Incinta muore in ospedale: medico era obiettore

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Quanto accaduto a Catania lo scorso 16 ottobre potrebbe essere, più che un caso di obiezione di coscienza, un caso di omissione di servizio e negligenza medica. Toccherà verificalo agli ispettori inviati dal Ministero della Salute all’Ospedale Cannizzaro di Catania dove Valentina Milluzzo, donna di 32 anni alla 19esima settimana di gravidanza, è deceduta insieme alle creature che portava in grembo, un maschietto e una femminuccia, in circostanze da chiarire. Da chiarire soprattutto le eventuali responsabilità dello specialista che era con lei, obiettore di coscienza, denunciato dal marito di Valentina, Francesco Castro, convinto che sua moglie si sarebbe potuta salvare.

Sono dodici i medici che la Procura di Catania ha iscritto nel registro degli indagati, tra cui il primario Paolo Scollo: si ipotizza per loro il reato di omicidio colposo plurimo.

Le versioni fornite dai familiari della donna e dai medici della struttura presentano notevoli differenze e c’è un particolare dettaglio intorno a cui tutto ruota: il medico che avrebbe potuto salvare la vita di Valentina era obiettore di coscienza.

La storia di Valentina

Valentina viene ricoverata in ospedale il 29 settembre per minacce di aborto: le sue situazioni di salute peggiorano drasticamente tra il 15 e il 16 ottobre. Nel giro di poco tempo perde entrambi i bambini che porta in grembo e lei stessa muore. In questo quadro di dolore si inserisce un dettaglio che potrebbe fare la differenza: il marito della donna rivela che il medico avrebbe dichiarato sia a lui che ai genitori di Valentina la sua impossibilità di agire perché obiettore di coscienza. Il medico, dunque, si sarebbe rifiutato di intervenire e di estrarre prematuramente i feti (in crisi respiratoria), nonostante fosse a repentaglio la vita della donna.

Si è in attesa dell’autopsia, ma il Primario della struttura, pur confermando che tutti e 12 i medici della struttura sono obiettori di coscienza, ha dichiarato che nessuno di loro si sarebbe mai rifiutato di intervenire in una situazione di crisi come quella.

La causa ufficiale della morte di Valentina è, per adesso, un’emorragia causata da una violenta infezione.

L’obiezione di coscienza e il medico obiettore

In Italia, l’obiezione di coscienza è prevista da tre leggi: L. 194 del 22.5.1978, Norme per la
tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza (art. 9); L. 40 del 19.2.2004, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita (art. 16) e L. 413 del 12 ottobre 1993, Norme in materia di obiezione di coscienza alla sperimentazione animale.

Questo diritto, previsto dalla deontologia professionale dei medici, è stato più volte oggetto di critiche e dibattiti accesi. Si inserisce in una sfera delicata, medicina, religione ed etica si contaminano ed è difficile stabilire confini netti, anche in uno Stato, come il nostro, che si definisce laico.

In Italia è obiettore di coscienza il 70% del personale medico. Il record si ha in Molise, dove oltre il 90% dei medici non pratica l’aborto. Le percentuali variano da regione a regione: in Sardegna il 49%, in Valle d’Aosta il 13%. L’obiezione di coscienza in merito all’aborto, invece, non è ammessa in Repubblica Ceca, Bulgaria, Svezia e Finlandia.

Nello specifico, l’articolo 9 della legge 194, particolarmente rilevante per il caso in questione, recita:

L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.

Nel caso in oggetto, dunque, la mancata prestazione del medico obiettore, qualora confermata, sarebbe non solo moralmente inaccettabile, ma anche ingiustificata per legge, visto che un imminente pericolo di morte impedisce di invocare l’obiezione di coscienza.

Anche il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin si è espressa duramente sull’accaduto, dichiarando che «L’obiezione di coscienza attiene al profilo deontologico e riguarda la coscienza dei medici, ma non ha a che fare con casi come questo l’obiezione di coscienza attiene infatti all’interruzione volontaria di gravidanza e non in casi in cui si tratta di salvare la vita di una donna».

Una porta sul futuro: la questione femminile oggi

 

Non sappiamo se il titolo dell’articolo del New York Times del 1943 era: “Una porta sul futuro: la questione femminile oggi“ , sappiamo però che la risposta alla domanda circa la natura del femminismo di Rebecca West è di un’attualità incredibile :“Io stessa non sono mai stata in grado di scoprire cosa è esattamente il femminismo; so solo che la gente mi chiama femminista ogni volta che esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino.”

Rispondeva cosi , infatti al New York Times durante un’intervista rilasciata nel 1943, alla domanda “cos’è il femminismo”, Rebecca West, scrittrice britannica molto impegnata nella causa femminista che si diffondeva a macchia d’olio in Europa proprio in quegli anni.

È curioso chiedersi cosa penserebbe la scrittrice se oggi dovesse scoprire che la domanda postagli è ancora incredibilmente attuale e la sua risposta ritorna come un tuono nelle menti di chi legge.
Si perchè il fenomeno spesso relegato alle pagine di storia del passato, trova oggi nuovo vigore ponendosi come una porta sul futuro, e affermando nuovamente la questione sul femminismo oggi.

Parrebbe difatti, un controsenso affrontare oggi l’argomento della questione dell’emancipazione femminile. Anacronistico quasi e invece purtroppo è di un’attualità spaventosa.

La questione esiste, e va per certi versi ancora affrontata legiferando in tal senso. Certo è che la testa sotto la sabbia non bisogna nasconderla, e senza dubbio alcuno possiamo dire che gli anni dei movimenti femministi, l’avanzare del progresso, della tecnologia e del benessere, abbiano in qualche modo contribuito a far acquisire alle donne una maggiore identità e consapevolezza. La parità dei sessi raggiunta in alcune società a regimi democratici e liberi ha indubbiamente ricondotto le donne a riscoprire la propria affermazione fuori dalle mura domestiche, rompendo gli schemi sociali che le vedevano relegate al ruolo di genitrice, e focolare della casa di famiglia. Nulla togliere al meraviglioso e assolutamente necessario desiderio da parte di una donna di essere madre e moglie. L’esperienza della maternità è assolutamente uno dei momenti della vita concessi per natura solo alle donne di un’estrema totalità e magnificenza.

Eppure il problema, o per meglio dire la questione spinosa si sposta piuttosto sulla possibilità di scelta da parte delle donne di essere madre oppure no, di essere una professionista oppure no. È da quando la donna ha iniziato ad avere possibilità di scelta rispetto alla posizione da ricoprire nella società che alcuni problemi son venuti fuori. La donna ha scelto di entrare in società, con le stesse carte dell’uomo, ed è qui che il meccanismo per certi aspetti sembra essersi bloccato: la società non era ( in alcuni casi non lo è tutt’oggi) pronta ad accogliere questo nuovo modello.

Contratti del lavoro che prevedono il licenziamento in caso di gravidanza, responsabili delle risorse umane che al momento dei colloqui chiedono sempre più spesso alle candidate se hanno la volontà di fare un figlio. Come se una cosa dovesse escludere l’altra. Come se affermarti lavorativamente non prevedesse la possibilità di affermare l’essere donna nell’ambito privato e familiare. Senza spostarci troppo dalla nostra penisola, le cronache ci ricordano spesso che in molti luoghi risulta ancora inaccettabile che una donna single abbia un bambino, una casa tutta per sé e che occupi posti di dirigenza politici, pubblici, privati. Colpa di una cultura spesso troppo radicata e dura a morire.

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Colpa di una scarsa e mal distribuita informazione. Eppure ancor troppo spesso le donne devono interfacciarsi con realtà basate su sistemi maschilisti che non le accolgono o che non sono organicamente attrezzati per incontrare le esigenze di una donna, biologicamente diverse da quelle degli uomini. Questo porta a riflettere sul fatto che la consapevolezza, l’affermazione della propria identità, l’emancipazione tutta rischia così di diventare a tutti gli effetti una condizione negativa, sottoposta a pesanti pregiudizi e discriminazioni piuttosto che essere fonte di privilegi.

Sicuramente non bisogna approcciarsi alla questione come un fatto compiuto. L’emancipazione femminile è ancora tutt’oggi in essere e se indiscutibilmente dei passi in avanti sono stati fatti, ci sono in ogni caso le basi che lasciano auspicare un vero compimento del concetto di emancipazione e parità tra sessi i cui semi sono stati lanciati nel secolo scorso. Quindi una questione aperta. Una porta sul futuro che riporta ad oggi la questione sul femminismo.

Morto il Nobel Dario Fo, aveva 90 anni

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Avere 90 anni e non sentirli e ancora darsi per il teatro, per la cultura, per le arti, per la satira politica, instancabilmente e con passione. Attore, regista, pittore, scrittore: Dario Fo la sua rivoluzione l’ha portata avanti per una vita intera. Sessant’anni sul piccolo schermo e sui palcoscenici, un Premio Nobel per la Letteratura nel 1997 (già candidato nel 1975), rappresentazioni acclamate in tutto il mondo, diverse lauree honoris causa: con Dario Fo oggi se ne va un immenso protagonista della cultura italiana.

Morto all’ospedale Sacco di Milano, dove era ricoverato da una decina di giorni per problemi polmonari, Dario Fo lascia un vuoto incolmabile nel teatro del nostro Paese, lo stesso lasciato, nel 2013, da Franca Rame, sua compagna di vita e di spettacolo, coppia unita anche dall’impegno politico di sinistra.

“Con Dario Fo l’Italia perde uno dei grandi protagonisti del teatro, della cultura, della vita civile del nostro paese. La sua satira, la ricerca, il lavoro sulla scena, la sua poliedrica attività artistica restano l’eredità di un grande italiano nel mondo. Ai suoi familiari il cordoglio mio personale e del governo italiano”

ha scritto in una nota il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, commento a cui hanno fatto seguito quelli di tutti i maggiori esponenti della politica, dello spettacolo e della cultura italiana, tutti mondi, questi, che spesso avevano criticato la figura del poliedrico artista, arrivando a mettere in discussione anche il suo Nobel.

“Non è difficile essere ribelli a 20 anni, ma se sei considerato ancora un nemico irriducibile dopo gli 80, sei veramente un grandissimo rompicoglioni”

aveva scritto tempo fa Jacopo Fo, figlio di Dario e Franca Rame, ripercorrendo in un articolo il difficile rapporto dei suoi genitori con le reti televisive italiane, che più volte li avevano “censurati“.

E Dario Fo è stato certamente un personaggio un po’ scomodo, certo controcorrente, un “giullare” che col suo linguaggio che mescolava francese, italiano, veneziano, suoni e onomatopee (il grammelot, che si rifà, appunto, alle medioevali improvvisazioni giullaresche) raccontava di sacro e profano, raccontava ciò che qualcuno non voleva sentire o non era pronto a sapere, spesso prendendosi gioco del mondo ecclesiastico o criticando la morale borghese, rivolgendosi soprattutto al pubblico delle classi più deboli.

“Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”:

era stata proprio questa la motivazione fornita dall’Accademia per l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura, nel 1997, che dedicò alla moglie Franca e ai suoi “maestri” Ruzzante e Moliere.

https://www.youtube.com/watch?v=qgr3xecacZU

Laboratorio di Scrittura Teatrale

Il Laboratorio di Scrittura Teatrale si rivolge ad aspiranti drammaturghi, sceneggiatori e a tutti coloro che desiderano misurarsi con la teoria e la tecnica della scrittura teatrale.

Partendo dalla conoscenza dei metodi e delle regole drammaturgiche, il lavoro permetterà ai partecipanti di scoprire le proprie potenzialità creative, molto spesso inespresse, e di sperimentare le diverse possibilità di scrittura finalizzate alla rappresentazione di un testo originale.

A completamento del percorso formativo è prevista la messa in scena del proprio testo teatrale attraverso un saggio di fine corso che consente di sperimentare l’emozione del primo contatto con il pubblico.

Gli argomenti trattati nel Laboratorio di Scrittura Teatrale 

Linguaggio narrativo, nascita di una storia, possibili fonti di ispirazione, “urgenza” dello scrivere, struttura del testo, vita ed evoluzione dei personaggi, dialogo, sottotesto.

Sede
Il corso si terrà presso il Barnum Seminteatro
Via Adelaide Bono Cairoli, 3 – Garbatella – Roma

barnumseminteatro

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Durata
Il corso avrà una durata complessiva di 16 incontri a partire da venerdì 28 e sabato 29 ottobre 2016 – (2 classi a disposizione tra cui scegliere)

Lezioni

Le lezioni avranno una durata di 2 ore al costo di Euro 60/mese

N.B.  LA PRIMA LEZIONE E’ DI PROVA

POSTI LIMITATI!

Per info e prenotazioni
degliarti@tiscali.it – 349 0573178

Ancora una volta Gabriele Mazzucco, di cui abbiamo diffusamente presentato con i nostri precedenti servizi le varie opere teatrali da lui scritte ed anche dirette nella regia, presenta questo interessante Laboratorio di Scrittura Teatrale da lui  ideato e diretto e che si distingue per la capacità di presentare l’Arte della Scrittura Teatrale in maniera accessibile a tutti.

Non ho detto “semplice” nell’accezione “goliardica” ma – sottolineo – accessibile in quanto, dedicando la giusta attenzione all’insegnamento che Gabriele Mazzucco propone e richiede agli allievi, Il Laboratorio di Scrittura Teatrale  sarà in grado di darci intime e profonde soddisfazioni e, perchè no, scoprire forse che nel nostro animo “vive” uno scrittore.