme in materia di obiezione di coscienza alla sperimentazione animale.

Questo diritto, previsto dalla deontologia professionale dei medici, è stato più volte oggetto di critiche e dibattiti accesi. Si inserisce in una sfera delicata, medicina, religione ed etica si contaminano ed è difficile stabilire confini netti, anche in uno Stato, come il nostro, che si definisce laico.

In Italia è obiettore di coscienza il 70% del personale medico. Il record si ha in Molise, dove oltre il 90% dei medici non pratica l’aborto. Le percentuali variano da regione a regione: in Sardegna il 49%, in Valle d’Aosta il 13%. L’obiezione di coscienza in merito all’aborto, invece, non è ammessa in Repubblica Ceca, Bulgaria, Svezia e Finlandia.

Nello specifico, l’articolo 9 della legge 194, particolarmente rilevante per il caso in questione, recita:

L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.

Nel caso in oggetto, dunque, la mancata prestazione del medico obiettore, qualora confermata, sarebbe non solo moralmente inaccettabile, ma anche ingiustificata per legge, visto che un imminente pericolo di morte impedisce di invocare l’obiezione di coscienza.

Anche il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin si è espressa duramente sull’accaduto, dichiarando che «L’obiezione di coscienza attiene al profilo deontologico e riguarda la coscienza dei medici, ma non ha a che fare con casi come questo l’obiezione di coscienza attiene infatti all’interruzione volontaria di gravidanza e non in casi in cui si tratta di salvare la vita di una donna».

Una porta sul futuro: la questione femminile oggi

 

Non sappiamo se il titolo dell’articolo del New York Times del 1943 era: “Una porta sul futuro: la questione femminile oggi“ , sappiamo però che la risposta alla domanda circa la natura del femminismo di Rebecca West è di un’attualità incredibile :“Io stessa non sono mai stata in grado di scoprire cosa è esattamente il femminismo; so solo che la gente mi chiama femminista ogni volta che esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino.”

Rispondeva cosi , infatti al New York Times durante un’intervista rilasciata nel 1943, alla domanda “cos’è il femminismo”, Rebecca West, scrittrice britannica molto impegnata nella causa femminista che si diffondeva a macchia d’olio in Europa proprio in quegli anni.

È curioso chiedersi cosa penserebbe la scrittrice se oggi dovesse scoprire che la domanda postagli è ancora incredibilmente attuale e la sua risposta ritorna come un tuono nelle menti di chi legge.
Si perchè il fenomeno spesso relegato alle pagine di storia del passato, trova oggi nuovo vigore ponendosi come una porta sul futuro, e affermando nuovamente la questione sul femminismo oggi.

Parrebbe difatti, un controsenso affrontare oggi l’argomento della questione dell’emancipazione femminile. Anacronistico quasi e invece purtroppo è di un’attualità spaventosa.

La questione esiste, e va per certi versi ancora affrontata legiferando in tal senso. Certo è che la testa sotto la sabbia non bisogna nasconderla, e senza dubbio alcuno possiamo dire che gli anni dei movimenti femministi, l’avanzare del progresso, della tecnologia e del benessere, abbiano in qualche modo contribuito a far acquisire alle donne una maggiore identità e consapevolezza. La parità dei sessi raggiunta in alcune società a regimi democratici e liberi ha indubbiamente ricondotto le donne a riscoprire la propria affermazione fuori dalle mura domestiche, rompendo gli schemi sociali che le vedevano relegate al ruolo di genitrice, e focolare della casa di famiglia. Nulla togliere al meraviglioso e assolutamente necessario desiderio da parte di una donna di essere madre e moglie. L’esperienza della maternità è assolutamente uno dei momenti della vita concessi per natura solo alle donne di un’estrema totalità e magnificenza.

Eppure il problema, o per meglio dire la questione spinosa si sposta piuttosto sulla possibilità di scelta da parte delle donne di essere madre oppure no, di essere una professionista oppure no. È da quando la donna ha iniziato ad avere possibilità di scelta rispetto alla posizione da ricoprire nella società che alcuni problemi son venuti fuori. La donna ha scelto di entrare in società, con le stesse carte dell’uomo, ed è qui che il meccanismo per certi aspetti sembra essersi bloccato: la società non era ( in alcuni casi non lo è tutt’oggi) pronta ad accogliere questo nuovo modello.

Contratti del lavoro che prevedono il licenziamento in caso di gravidanza, responsabili delle risorse umane che al momento dei colloqui chiedono sempre più spesso alle candidate se hanno la volontà di fare un figlio. Come se una cosa dovesse escludere l’altra. Come se affermarti lavorativamente non prevedesse la possibilità di affermare l’essere donna nell’ambito privato e familiare. Senza spostarci troppo dalla nostra penisola, le cronache ci ricordano spesso che in molti luoghi risulta ancora inaccettabile che una donna single abbia un bambino, una casa tutta per sé e che occupi posti di dirigenza politici, pubblici, privati. Colpa di una cultura spesso troppo radicata e dura a morire.

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Colpa di una scarsa e mal distribuita informazione. Eppure ancor troppo spesso le donne devono interfacciarsi con realtà basate su sistemi maschilisti che non le accolgono o che non sono organicamente attrezzati per incontrare le esigenze di una donna, biologicamente diverse da quelle degli uomini. Questo porta a riflettere sul fatto che la consapevolezza, l’affermazione della propria identità, l’emancipazione tutta rischia così di diventare a tutti gli effetti una condizione negativa, sottoposta a pesanti pregiudizi e discriminazioni piuttosto che essere fonte di privilegi.

Sicuramente non bisogna approcciarsi alla questione come un fatto compiuto. L’emancipazione femminile è ancora tutt’oggi in essere e se indiscutibilmente dei passi in avanti sono stati fatti, ci sono in ogni caso le basi che lasciano auspicare un vero compimento del concetto di emancipazione e parità tra sessi i cui semi sono stati lanciati nel secolo scorso. Quindi una questione aperta. Una porta sul futuro che riporta ad oggi la questione sul femminismo.

Morto il Nobel Dario Fo, aveva 90 anni

dario fo

Avere 90 anni e non sentirli e ancora darsi per il teatro, per la cultura, per le arti, per la satira politica, instancabilmente e con passione. Attore, regista, pittore, scrittore: Dario Fo la sua rivoluzione l’ha portata avanti per una vita intera. Sessant’anni sul piccolo schermo e sui palcoscenici, un Premio Nobel per la Letteratura nel 1997 (già candidato nel 1975), rappresentazioni acclamate in tutto il mondo, diverse lauree honoris causa: con Dario Fo oggi se ne va un immenso protagonista della cultura italiana.

Morto all’ospedale Sacco di Milano, dove era ricoverato da una decina di giorni per problemi polmonari, Dario Fo lascia un vuoto incolmabile nel teatro del nostro Paese, lo stesso lasciato, nel 2013, da Franca Rame, sua compagna di vita e di spettacolo, coppia unita anche dall’impegno politico di sinistra.

“Con Dario Fo l’Italia perde uno dei grandi protagonisti del teatro, della cultura, della vita civile del nostro paese. La sua satira, la ricerca, il lavoro sulla scena, la sua poliedrica attività artistica restano l’eredità di un grande italiano nel mondo. Ai suoi familiari il cordoglio mio personale e del governo italiano”

ha scritto in una nota il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, commento a cui hanno fatto seguito quelli di tutti i maggiori esponenti della politica, dello spettacolo e della cultura italiana, tutti mondi, questi, che spesso avevano criticato la figura del poliedrico artista, arrivando a mettere in discussione anche il suo Nobel.

“Non è difficile essere ribelli a 20 anni, ma se sei considerato ancora un nemico irriducibile dopo gli 80, sei veramente un grandissimo rompicoglioni”

aveva scritto tempo fa Jacopo Fo, figlio di Dario e Franca Rame, ripercorrendo in un articolo il difficile rapporto dei suoi genitori con le reti televisive italiane, che più volte li avevano “censurati“.

E Dario Fo è stato certamente un personaggio un po’ scomodo, certo controcorrente, un “giullare” che col suo linguaggio che mescolava francese, italiano, veneziano, suoni e onomatopee (il grammelot, che si rifà, appunto, alle medioevali improvvisazioni giullaresche) raccontava di sacro e profano, raccontava ciò che qualcuno non voleva sentire o non era pronto a sapere, spesso prendendosi gioco del mondo ecclesiastico o criticando la morale borghese, rivolgendosi soprattutto al pubblico delle classi più deboli.

“Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”:

era stata proprio questa la motivazione fornita dall’Accademia per l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura, nel 1997, che dedicò alla moglie Franca e ai suoi “maestri” Ruzzante e Moliere.

https://www.youtube.com/watch?v=qgr3xecacZU